Rivista di Scienza - Vol. II/Le due leggi fondamentali della Sociologia

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Benjamin Kidd

Le due leggi fondamentali della Sociologia ../L’école économique autrichienne: Ses théories. Conclusion ../Le misurazioni fisiche e la teoria degli errori d’osservazione IncludiIntestazione 7 febbraio 2014 75% Scienze

L'école économique autrichienne: Ses théories. Conclusion Le misurazioni fisiche e la teoria degli errori d’osservazione
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LE DUE LEGGI FONDAMENTALI DELLA SOCIOLOGIA



I.


Ogni osservatore il quale abbia seguito davvicino le tendenze del pensiero e della educazione in questi ultimi 15 o 20 anni, si sarà indubbiamente accorto che un marcatissimo cambiamento si è in esse verificato; e la trasformazione può essere osservata tanto in Germania quanto in Francia, tanto in Italia quanto negli Stati Uniti e nell’Inghilterra; ma più particolarmente in questi due ultimi paesi. La caratteristica di tale mutamento consiste in ciò: che lo studio di tutte le scienze si va sempre più basando sopra ricerche pratiche, e che di conseguenza le scienze stesse tendono ad un progressivo frazionamento in base ad una sempre più ampia divisione di lavoro. Questa tendenza è, sotto un certo aspetto, assai salutare. Ma vi è un altro aspetto il quale riguarda in particolar modo il sociologo. Una scienza come la sociologia, che sta a lato della biologia, che attinge il proprio materiale nel campo fisico, nello storico e nello psichico, e le cui conclusioni in ultima analisi discendono dalla correlazione dei risultati ottenuti in tutte le scienze sociali, è oggidì travagliata da una caratteristica difficoltà.

Ora meno che mai, ciascuno dei rami in cui è stato suddiviso lo scibile umano tende a produrre reclute per quel vastissimo studio, per quell’ampia preparazione che un felice progresso dello studio della sociologia richiederebbe. È vero che in nessun tempo vi furono mai quanto ora in ogni paese tanti studiosi della storia sociale; i costumi delle tribù selvagge, le credenze degli uomini primitivi, la Criminologia, l’Igiene, l’Economia domestica, le transazioni commerciali, [p. 337 modifica] l’Economia rurale, la legislazione a favore delle classi meno abbienti e la legislazione operaia, i salari e moltissime altre analoghe questioni son state fatte oggetto di speciale studio e di ampie ricerche; e i particolari di tutti questi soggetti sono intimamente collegati con la sociologia. Ma il sociologo sa bene che lo studio anche di tutti questi soggetti raggruppati insieme, ancora non costituisce la scienza della sociologia.

D’altra parte lo studioso che si occupa di una particolare ricerca pratica, spesso si rivolge al sociologo. «Ecco» suole egli dire, «io spendo l’intera mia vita nella investigazione dei particolari di un singolo soggetto. E come si può oggi d’altra parte pretendere di trattare con competenza tutti i risultati scientifici sopra i quali si ritiene basata la sociologia?» Il sociologo sente tutta la gravità dell’interrogazione; ma però egli sa che questa non è se non una difficoltà inerente ad un periodo transitorio del sapere. Poichè nulla è oggi più evidente per lui del fatto che la quasi infinita varietà e complessità di particolari che noi incontriamo nelle scienze sociali è compatibile con una rimarchevole semplicità dei principi fondamentali.

Ciò si è verificato anche in scienze che precedettero la sociologia. Sarebbe impossibile, per esempio, concepire qualche cosa di più intricato del complesso dei particolari che scopre l’osservatore studiando gli spazi planetarî; l’infinita varietà di mondi, di forme, di distanze, di moti, di apparenze. Ciò non pertanto la complessità delle evoluzioni stellari, con tutti i moti dei mondi e i loro periodi, tende ad essere ridotta ad una ordinata semplicità per virtù della scoperta della legge di gravitazione universale e dei pochi altri principî che con quella sono in correlazione. Lo stesso dicasi della biologia. La varietà delle forme, delle specie e delle funzioni era infinita. La complessità della vita appariva estendersi oltre i confini dell’intelletto umano, incompatibile con l’esistenza di una legge organizzatrice universale. Non sembrava che alcuno potesse con competenza trattare i risultati di tante scienze. La Chimica, la Botanica, la Zoologia, la Storia, la Politica e tutte le scienze sociali trattavano aspetti varî della vita. Eppure toccò a Darwin, il quale non era nè un chimico, nè un botanico, nè un zoologo e neppure un professore di alcuna scienza sociale, quantunque fosse bene al corrente dei loro ultimi risultati, di trovare in un dettaglio economico la guida [p. 338 modifica] che lo condusse al principio unificatore che portò ordine e legge in tutte le scienze aventi per oggetto lo studio della vita.

