Rime (Andreini)/Canzonetta morale IX

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Canzonetta morale IX

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Che Maravigliosa è la forza della Poesia.

Canzonetta Morale IX.


O
Ve trà vaghi fior nascosto è l’Angue

Passa Euridice, e ’l fuggitivo piede
     L’empio col dente venenoso fiede:
     E tanto è ’l duol, ch’ella ne cade essangue.
Tosto, ch’Orfeo l’inaspettata morte
     Di lei, ch’amava sì misero intende,
     D’angoscia colmo, e di pietà, discende
     De l’empia Dite à le dannate porte.
Per la negra palude horrida barca
     Piena gli appar di lagrimoso stuolo
     D’alme infelici, e Nocchier vecchio, e solo,
     Che ’l pelago infernal securo varca.
E latrar con più gole il Can trifronte
     Ode, cui fiera tema il petto assale
     Visto trà morti huom vivo. à novo male
     (Par dica) havrà per mè quei le man pronte.
Con maestà terribile discopre
     Pluto seder de l’atra Reggia in mezo,
     Che torvo mira nel solfureo lezo
     Color, che pari hanno le pene à l’opre.
Hor s’affisa à i Centauri, ed hor le ciglia
     Drizza à colei, che và con l’altre Suore
     Di nostra humanità filando l’hore,
     E tutta mira al fin l’empia famiglia.
I negri Spirti de la notte oscura
     Stupidi stanno, e saper brama ogn’uno,
     E più ’l gran Rè di lagrime digiuno
     Quel, che l’ardito giovene procura.

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Poiche i tant’occhi homai del cieco Regno
     Vede à sè volti Orfèo, tende le corde
     Perche l’acuto al gràve non discorde,
     Indi à la poppa manca appoggia il legno.
Marita al suon la voce; e ’l grave affanno
     Rimbomba dolce sì per le latebre
     D’Abisso, ch’egli trahe da le palpebre
     Il pianto à quei, che lagrimar non sanno.
In questi muti campi il passo errante
     (Disse) novello Alcide a’ danni vostri
     Non mov’io già, trà questi oscuri chiostri
     D’Euridice mi tragge il bel sembiante.
Deh s’amaste giamai tartarei Numi,
     La sospirata moglie hor mi rendete,
     O me pur, ch’io la veggia ancor tenete;
     Che potran quì bearmi i suo’ bei lumi.
Respirar da l’incarco de’ tormenti
     L’alme, e col molle canto il duro Fato
     Ruppe, ed ottenne il caro pegno amato
     Mosse à pietà le dispietate genti.
Con legge tal, che non si volga à dietro,
     Fin ch’al Regno de’ vivi ei non arrive.
     Se guarda à tergo empio voler prescrive,
     Che la Ninfa ritorni al lago tetro.
Sì del grembo di morte ei trasse fuora
     Il suo tesor; ma poi, ch’à dietro volse
     Lo sguardo; il Destin crudo à lui lo tolse.
     Ahi vero amor non sà patir dimora.
Ma se cotanto ò Rinuccini impetra
     Musa gentil, quai grazie uscir vegg’io
     Da la famosa tua vergine Clio,
     C’hor vince ogn’alma, ed ogni selce spetra?