Rime (Andreini)/Sonetto LXXXV

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Sonetto LXXXV

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SONETTO LXXXV.


M
Isera io chiamo pur, ma chiamo indarno

Il mio Sposo, che seco il mio cor tiene,
     Che fatte invidiose del mio bene
     Lo ritengono à me le rive d’Arno;

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Ond’io sì meco il mio dolor’ incarno,
     Che non è chi lo tempri, ò chi l’affrene,
     Anzi fiero mi scorre entro le vene
     Con forza tal, ch’io me ne struggo, e scarno.
Tanto lunge da lui m’è ’l viver greve,
     Ch’io sol trovo conforto a’ miei tormenti
     Nel pianto, che non ha tregua già mai.
Sordo Appennin s’à’ miei sospiri ardenti
     Non cedi, al foco lor cader vedrai
     L’orrida pompa di tua fredda neve.