Così avviene per la nascente sociologia. Il sociologo competente sa bene che ciò che costituisce l’oggetto del suo studio assurge a vera scienza appunto quando noi sappiamo rilevare la notevole semplicità dei principi fondamentali che stanno a sustrato di tutta l’apparente varietà e complessità dei risultati coi quali la Sociologia è in istretta relazione. Vediamo ora fin dove noi siam giunti nella determinazione di questi principi fondamentali della Sociologia.


II.


Tempo addietro, in occasione di una lettura da me tenuta alla Royal Institution in Londra, affermai che, a parer mio, si doveva ritener vicino il tempo in cui la sociologia sarebbe stata in grado di enunciare certe leggi fondamentali sulla evoluzione della Società con quasi altrettanta chiarezza e precisione con cui leggi e principi sono stati enunciati in altre scienze. Fu con qualche sorpresa che io vidi questa asserzione dar origine a notevoli divergenze. Ma già prima, quando avevo esposto lo stesso concetto sebbene in termini un po’ più vaghi davanti ai membri della Società Socratica dell’Università di Birmingham, il prof. Muirhead, riferendosi alla complessità e alla vasta estensione dei materiali coi quali il sociologo deve trattare, aveva espresso nettamente i suoi dubbi sulla possibilità che la sociologia potesse giungere a tanto.

Ora come risultato dei miei studi e delle mie ricerche personali, io mi sono invece a poco a poco formata la convinzione che le leggi fondamentali della scienza della società sono poche numericamente, e sono, qualitativamente, dinamiche, proprio come i principi fondamentali che hanno unificato la biologia introducendo la concezione di un ordine sottostante alla complessità dei fenomeni della vita. È indubbio che tutte le forme, le istituzioni, gli aspetti particolari dell’evoluzione sociale sono, in ultima analisi, governati dalle forze stesse da cui sono stati creati e per mezzo delle quali gli individui che ne sono influenzati mantengono i loro posti in opposizione ad altri individui influenzati da altre forme, e da altre istituzioni.

Nel suo studio La Sociologie dans le Cours de Philosophie Positive d’Auguste Comte, Eugenio Rignano, direttore in questa [p. 339 modifica] Rivista, ha dato risalto al concetto che il grande fatto che meglio rivela il carattere della nuova «Scienza della Società», è l’aver avuto la percezione della lotta sempre latente ma attiva in qualsiasi forma di Società: osservazione che io ritengo corretta. Nessun sociologo competente, invero, il quale abbia presente la sorprendente vastità della mente di Comte, può fare a meno di deplorare che Comte sia vissuto in un tempo in cui la dinamica dell’evoluzione organica non era compresa, come a comprenderla si comincia ora alla luce della teoria darwiniana della lotta per l’esistenza e della legge di selezione naturale, da quella derivante.


III.


Io credo che nella società agiscano sovranamente due principi dinamici fondamentali che precedono tutti gli altri. Tratteremo del primo di essi in questo articolo. Esso è nel senso più esatto un principio sovrano, poichè esercita la propria influenza sopra ogni aspetto della Società, sopra tutte le istituzioni umane. Esso governa, in ultima analisi, perfino il progresso della natura morale dell’uomo e indubbiamente influenza anche lo sviluppo della stessa mente umana. Se noi vogliamo formalmente esporre questa legge o principio dobbiamo farlo, io credo, in termini i quali non servano solamente ad enunciarlo come principio dominante del progresso umano, bensì in termini che servano anche a fissare in chiaro modo nelle nostre menti la differenza essenziale intercorrente fra esso come legge dinamica che governa tutti i fatti in Sociologia e la legge dinamica che governa l’evoluzione della vita prima che esista una Società; e credo che questa prima legge o principio della dinamica sociale possa essere enunciato come segue:


Prima legge sociologica.


a) Nell’evoluzione della vita fuori della Società ogni progresso è governato dal fatto che la lotta per mezzo della quale la selezione naturale agisce, sia nel conflitto fra individui della stessa specie, sia fra quelli di specie diversa, è essenzialmente una lotta fra individui. Ogni sviluppo segue perciò il cammino della selezione naturale in quanto evolve [p. 340 modifica] nell’individuo quelle qualità le quali contribuiscono alla efficienza dell’individuo stesso nel conflitto.

b) Ma nell’evoluzione della Società umana tutte le fasi dello sviluppo sono governate dal principio che la lotta per mezzo della quale agisce la selezione naturale è sempre un conflitto fra un tipo meno organico ed un tipo più organico di società. Ogni progresso segue perciò il cammino della selezione naturale in quanto evolve nell’individuo le qualità le quali contribuiscono alla efficienza della Società in questo conflitto organico.


