Sotto il velame/Le tre fiere/VII

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Le tre fiere - VII

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Le tre fiere - VI Le tre fiere - VIII
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VII.


Di malizia? Perchè allora Dante non scinse la corda al primo ingresso nel regno della malizia? perchè non ingannò con essa il Minotauro che pare il simbolo della prima specie di malizia cioè della violenza? Invero la lussuria che divien Soddoma, la prodigalità che diviene scialacquo, l’avarizia che diviene usura, per non dir d’altro, sono punite appunto nel primo dei tre cerchietti. Andava detto prima questo trasformarsi dell’incontinenza in malizia.

Il fatto è che Dante ha espressa la sua dottrina, dove ella poteva esprimersi più compitamente: dove ha messo il serpente tentatore che è a capo della frode come Lucifero è in fondo. Egli non voleva solo dire che l’incontinenza assoluta conduce a tale o tal altro peccato; ma che ella inquina o disordina la ragione. Or la ragione è volonta e intelletto. Bene: i dannati del primo cerchietto non peccarono con l’intelletto. La frode sola è dell’uom proprio male.1 I peccati di quei violenti somigliano a quelli che può commettere anche una bestia; quelli dei fraudolenti, no. Perchè quelli dei violenti sì? Sono rei di malizia; e d’ogni malizia ingiuria è il fine. Può essere il fine in un atto di bestia? Non può [p. 146 modifica]essere. Il fine è l’obbietto della volontà.2 La volontà non è nei bruti. Dunque nei loro atti non può essere il fine. E tuttavia la volontà senz’intelletto, spinta ciecamente a un fin di male, ha qualche cosa dello émpito d’una belva infuriata. Ora i violenti hanno volontà poichè hanno un fine, ma non hanno intelletto, perchè il loro non è proprio male dell’uomo. E dunque, se essi valgono a dimostrare che l’incontinenza si muta facilmente in Soddoma e Caorsa e vai dicendo, non valgono a dichiarare questa legge più generale: che alla sfrenatezza dell’appetito tien dietro la depravazione dello spirito, cioè della volontà e dell’intelletto. O non abbiamo veduto che, appunto nella lonza, Dante assegnando come rimedio contro lei l’ora del tempo e la dolce stagione, adombrava il passaggio dall’incontinenza di concupiscibile a quella d’irascibile, e il trasmutarsi della lussuria in tristizia? non vedeva egli, nella medesima lonza, come i primi peccatori carnali, portati dalla tempesta e così leggeri al vento, così gli ultimi tristi, che sono fitti nel fango? come gli stornelli e le colombe, così le bòtte che gorgogliano? La medesima sintesi è lecito credere che egli continuasse, e la continuasse con la medesima comprensione. Se si fosse fermato al Minotauro, non avrebbe detto tutto: come allora giunse sino ai tristi, così qui va sino a Gerione. Nè gli era necessario, anzi nè utile, giungere sino a Lucifero. Gerione è il serpente infernale, Lucifero è il principe dei diavoli; sono, in fondo, la stessa cosa. [p. 147 modifica]Ma Lucifero è l’angelo in quanto, per superbia, alzò le ciglia contro il suo fattore e diventò diavolo; e Gerione è il diavolo in quanto, mosso da invidia, indusse al peccato i nostri primi parenti.

E così torniamo alla lupa, cui dipartì dall’inferno “invidia prima„.3 L’invidia trasformò il diavolo in serpente, e questo serpente si chiama frode. L’invidia scatenò la lupa nel mondo: mi pare sia naturale che anch’essa abbia nome frode. Ma no, ma no: si ripete. Lupo è Pluto; lupa è l’avarizia nel purgatorio: la lupa dell’inferno deve essere l’avarizia.

L’avarizia, dunque, che si purga nel purgatorio e si punisce nell’inferno? O allora le altre due bestie che cosa sono? L’avarizia è il più grave dei peccati d’incontinenza e dei peccati di soverchio amor del bene; ma è più lieve sì del peccato d’incontinenza d’irascibile, che si chiama tristizia o accidia, e sì dei peccati di malizia e di quelli ch’errano per malo obbietto. Dunque per le due fiere, che sono meno temibili e meno malvagie della lupa, non restano che i peccati d’incontinenza più lievi dell’avarizia: la lussuria e la gola. Sia lussuria la lonza; e molti ci hanno pensato, e, tutt’insieme, anche io la credo lussuria, sebbene non lussuria sola: il leone sarà dunque la gola? In vero ha fame, rabbiosa fame. Il peccato di Ciacco sarà dunque rappresentato dalla fiera che ruggisce e spaventa l’aria? E Dante della gola avrà avuto timore più che della lussuria? Eppure: se la lupa è l’avarizia, corrispondente a quella del purgatorio e perciò a quella [p. 148 modifica]dell’inferno, il leone non può essere che la gola. Ma il leone non può essere la gola, e dunque la lupa non può essere l’avarizia. Non può essere, ma è. Perchè Pluto si chiama lupo? Perchè si maledice, sotto il nome di lupa, all’avarizia nel purgatorio?

