Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (1920)/II. Ser Iacopo da Leona

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II. Ser Iacopo da Leona

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I. Rustico Filippi III. Ser Mino da Colle
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II

SER IACOPO DA LEONA

I

Del modo, che Rustico Filippi tiene per poter fare il bellimbusto.

Segnori, udite strano malificio,
che fa il Barbuto, Tanno, di ricolta:
di’e’ verso l’aia rizza tal dificio,
4che tra’ si ritto, che non falla volta.
Or non è questo ben strano giudicio,
ch’a consumare ha si la gente tolta?
Chi gli averebbe dato questo uficio,
8ch’ad ogn’oni va pognendo dazo e còlta?
Non giova che la moglie Tammonisce:
— Che non pensi di queste tue fanciulle,
11se non che sopra ti pur miri e lisce? —
Que’ risponde: — Perché non le trastulle?
Tórre a’ compagni non mi comparisce,
14ca rimedir non posso pur le culle. —

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II

Confidenze d’amore fatte ad un amico.

— Amor m’auzide. — Perché? — Per ch’io amo.
— Cui? — La bella. — E non è ella saggia?
— Si è. — Bene fai dunque. — Altro non bramo.
4— Se non che? — Se non lei. — Fa’ si che l’uggia.
— Como? — Servi. — Eo servo e merzé le chiamo.
— Non ti vai? — Non. — Dunqu’è ella salvaggia?
— Non è. — Che è? — Non la fere ancor l’amo.
8— Dove? — Al core. — S’è d’amor loco, assaggia.
— Varrámi? — Si bene. — Omè, troppo tarda!
— Non tarda. — Non? — Chéd ell’è giá ripresa.
11— Di cui? — Di te. — Altro ’l mio cor non guarda.
— Ricco se’? — Come? — Per far lung’attesa.
— Ché, no! — La bella? — Prima vuol ch’io arda.
14— Non vuol. — Come ’l sai? — Non fa piú difesa. —

III

In lode di madonna Contessa.

Contessa è tanto bella e saggia e cónta,
eh io non lo saveria contare in conto;
contenenz’ha piú gaia, che si conta,
4ed è accontata di ciascun om cónto.
Lo suo bel contenemento si conta
per li cónti e boni, che sanno conto:
ché pur de’ cónti e de’ valenti è cónta,
8e d’altri, che contati, non ha conto.
La contezza e ’l piacer, ch’ella contène,
fa meglio contener lo piú contato
11e li fa far piú cónta contenenza.
Contento a lei servir sta chi contène:
contar lo vi savria tal, c’ha contato,
14ca per lei sola contèn contenenza.

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IV

Gelosia è causa di ogni dissenso tra due amanti.

— Madonna, di voi piango e mi lamento,
ché m’ingannate, ond’io doglio sovente.
— Messere, ed io doglio che da voi cento
4fiate sono ingannata malamente.
— Madonna, per voi ho pena e tormento
e dolor ne lo core e ne la mente.
— Messere, gioco è ’l vostro ver’ch’eo sento;
8per voi m’encende el foco tropp’ardente.
— Madonna, tutto avvèn per gelosia,
per fin amare, ché ciascun ha doglia,
11che teme di perder ciò, c’ha’n balia.
— Messere, quel, che divenire soglia
agli amadori, piú fra noi non sia:
14ma ciò, che l’uno vuole, l’altro voglia. —

V

Bellezza e bontá legano insieme i cuori.

— Madonna, ’n voi lo meo core soggiorna.
— Messere, e con voi lo meo si dimora.
— Madonna, a me lo meo mai non torna.
4— Messere, lo meo non sta meco un’ora.
— Madonna, che cosí li cori attorna?
— Messere, è Io piager, che l’innamora.
— Madonna, si, di voi, che sete adorna.
8— Messere, e di voi, ché bontá v’onora.
— Madonna, dunque bene si conface.
— Messere, si, bellezze e bontá insembra.
11— Madonna, lo vostro dire è verace?
— Messer, di voi tuttora mi rimembra.
— Madonna, unque altro che voi non mi piace.
14— Messer, morto sia chi mai ne disembra! —

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VI

Amore stringe solo il poeta e lascia libera la donna.

Amore par ch’orgoglioso mi fera,
tanto abbondosainente mi dá ’n costa;
piú m’incalcia, che seguscio la fèra,
4che ’n piano non la dimette né ’n costa.
Quanto partir piú mi vói’ da la fèra,
tanto a lei mi ristringe ed accosta:
madonna per se sola non mi fèra
8cotanto male, che troppo mi costa.
E bene sape corno son suo servo
e conio ubediente le son stato;
11ma giá l’Amore non ci pone mente.
Anzi distringe me solo, che servo:
e lei non tocca né move di stato,
14e pártelesi da core e da mente.

VII

In amore non basta acquistare: bisogna conservar l’acquistato.

S’i’ lasciat’ho, per far mia volontade,
ben’è s’io n’ho disasgio, s’io noi tenni;
fare uno acquisto non è gran bontade,
4ma tener l’acquistato sol i senni.
Ché, quanto l’uomo è piú sú, se ne cade,
tanto maggiormente dice: — Mal m’attenni! —
ed io, che non porta salir piú grade,
8per far contegna in basso ne divenni.
Ed addivèn che, per troppo savere,
tolle savere ed addivèn I oni matto,
11e dopo danno patto vuol cherére.
Merzé chero, ché so c’ho troppo fatto,
che mi doniate il vostro buon volere,
14ché non s’avvien d’aver voi, se non ratto.

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VIII

Non si lascerá piú ingannare da una donna leggera e incostante.

Se ’l meo ’nnamoramento e fino core
lungiamcnte fu tenuto ad inganno
per voi, die non curate el meo dolore
4e la pena, che quasi morto m’hanno,
non è piaciuto né piace ad Amore:
però mi ristora la perda e ’l danno,
novellamente m’ha tratto d’errore
8e m’ha ritornato en gioia l’afTanno.
Ché m’ha da voi, mala donna, diviso
e m’ha donato a tal, ch’a sé m’accoglie
11e mi dona sollazzo e gioco e riso.
Mai non m’inganneran piú vostre voglie
e’l vostro cor legger, ch’è ’nvoi assiso,
14si come sono in albero le foglie.