Ho enunciato questa legge con una certa lunghezza affine di mostrare, per così dire, gli elementi che la compongono e di permettere alla mente di seguire i gradi per i quali il risultato viene raggiunto. Volendo enunciarla più brevemente, se non proprio altrettanto chiaramente, sarebbe come segue:

Il processo sociale evolve, sopratutto, nell’individuo, non le qualità che contribuiscono alla sua propria efficienza nel conflitto coi suoi simili, bensì quelle sue qualità che contribuiscono alla efficienza della Società nella sua ininterrotta evoluzione verso un tipo più organico.

Se noi esaminiamo davvicino questo principio fondamentale del processo evolutivo della società, possiamo vedere quanto comprensivo esso sia e notare anche quanto lontano ci conduca in Sociologia la chiara percezione delle sue applicazioni. Noi rileviamo subito il valore del fatto che, mentre in ambedue le fasi dell’evoluzione l’individuo continua ad essere l’unità nella quale si concretano le conseguenze tutte del conflitto evolutivo, queste alla lor volta sono in ciascuno dei due casi soggette ad una tendenza direttiva interamente diversa. Nella prima fase la selezione naturale sviluppa nell’individuo le qualità della sua propria efficienza rispetto al conflitto con gli altri individui. Nell’altra essa sviluppa in lui le qualità che costituiranno l’efficienza della Società in relazione al suo progresso verso una costituzione più organica. La semplicità del principio, come quella di ogni legge naturale, risulta evidente, dalla sola sua enunciazione. Ma l’ordine e la sistemazione che esso può introdurre nella infinita quantità dei materiali dello studio della Sociologia risulterà subito chiaro da quanto segue.

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IV.


Se noi applichiamo il principio alle scienze sociali, i risultati che se ne ottengono sono sorprendenti. Incominciamo dall’Etica. Nulla in questo complesso soggetto ha dato tanto filo a torcere ad intere generazioni di studiosi che tentarono di ordinare i fatti in un sistema scientifico, più dei fenomeni della natura etica dell’uomo.

Molti trattati sono stati scritti sull’uomo «naturale». Perchè, si è domandato, l’uomo non dovrebbe essere «naturale» come qualsiasi altra creatura? Perchè non dovrebbe egli seguire i propri istinti innati, senza essere sempre angustiato da una duplicità di tendenze che i moralisti pretendono di trovare nella sua mente? Innumerevoli trattati sono anche stati scritti da diversi punti di vista, intorno ai fenomeni che palesano questo conflitto interno substrato alla natura etica dell’uomo e si è invocata la volontà, la ragione o anche la religione per innalzare la creatura umana ad un livello morale sempre più elevato. Il corredo di fatti e di risultati al quale nelle controversie si è ricorso è sbalorditivo; ed i problemi dell’etica arrivano a fondersi con quelli fondamentali della filosofia. Ora si noterà quanta luce questa prima legge sociologica da me enunciata getta su tutti i fatti, oggetto di queste controversie. Si osservi come i fatti ed i particolari si ordinano.

Parlando della vita quale si svolge al di fuori e al di sotto della società umana è stato detto che sarebbe possibile fare un codice etico per ogni individuo di qualsiasi specie animale, ove soltanto si conoscessero i fatti della sua vita.

