Rime (Morra)/Signor, che insino a qui, tua gran mercede

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Signor, che insino a qui, tua gran mercede

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Isabella Morra - Rime (XVI secolo)
Signor, che insino a qui, tua gran mercede
Poscia che al bel desir troncate hai l'ale Quel che gli giorni a dietro

 
Signor, che insino a qui, tua gran mercede
con questa vista mia caduca e frale
spregiar m’hai fatto ogni beltà mortale,
fammi di tanto ben per grazia erede,
che sempre ami te sol con pura fede5
e spregie per innanzi ogni altro oggetto,
con sì verace affetto,
ch’ognun m’additi per tua fida amante
in questo mondo errante,
ch’altro non è, senza il tu’ amor celeste,10
ch’un procelloso mar pien di tempeste.

Signor, che di tua man fattura sei,
ov’ogni ingegno s’affatica in vano,
ritrarre in versi il tuo bel volto umano
or sol per disfogare i desir miei,15
ad altri no, ma a me sola vorrei,
ed iscolpirmi il tuo celeste velo,
qual fu quando dal Cielo
scendesti ad abitar la bassa terra
ed a tor l’uom di guerra.20
Questa grazia, Signor, mi sia concessa
ch’io mostri col mio stil te a me stessa.

Signor, nel piano spazio di tua fronte
la bellezza del Ciel tutta scolpita
si scorge, e con giustizia insieme unita25
de l’alta tua pietade il vivo fonte,
e le pie voglie a perdonarci pronte.
Ombre dei lumi venerandi e sacri,
di Dio bei simulacri,
ciglia, del cor fenestre, onde si mostra30
l’alma salute nostra;
occhi che date al sol la vera luce,
che per voi soli a noi chiara riluce!

Signor, cogli occhi tuoi pien di salute
consoli i buoni ed ammonisci i rei35
a darsi in colpa di lor falli rei;
in lor s’impara che cosa è virtute.
O mia e tutte l’altre lingue mute,
perché non dite ancor de’ suoi capelli,
tanto del sol più belli40
quanto è più bello e chiaro egli del sole?
O chiome uniche e sole,
che, vibrando dal capo insino al collo,
di nuova luce se ne adorna Apollo!

Signor, da questa tua divina bocca45
di perle e di rubini escon di fore
dolci parole ch’ogni afflitto core
sgombran di duolo e sol piacer vi fiocca
e di letizia eterna ogniun trabocca.
Guancie di fior celesti adorne, e piane50
a le speranze umane;
corpo in cui si rinchiuse il Cielo e Dio,
a te consacro il mio:
la mente mia qual fu la tua statura
con gli occhi interni già scorge e misura.55

Signor, le mani tue non dirò belle
per non scemar col nome lor beltade,
mani, che molto innanzi ad ogni etade
ci fabricâr la luna, il sol, le stelle:
se queste chiare son, quai saran elle?60
Felice terra, in cui le sacre piante
stampâr tant’orme sante!
A la vaghezza del tuo bianco piede
il Ciel s’inchina e cede.
Felice lei, che con l’aurate chiome65
le cinse e si scarcò de l’aspre some!

Canzon, quanto sei folle,
poi che nel mar de la beltà di Dio
con sì caldo desio
credesti entrare! Or c’hai ’l camin smarrito,70
réstati fuor, ché non ne vedi il lito.