Rime (Guittone d'Arezzo)/Gente noiosa e villana

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Gente noiosa e villana

../Tutto 'l dolor, ch'eo mai portai, fu gioia ../Gentil mia donna, gioi sempre gioiosa IncludiIntestazione 7 maggio 2024 75% Poesie

Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
Gente noiosa e villana
Tutto 'l dolor, ch'eo mai portai, fu gioia Gentil mia donna, gioi sempre gioiosa


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XV

Perché s’è partito dalla sua terra.


     Gente noiosa e villana
e malvagia e vil signoria
e giudici pien di falsìa
e guerra perigliosa e strana
5fannome, lasso, la mia terra odiare
e l’altrui forte amare.
Però me departuto
ho d’essa e qua venuto;
ed, a la fe, che ’l maggio spiacimento,
10che lo meo cor sostene,
è quel, quando sovene
mene d’essa o de cosa
che ve faccia reposa,
tanto forte mi è contra talento.

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     15Certo che ben è ragione
me sia noios’e spiacente,
membrar ch’agiato e manente
lí è ciascun vile e fellone,
e mesagiato e povero lo bono;
20e sí como ciascono
deletta a despregiare
altrui, più ch’altro fare;
e como envilia e odio e mal talento
ciascun ver l’altro porta;
25e ch’amistá lí è morta
e moneta è ’n suo loco;
e con solazzo e gioco
lí è devetato, e preso pesamento.
Membrar noia anche me fae
30como bon uso e ragione
n’è partuto e rea condizione
e torto e falsezza lí stae;
e che scherani e ladroni e truanti
meglio che mercatanti
35lí vede om volonteri;
e con no lí ha mesteri
om che ’n altrui o ’n sé voglia ragione,
ma chi è lausengieri
e sfacciato parlieri
40lí ha loco assai, e quello
che mostrar se sa bello
ed è maestro malvagio e volpone.
     Donque può l’omo vedere,
se me dol tanto membrare,
45che lo vedere e ’l toccare
devìa piú troppo dolere;
per ch’om non po biasmar lo meo partire.
E s’altri vol me dire,
om dea pena portare
50per sua parte aiutare,

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eo dico ch’è vertá; ma essa ragione
ha me’ parte perdita,
ch’eo l’ho sempre servita
e — fomi a un sol ponto
55mestier — no m’aitò ponto,
ma fomi quasi onni om d’essa fellone.
     Parte servire ni amare
dia, ni speziale amico,
ch’è segnore ni capo dico,
60per cui dovesse restare;
né ’n mia spezialitate a far lí aveva,
ni la guerra voleva;
la casa e ’l poder ch’eo
lí aveva era non meo,
65ma lo teneva dal comune en fio
sí, che dal Prence en Bare
lo pora a men trovare:
perch’amo ch’el sia strutto
con me struggeva al tutto,
70sí che nemico non avea piú rio.
     Estròvi donque perdendo
onore, prode e plagire
e riterromi di gire
ad acquistare gaudendo?
75No: stianvi quelli a cui la guerra piace
e prode e ben li face;
tutto che se catono,
com’eo, potesse a bono
partir, picciolo fosse el remanente:
80ma l’un perché non poe
e l’altro perché a cioe
istar tornali frutto,
biasma el partire en tutto;
ma so che ’l lauda en cor lo conoscente.
     85Non creda om che paura
aggiame fatto partire,

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ch'è sicuro istare e gire
(è piú vil ch’eo tra le mura!);
ma ciò ch’ho detto, con giusta ragione.
90E se pace e ragione
li tornasse a durare
sempre vorrìa lá stare;
ma che ciò sia non veggio; e nante creo
languendo e megliorando
95e ’n guerigion sperando,
d’essa consomamento;
per che chi ’l partimento
piú avaccio fa, men dann’ha, al parer meo.
     Solo però la partenza
100fumi crudele e noiosa,
ché la mia gioia gioiosa
vidila in gran despiagenza,
che disseme piangendo: amore meo,
mal vidi el giorno ch’eo
105foi de te pria vogliosa,
poi che ’n sí dolorosa
parte deggio de ciò, lassa, fenire;
ch’eo verrò forsennata,
tanto son ben mertata,
110s’eo non fior guardat’aggio
desnore, ni dannaggio,
a metter me del tutto in tuo piacere!
     Ma, como lei dissi bene,
el meo po pensar gran corrotto,
115poi l’amoroso desdotto
de lei longiar mi convene.
Ma la ragion che dett’aggio di sovra
e lo talento e l’ovra
ch’eo metto ’n agrandire
120me, per lei piú servire,
me fa ciò fare e dia portar perdono;
ché giá soleva stare

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per gran bene acquistare
lontan om lungiamente
125da sua donna piacente,
savendo lui ed a lei forte bono.
     Va, mia canzone, ad Arezzo in Toscana
a lei ch’auzide e sana
lo meo core sovente,
130e dí ch’ora parvente
será como val ben nostra amistate;
ché castel ben fornito
e non guare assalito
no è tener pregiato,
135ma quello ch’è asseggiato
e ha de ciò che vol gran necestate.
     Ed anco me dí lei e a ciascuno
meo caro amico e bono
che non dea sofferire
140pena del meo partire;
ma de sua rimembranza aggio dolere;
ch’a dannaggio ed a noia
è remaso, entra croia
gente e fellon paiese:
145ma eo son certo ’n cortese,
pregio acquistando e sollazzo ed avere.