Accordiamolo. Ma quanto semplice sarebbe un simile codice.... Poichè, al lume della nostra legge, noi vediamo come la selezione naturale evolva nell’individuo animale soltanto quelle qualità le quali contribuiscono al suo proprio singolo successo nella lotta coi suoi simili. La correlazione fra la condotta e l’oggetto da conseguire è diretta ed immediata. Non esiste quindi alcuna duplicità di tendenze, e non vi è posto alcuno per un codice morale, di un tipo come quello che può esistere nella società umana. Ma quando noi a questa ci volgiamo, osserviamo fatti ben diversi. Il conflitto etico e la duplicità di tendenze sono dovunque manifesti. L’uomo come individuo tutto eredita dal suo passato individualistico. Ma, senza che egli perda quelle qualità personali che [p. 342 modifica] continuano ad essere necessarie tanto a lui stesso quanto alla Società, è un fatto che, nel medesimo tempo, ogni atto che rientri nell’orbita del suo codice morale, ogni passo sulla via del suo sviluppo, viene lentamente a subire l’influenza dell’imperio sovrano di un nuovo principio evolutivo; cioè avviene che la selezione naturale sviluppa in lui, come primo risultato, non più quelle qualità le quali contribuiscono alla sua propria efficienza in rapporto alla lotta con i suoi simili, bensì le qualità le quali contribuiscono alla efficienza della Società nella sua lotta per una costituzione più organica.

Se noi esaminiamo l’uno dopo l’altro i nostri trattati di Etica, possiamo scorgere qual principio d’ordine e quale ordinato sviluppo questa prima legge della Sociologia introduca in tutti i particolari che i vari rami dell’Etica trattano. Essa dà anche maggior luce e più chiaro significato alle conclusioni cui si è già pervenuti.

Io non conosco più luminoso esempio, nel campo dell’Etica, di quello ricordato da T. H. Green autore dei Prolegomena to Ethics. Green diceva che il comandamento «ama il prossimo come te stesso», non aveva mai variato nel suo carattere imperativo di appello alla mente umana. Mutata era soltanto la risposta al quesito: «chi è il prossimo?».

Nella storia del progresso umano noi infatti vediamo questa risposta assumere un significato sempre più ampio. Il concetto di «prossimo» ha continuamente estesa la propria comprensività, dalla famiglia al gruppo, dal gruppo alla tribù, dalla tribù al Comune, dal Comune alla Nazione e dalla Nazione all’umanità e quasi all’universo sensibile.

Se noi osserviamo questa sorprendente generalizzazione alla luce della nostra prima legge di Sociologia, noi scorgiamo, non solamente quanto profondamente vera essa è, ma come sia stato lumeggiato il principio dinamico che ha originato un tale sviluppo. Qualsiasi progresso nel tenore della condotta dell’individuo nella Società deve, per la natura stessa del processo evolutivo, seguire lo svolgimento delle qualità che contribuiscono alla maggiore efficienza della Società stessa nella sua elevazione verso una costituzione sempre più organica. Così intimo, in breve, è il rapporto fra lo sviluppo al quale accenna il Green e il principio dinamico da me enunciato come prima legge della Sociologia, che noi avremmo predetto il primo, dalla nostra conoscenza del secondo. E [p. 343 modifica] qui, come altrove in Etica, noi ora non vediamo più tali fatti come generalizzazioni isolate, ma come elementi di un ampio movimento includente molti altri sviluppi di specie simile, tutti soggetti a quest’unico principio regolatore e sovrano. Non vi sarebbe spazio sufficiente in questa Rivista, ed a maggior ragione non v’è in un compendio di questa natura, per sviluppare il principio in tutte le sue applicazioni all’etica, ma ognuno può benissimo applicarlo per proprio conto, in questa scienza, a un vasto ordine di fatti analoghi.


V.


