Rime varie (Alfieri, 1912)/CXXIII. Il proprio ritratto

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CXXIII. Il proprio ritratto

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CXXIII. Il proprio ritratto
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CXXIII [clxvii].1

Il proprio ritratto.

Sublime specchio di veraci detti,2
Mostrami in corpo e in anima qual sono:
Capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;3
4 Lunga statura,4 e capo a terra prono;
Sottil persona in su due stinchi schietti;5
Bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;
Giusto naso, bel labro, e denti eletti;6

8 Pallido in volto, piú che un re sul trono:7
Or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;8
Irato sempre,9 e non maligno mai;

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11 La mente e il cor meco in perpetua lite;
Per lo piú mesto, e talor lieto assai;10
Or stimandomi Achille, ed or Tersíte:11
14 Uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.


Note

  1. Questo sonetto è uno dei piú universalmente noti dell’A.; si trova in ogni antologia, si fa imparare a memoria nelle scuole, ed alcuni suoi versi — Pallido in collo, piú che un re sul tronoIrato sempre, e non maligno mai — son diventati parte viva del nostro linguaggio. Meritamente? Tra’ sonetti dell’A. non ve ne sono di piú elevati rispetto al pensiero, di meglio elaborati in quanto alla forma? La questione, a me pare, non è cosí della specie come del genere: il sonetto dell’A. ha in sé indiscutibili pregi, specialmente nelle terzine; ma che queste autopresentazioni a’ contemporanei ed alla posterità, di cui pur si compiacquero uomini come il Foscolo e come il Manzoni, possano riuscire capolavori poetici, negava il Carducci (Adolescenza e gioventú poetica di Ugo Foscolo in Opere, XIX, 271 e seg.), negheremmo noi, anche se un tanto maestro non lo avesse già fatto.
  2. 1. Io credo che l’A. si rivolga con questo verso al proprio son. nel quale, sublime, forse come opera d’arte, egli intende mostrarsi quasi in uno specchio, in corpo ed anima.
  3. 3. Questo son. fu composto il 9 giugno 1786, allorché l’A. aveva 38 anni. Nel ritratto del Poeta eseguito dal Fabre undici anni dopo, l’A. è rappresentato coi capelli lunghi, ma, sulla fronte, ben piú che radi. È noto come in fanciullezza egli fosse orgoglioso della sua capigliatura fulva, e come uno dei piú gravi castighi che gli potessero infliggere fosse di mandarlo per le strade di Asti inreticellato; allorché poi nel 1775 si pose di gran lena a studiare, per obbligarsi a rimanere in casa, si tagliò «la lunga e ricca treccia de’ suoi rossissimi capelli», e la mandò ad un amico. — Pretti, puri.
  4. 4. Lunga statura; della sua non comune altezza parla in piú luoghi dell’Aut. l’A.; cosí dove racconta della sua fuga da Parigi nel 1792: «Vedete, sentite: Alfieri è il mio nome: Italiano e non francese; grande, magro, sbiancato, capelli rossi: son io quello, guardatemi...».
  5. 5. Schietti, diritti: Dante (Inf. XIII, 5): Non rami schietti....
  6. 7. Eletti, candidi e uguali; l’Ariosto, di Alcina (Orl. fur., VII, 13):
    Quivi due filze son di perle elette...
  7. 8. Il re è immaginato dall’A. pallido sul trono, perché conscio de’ suoi delitti e incerto della fedeltà di chi lo circonda.
  8. 9-14. «L’indole, che io andava intanto manifestando in quei primi anni della nascente ragione era questa. Taciturno e placido per lo piú; ma alle volte loquacissimo e vivacissimo: e quasi sempre negli estremi contrari; ostinato e restio contro la forza; pieghevolissimo agli avvisi amorevoli; rattenuto piú che da nessun’altra cosa dal timore d’essere sgridato; suscettibile di vergognarmi fino a l’eccesso, e inflessibile se io veniva preso a ritroso» (Aut., I, 4°): tale l’A. del 1756, tale, presso a poco, l’A. di trent’anni dopo. — Acerbo, aspro.
  9. 10. Irato sempre: fu veramente schiavo dell’ira l’A., e lamentavasene nel son. Due fere donne, anzi due furie atroci. Nell’Aut., (III, 2°) racconta di aver una volta lanciato un candeliere addosso ad un giovane spagnuolo perché, nel pettinarlo, gli aveva stretta piú del dovere una ciocca di capelli: e Gaetano Polidori, per qualche anno segretario del nostro Poeta, narra che a Martinsbourg ei fu per istrozzare una dama, la quale gli leggeva la Gazzetta francese e che, redarguita per una parola, secondo il criterio del Poeta, mal pronunciata, aveva osato difendersi e sostenere che la sua pronunzia era corretta (Veg. Ales. D’Ancona, op. cit.).
  10. 12. Della sua abituale mestizia l’A. ha parlato piú volte.
  11. 13. Achille, il piú valoroso degli eroi greci, Tersite (Iliade, II, 200 e segg.), il piú vile. Il Giusti, in alcuni versi lasciati incompiuti, e che poi riprese e fuse nella Nona rima a Gino Capponi, ebbe forse presenti questi dell’A.:
    Sdegnoso dell’error, d’error macchiato,
    Or mi sento coi pochi alto levato,
    Ora giú caddi e vaneggiai col volgo!
    Nel ms. è di questo v. la seguente var.:
    Or piú che Achille, ed or men che Tersite,
    che non suona bene davvero.