Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (1920)/XXIII. Tenzoni di rimatori perugini/XIII. Gilio Lelli a Magiolo Andruccioli

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XIII. Gilio Lelli a Magiolo Andruccioli

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XIII. Gilio Lelli a Magiolo Andruccioli
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2 — SER CECCO
Dio puní giá terribilmente quei cittadini.

Se ben racorde, giá ne fuòr punite
glie spoletin del lor mal’operare,
ché fuòr quase condutti a consumare,
4mangiando l’erbe a guisa di romite.
E puòiti ben recordar di’ rostite
e degli altre, a cui convèn dimentare,
puoi fé’ Dio l’aire e la terra tremare
8con terramoti e stronanti bonite.
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XIII

GILIO LELLI A MAGIOLO ANDRUCCIOLI


In linguaggio oscuro, probabilmente furbesco, parla d’un certo cane da caccia.

Mágiolo, el tuo bracchetto fu da mandria,
ché, per cercar, non diè mai naso a stoppola
o per tema de spine o ver di loppola,
4fuggito ne le parte d’Alissandria.

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Ma credo che ’l te fe’ venire a Flandria
colui, che t’ha ben per fanciul da poppola:
ché ti lasce cadere a cotal troppola,
8che degno se’ de morte salamandria.
Ond’io ti voglio mio consiglio porgere,
ben che, se non se chiede, secco chiamase:
11che de l’antico ben ti voglie accorgere.
Un vero amico al mondo molto bramase;
e, se vorrai sparvier, verrá de Corseca
14con fin bracchetto, che non fui’ né morseca.
Però ti prego che piú non c’introppeche:
c’have nome Rubino,
in can de guarda, ogni sparvier, che zoppeche.