Se noi applichiamo la nostra legge sociologica alle altre scienze sociali, essa continua a darci ugualmente efficaci risultati. Prendiamo la psicologia in rapporto alla filosofia sociale. Noi possiamo subito scorgere la natura del problema col quale la vecchia psicologia deve attualmente lottare. Noi possiamo perfino predire con qualche certezza in qual direzione si muoverà il futuro suo svolgimento. Nell’Etica di Aristotile, l’idea fondamentale è l’identificazione di individuo e di Stato. La stessa concezione si afferma nella psicologia moderna nella sua applicazione alla filosofia politica, quantunque vi si sia giunti per diversa via; cioè per mezzo dell’esame acuto e dell’analisi accurata del contenuto della mente individuale. Ma il secondo passo è stato generalmente di considerare la Società unicamente come una somma di queste menti, e di trarre da questo concetto ogni deduzione e conclusione. Noi possiamo scorgere la natura delle difficoltà in cui si dibatte questa proposizione e perchè venga mossa l’accusa che essa non abbia dato fruttuosi risultati. È il metodo che è errato. Se noi teniamo presente la nostra legge sociologica, noi intendiamo immediatamente che il processo sociale deve avere proprie leggi e una propria psicologia, e che sono queste che si impongono gradatamente ed ovunque all’individuo e che, in ultima analisi, guidano perfino lo sviluppo della mente umana. Uno dei temi filosofici più discussi, al giorno d’oggi, in Inghilterra e in America, è quello colà conosciuto col nome di Pragmatismo, e in Inghilterra col nome di Umanismo: il primo rappresentato da William James, il secondo dallo Schiller. Il James ha provocato infinite discussioni affermando che il nome di verità spetta a tutte quelle proposizioni che riescono a procurarci fede, e che vi riescano per mezzo [p. 344 modifica] di argomenti suscettivi di essere precisati. Il tema così indicato sotto il nome di Pragmatismo noi l’abbiamo, a dir vero, da lungo tempo preannunziato, quando vedemmo che è il processo sociale che tutta governa la mente dell’individuo. Una concezione perfetta di che sia Pragmatismo si può, in breve, soltanto acquisire dal sociologo alla luce della nostra prima legge sociologica. Il processo sociale non è dato semplicemente dalla somma delle menti individuali. Anzi sono le leggi del processo sociale che vanno formando la mente individuale, ed è appunto la conoscenza di queste leggi che noi dobbiamo d’ora in poi tener presente, quale guida per riuscire a raggiungere le proposizioni capitali della psicologia. L’uomo nella società è soggetto ad un processo il cui significato organico trascende di molto i limiti della sua vita o qualsiasi possibile interesse personale. E siccome questo processo non può, necessariamente, influenzare altro che la sua mente, è chiaro che essa deve contenere anche concetti che non si riferiscono affatto al suo interesse personale, ma che sorgono in lui come risultato del processo sociale dovuto alla legge dinamica quale noi l’abbiamo definita. Tutti i sistemi filosofici utilitari ed empirici hanno invece sin’ora avuto la tendenza ad analizzare la mente umana dal solo punto di vista del tornaconto personale.


VI.


Se applichiamo ora la legge sociologica alla storia, vediamo che la luce che essa effonde sui nudi fatti che azzeppano le pagine degli storici è ancora maggiore. Essa ci offre un principio organizzatore che riduce ad ordinato sistema i fatti capitali nello sviluppo delle società politiche della razza umana. Fu detto una volta della scuola tedesca di filosofia della storia, che essa non poteva creare alcuna filosofia storica sopra la sola osservazione di un periodo di 400 anni, trascurandone 3000. Applicando la legge sociologica in questione, noi spingiamo invece il nostro sguardo oltre i confini di qualsiasi periodo artificiale. Se noi assumiamo infatti come principio fondamentale che i moti e le evoluzioni che la storia registra, i conflitti fra gli Stati, le organizzazioni e le istituzioni sociali, la costituzione dei popoli, la lotta fra le diverse norme sociali, i diversi costumi e codici, le diverse leggi e civiltà e credenze sono tutti fenomeni governati da un principio dinamico che il sociologo è in grado di nettamente determinare, e per [p. 345 modifica] mezzo del quale noi vediamo l’individuo gradualmente evolversi come membro di un tipo sempre più organico di sistema sociale, è evidente che noi abbiamo in ciò un istrumento possente di sapere.

Il principio unifica in un sistema scientifico non soltanto tutte le epoche della storia, bensì l’intera storia dell’umanità. Noi possiamo usarne come strumento di ricerca non solamente applicandolo alla storia dello sviluppo degli stati e delle civiltà; ma anche, poichè vi produrrà egualmente efficaci risultati, alla storia dell’evoluzione progressiva delle istituzioni. Le organizzazioni ecclesiastiche, i sistemi di governo, la codificazione, le istituzioni economiche e sociali hanno generalmente seguito certe evidenti linee di sviluppo. Nel principio sociologico formulato noi abbiamo la causa dinamica che ha governato questo sviluppo, proprio come ha diretto quello della concezione umana di «chi è il mio prossimo».


VII.


Giunti a questo punto si può formulare la questione se una simile legge sociologica possa essere applicata ai correnti problemi sociali quali ce li presenta l’Economia, alla lotta di classe, per esempio, o al contrasto delle tendenze industriali ed economiche. Mi pare che la risposta debba essere affermativa. È ancora lo stesso risultato che sta scaturendo dal complesso conflitto delle forze economiche contemporanee, proprio come altrove nel campo della storia; e noi possiamo esser sicuri che è ancora la stessa legge dinamica sociologica che governa tutte le tendenze e che, in ultima analisi, determina la direzione che il progresso prenderà.

