Rime varie (Alfieri, 1912)/CXVI. Mestizia per la lontananza della sua donna e per la propria malattia
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Vittorio Alfieri - Rime varie (1776-1799)
CXVI. Mestizia per la lontananza della sua donna e per la propria malattia
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CXVI [clvii].1
Mestizia per la lontananza della sua donna
e per la propria malattia.
Non bastava, che lungo intero il verno
Sepolto io stessi in solitudin trista,
Privo di quella cara ed alma vista,
4 Che sola in tregua pon mio pianto eterno?
Mute selve, ov’io sfogo ebbi all’interno
Mio duol, cui speme pur iva frammista;
Ecco, ognuna di voi vita racquista;
8 E nuove fronde, e fior novelli io scerno.
Non, lasso! in me, cui la speranza è tolta
Di riveder tra queste amene piagge
11 Donna, in chi mia ventura2 e vita è accolta.
Gioja non v’ha, che omai piú il cor m’irragge;3
Morte mi s’è d’intorno ad esso4 avvolta,
14 E lenta lenta a sua magion mi tragge.5
Note
- ↑ Ho detto piú sopra, accennando ai lavori dell’A. nel 1786, che, mentre viveva tutto con l’animo in essi, dové interromperli per un fiero accesso di podagra, che durò 15 giorni: «nel maggio... mercé la gran dieta e il riposo si trovò bastantemente riavuto di forze» (Aut., IV, 16°). Il 24 aprile compose il surriferito sonetto, complemento di un altro sullo stesso argomento, scritto due giorni avanti, e che mandò all’abate di Caluso con una lettera, mancante di data, ma che deve riferirsi a quei giorni (Epist., pag. 127 e seg.).
- ↑ 11. Mia ventura, il mio bene e il mio male.
- ↑ 12. M’irragge, mi illumini.
- ↑ 13. Ad esso, al cuore.
- ↑ 14. Nessuna esagerazione; il pericolo fu assai grave, come dice l’A. stesso nel passo dell’Autobiografia che precede quello da me sovraccitato.