Forse un esempio pratico può qui pure esser fatto. Venticinque anni or sono la scienza economica aveva raggiunto in Inghilterra un interessante grado di sviluppo. Noi avevamo attraversato un periodo durante il quale la riduzione delle varie massime economiche ad un tutto organico che cercava di affermarsi scienza, era stata compiuta.

Durante questo periodo, tuttavia, l’attenzione degli economisti Inglesi era stata diretta con maggior insistenza allo studio dei principi della lotta economica come essi la vedevano ingaggiata fra gli individui. Ed i principi di questo conflitto economico ad oltranza fra individui divennero quasi i principi stessi della Scuola Inglese di Economia politica

[p. 346 modifica]A proposito di salari, di condizioni di lavoro nella fabbrica, di rapporti fra padrone ed operaio, fra produttore e consumatore e fra lo Stato e tutti costoro, era ritenuto che lo stato di fatto economicamente migliore fosse quello in cui la pura e semplice legge della domanda e dell’offerta potesse senza alcun freno o limite esplicare la propria efficacia nella sua interezza, fino alle estreme conseguenze. Era universalmente accettata, in breve, la concezione economica che il miglior risultato fosse quello raggiunto attraverso la lotta individuale, con la sopravvivenza del più forte.

Se noi vogliamo ora tracciare la storia della Scuola Economica Inglese nell’ultimo quarto di secolo, possiamo osservare come, per l’influenza del progresso sociologico, un certo sviluppo vi si è verificato, e che esso ha seguito una direzione nettamente definita. Ciò che gradualmente si è dovuto ammettere è che il bene dei concorrenti in uno stato di assoluta libera concorrenza fra individui non è la stessa cosa del bene della Società.

Di conseguenza si è verificata in Inghilterra una sempre più decisa tendenza verso l’intervento dello Stato nella lotta fra individui. Sono stati votati provvedimenti legislativi per regolare l’impiego degli operai nelle fabbriche, vietando il lavoro dei fanciulli, riducendo le ore di lavoro, riconoscendo le leghe operaie e perfino ufficialmente sanzionando il principio che negli accordi fra il lavoro e le pubbliche autorità il salario non dovesse discendere al disotto di un limite minimo, segnante la possibilità di una modesta esistenza.

Questo esempio riguarda l’evoluzione avveratasi nella concezione economica in Inghilterra. Ma è un esempio nel quale si rispecchia pure l’evoluzione delle tendenze economiche di quasi tutte le nazioni civili del mondo nello stesso periodo. Nella scienza economica perciò, come nelle altre scienze sociali, noi vediamo come la nostra prima legge sociologica spiega la direzione del progresso avveratovisi e come sia nettamente evidente l’azione del principio dinamico il quale sta a substrato del processo di socializzazione e che, in fondo, tutto lo governa. Crescendo la socializzazione, la lotta fra l’individuo e i suoi simili viene ad essere sempre più efficacemente diretta dalle forze che spingono la Società considerata come un tutto, verso una più organica costituzione. La distinzione nell’individuo stesso fra efficienza individuale ed efficienza sociale è qui una volta di più affermata.

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VIII.


Considerando lo stato presente della Sociologia come scienza, è importante notare qui come il carattere della legge che noi siam venuti studiando abbia un valore immediato per spiegare le condizioni attuali della scienza stessa: e studiando queste quali sono in Inghilterra, chiariremo facilmente anche la natura di una situazione peculiare in cui si trova la sociologia, salvo certe varianti, in quasi tutti i paesi.

Si è spesso rimproverato alla sociologia in Inghilterra di attrarre precisamente l’attenzione di coloro che non sono i meglio agguerriti e preparati a questo genere di studi, mentre essa poi respinge una valorosa schiera di intelletti che dovrebbe invece assumere al proprio servizio e dei quali ha la più urgente necessità; con grandissimo scapito del suo credito e della sua efficacia. Io mi proverò a spiegare la situazione come attualmente si presenta: coloro che sono più specialmente adatti a comprendere la natura e lo scopo dei problemi trattati dalla Sociologia, non possono non avere la incrollabile convinzioni che i principi darwiniani, che ci rivelano ciò che può essere detto la dinamica del processo vitale universale, hanno stretti rapporti colla dinamica del processo sociale.

La situazione tuttavia creata in Sociologia è assai curiosa, quantunque abbastanza facile ad intendersi, ove se ne siano spiegate le cause.

Se noi ci proviamo a seguire Darwin e i primi darwinisti attraverso i fatti e le ricerche che condussero alla formulazione della legge della selezione naturale, noi vediamo come essi si preoccuparono quasi esclusivamente dei dettagli della lotta per l’esistenza, quale esistente fra individuo e individuo. E ciò derivava naturalmente dal carattere stesso degli esempi osservati, forniti dalla natura selvaggia e ribaditi dalle osservazioni sugli animali domestici e dalla pratica degli allevatori. Darwin quindi non intraprese alcuno studio sistematico della società, e appunto all’infuori della società umana la lotta, per mezzo della quale ha agito la selezione naturale, è stata essenzialmente lotta fra individui. Non vi è proprio nulla altrove nella vita, che si possa paragonare con quanto noi vediamo verificarsi nell’ambito della società umana, vale a dire il graduale integrarsi, — pur sempre sotto la possente azione della selezione naturale esercitantesi sulla persona dell'individuo, — di un processo sociale organico affermantesi nelle menti.

[p. 348 modifica]Le leggi di tale processo sono necessariamente affatto diverse da quelle del più semplice processo in atto più in basso nella vita; una proposizione questa che mi è sembrata tanto importante che ne ho fatto l’oggetto principale di tutto il mio studio e lo scopo delle mie ricerche per spiegare le assai più complesse leggi dell’integrazione del processo sociale.

Ora, se consideriamo in quali categorie di studiosi la Sociologia, come scienza, dorrebbe poter trovare i suoi migliori adepti, noi vediamo che in Inghilterra ai giorni nostri, esse sono essenzialmente due. Vi sono da un lato i seguaci dei principi darwiniani interessati all’applicazione loro alla società umana, e spesso dotti in uno o più rami della scienza biologica. Vi sono dall’altro gli studiosi delle scienze sociali in genere e della filosofia sociale. Quando il darwinista si appresta a studiare la società egli è, naturalmente, fermamente convinto di avere in sue mani un potentissimo strumento di sapere che lo condurrà ben lontano nell’organizzazione delle scienze sociali e verso l’unificazione dei principi fondamentali che stanno a substrato dei fatti. Ma noi presto ci accorgiamo che egli si è sempre occupato e continua ad occuparsi dei fatti e dei principi della lotta per l’esistenza fra individui, come si svolge anche altrove nella vita. Egli non può facilmente comprendere, se non si è addestrato allo studio delle scienze sociali, quanto infinitamente più complessi si sian fatti tutti i problemi della selezione naturale in quella integrazione sociale che si va verificando, o come la efficienza individuale che egli studia sia qualchecosa di affatto distinto dalla efficienza sociale; o come le istituzioni che noi vediamo evolversi nella storia, abbiano, nei loro effetti sull’individuo, leggi affatto distinte da quelle che egli applica all’allevamento degli animali; o ancora come il conflitto di tendenze che si è schiuso nella mente umana abbia una fenomenologia tutta propria, meravigliosa per estensione ed assolutamente caratteristica del processo sociale, che rimane per lui un libro chiuso, lo studio del quale egli è spesso incline a considerare affatto privo di significato.

Non vi è quindi da sorprendersi se gli studiosi competenti delle scienze sociali considerano spesso con freddezza i tentativi dei darwinisti di applicare i principi darwiniani alla Sociologia. Poiché quantunque questi competenti studiosi possano tenersi nominalmente lontani dalla Sociologia [p. 349 modifica] propriamente detta, noi dobbiamo riconoscere che sovente essi intuiscono con assai maggiore verità la reale natura del processo sociale. Essi hanno osservato lo svolgimento delle istituzioni nella storia, hanno studiato lo sviluppo delle codificazioni, l’integrarsi delle credenze; hanno lottato coi problemi capitali della filosofia.

Essi vedono come le scienze che essi studiano siano già state in grado di formulare molte grandi generalizzazioni, profondamente vere, come quella già menzionata del Green, la quale dà un’idea del grande progresso che è stato fatto. Essi hanno quindi ben poco da imparare dai darwinisti che si limitano a tentar di applicare al processo sociale le più semplici ma affatto insufficienti leggi della lotta per l’esistenza fra singoli individui come essa è in atto ovunque altrove fuori della Società.


IX.


La grande importanza nello studio della Sociologia di concretare fin dall’inizio quale sia la natura della distinzione fondamentale che si deve fare tra la efficienza individuale e la sociale nell’individuo, si impone per molti modi alla nostra attenzione. Parecchi anni or sono fu fondata in Londra la «English sociological Society» al cui Consiglio direttivo io fui chiamato a partecipare. È stato oggetto di profondo interesse per me l’osservare da quanti punti di vista la Sociologia vi fosse considerata. Una delle prime letture tenute dinanzi alla società fu quella di Francis Galton, l’egregio autore di tante originali ricerche sulle facoltà umane, e uno dei primi sostenitori della teoria darwiniana alla quale egli ha dato numerosi ed importanti contributi teorici e pratici. Oggetto della lettura del Galton era di spiegare quali fossero lo scopo e il fine di una nuova scienza «Eugenetica», definita come la scienza che studia tutte le influenze che migliorano le qualità innate della razza e le sviluppano per ottenerne il massimo vantaggio.

Il Galton non provò alcuna difficoltà a stabilire un tipo normale sociologico per i migliori esemplari della razza. Egli ammetteva che si potesse supporre che perfino gli animali dei Giardini Zoologici sapessero distinguere i migliori esemplari della propria specie. Riguardo alla società umana l’elenco delle qualità dovrebbe comprendere la salute, l’energia, la [p. 350 modifica] destrezza, la vigoria, oltre le speciali attitudini richieste dalle varie professioni ed occupazioni. Tutto invero richiamava stranamente l’allevamento scientifico degli animali, poichè il Galton, per esempio, proponeva di lasciare fuori di questione la morale, come involvente troppe difficoltà senza via d’uscita. Queste erano le basi dello schema qualitativo che egli voleva assumere come punto di partenza per procedere al miglior allevamento scientifico della razza umana.

L’alto ingegno dell’autore e particolarmente la sua personalità come sostenitore dei principi darwiniani, diedero insolito interesse alla lettura, le cui notevoli linee fondamentali non possono essere passate sotto silenzio. L’esclusione, fin da principio, delle qualità morali è significante. Essa dà risalto nei termini più recisi alla grande confusione che si fa tra efficienza individuale ed efficienza sociale dell’individuo, due termini la cui differenza di valore è stata in ispecial modo rimarcata in questo articolo. Il Galton, è da notarsi, si è soltanto preoccupato di quelle qualità individuali che contribuiscono al successo del singolo individuo nella lotta per l’esistenza impegnata con i propri simili. Era infatti evidente che gli individui dotati di una elevatissima efficienza sociale, le grandi menti organiche della razza, — spesso affatto incomprese e inapprezzate dai propri contemporanei, — e le cui idee o concezioni morali od opere guidarono sovente la razza stessa da un’epoca sociale ad un’altra, dovessero essere proprio individui interamente incapaci spesse volte di raggiungere quel tipo normale di animale che il Galton aveva prestabilito.

Perfino nei pochi minori esempi di società di animali inferiori, il vero criticismo sociologico trova errato il modello dal Galton stabilito, fornito dall’«Eugenetica». Poichè quando, per esempio, gli insetti che vivono in società iniziarono la loro integrazione sociale, tutti i loro tipi normali erano individualistici. Se essi dunque avessero intesa l’Eugenetica nel senso qui descritto, avrebbero condannato fin dal principio, il formarsi della peculiare abitudine dell’ape regina per cui ora essa dedica tutta la propria vita unicamente alla deposizione delle uova; e tanto più avrebbero condannato le abitudini dei pecchioni per le quali essi degenerarono come individui; e in modo particolare poi avrebbero condannato le abitudini delle operaie, abitudini che le ridussero allo stato attuale, con corpo non sviluppato ed incompleti istinti. Eppure [p. 351 modifica] tutte queste cose hanno precisamente contribuito nel più alto grado alla efficienza sociale degli insetti viventi in società, ed hanno creato il tipo trionfante nell’evoluzione. Questo esempio serve ad affermare ancora, da un altro punto di vista, l’intima natura della distinzione che si deve fare in Sociologia fra efficienza individuale ed efficienza sociale dell’individuo. È quest’ultima che, in fondo, guida ogni moto evolutivo. Essa da un lato governa qualsiasi sviluppo individuale; dall’altro, come abbiamo veduto, è la causa dinamica che guida ogni progresso delle istituzioni sociali.


X.


Ragioni di spazio ci vietano una più ampia discussione di questa prima legge sociologica. Tratterò, nel prossimo articolo, del secondo dei due fondamentali principî della Sociologia.

Note