È e non può essere. Prendiamo l’avarizia dell’inferno, che sarà peggiore di quella del purgatorio. Ebbene, è un “mal tenere„. Vi pare che la lupa con quella fame insaziabile, con quel suo venire incontro a poco a poco, con quella gramezza che procaccia alle genti, con quella malvagità e reità, e con quel suo tanto ammogliarsi, e con quel Veltro che la deve far morire, non raffiguri se non il peccato d’un vecchietto che tenga stretti i lacciuoli della borsa? E si noti che con gli avari sono puniti i prodighi, e col mal tenere è il mal dare; e che quel mal dare non è dissipazione e che quel mal tenere non è usura o peggio: che sono, l’uno e l’altro, una dismisura nello spendio. Gli uni sono di misera vita, che li fa un po’ simili (come, del resto, i loro contrari) agl’ignavi del vestibolo, sì che non possono essere conosciuti e nominati; gli altri, non più che spenderecci e goderecci. E sarebbero gli uni e gli altri adombrati nella lupa? No, no. La lupa non è un mal dare e mal tenere. Eppure è l’avarizia.

O vediamo. Anche la lonza è una bestia leggera e presta molto, eppure equivale alla femmina balba, guercia, zoppa, monca. Ella è, realmente, la concupiscenza; virtualmente, la tristizia o accidia che dalla concupiscenza deriva. Non potrebbe essere altrettanto della lupa? Non potrebbe ella essere il primo e l’ultimo dei peccati di malizia, come la lonza è il primo (specialmente il primo, la lussuria) e l’ [p. 149 modifica]ultimo dei peccati d’incontinenza? O; come la lonza è peccato di concupiscibile e d’irascibile; non potrebbe essere la lupa peccato d’una e insieme d’un’altra disposizione?

In verità sull’avarizia è dissidio tra i dottori. È peccato carnale o spirituale? Chè4 “ogni peccato consiste nell’appetito di alcun mutevole bene, che s’appetisce inordinatamente, e per conseguenza in quello, poichè s’ottiene, alcuno inordinatamente si diletta... Ora il diletto è di due specie„: animale o spirituale, come riguardo alla lode umana e simili, e corporale o carnale, per esempio il tatto. L’avarizia non ha luogo tra i peccati carnali, perchè non è corporale il diletto dell’avaro, come del lussurioso e del goloso; tuttavia si può numerare tra i peccati carnali, per questo “che la cosa da cui l’avaro ha suo diletto, è in qualche modo corporale„. Si può; ma da S. Gregorio non si vuole. S. Tommaso ne esce ponendo l’avarizia5 “per ragion dell’obbietto, come qualche cosa di mezzo tra i peccati puramente spirituali, che cercano diletto spirituale circa obbietti spirituali (come la superbia, che è circa l’eccellenza), e i vizi puramente carnali, che cercano un diletto puramente corporale circa un obbietto corporale„.

Dante ha compreso l’avarizia tra i peccati corporali. Certo. Essa è di quella disposizione che ha in cima la definizione “i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento„ e in fondo l’altra “color cui vinse l’ira„. Ma con ciò, egli tra i carnali mette più sotto gli avari, li detesta e vitupera più degli altri. Di metterli più sotto, aveva esempi; [p. 150 modifica]abominarli così e dirli bruni a ogni conoscenza, egli volle per qualche suo effetto. E l’effetto è questo, di mostrare che essi sono come gl’ignavi e gli sciaurati di questo vizio, e che c’è, in questo vizio, qualche cosa di peggio sì, ma di men bruno, di più degno di come riprovazione così menzione.

Invero l’avarizia consiste nell’eccedere la misura con la quale si devono tenere le esteriori ricchezze. In ciò Dante è d’accordo con S. Tommaso.6 O non pensò egli, col medesimo suo autore, che eccedendo, cioè acquistando e conservando più del debito, l’uomo pecca direttamente contro il prossimo, “perchè non può, rispetto alle esterne dovizie, uno soprabbondare, se ad altro non difetta„? Anche mal tenendo, si può peccare contro il prossimo. E allora il mal tenere non è più d’incontinenza, ma di quell’altra disposizione, di cui ingiuria è il fine: di malizia. E dunque l’avarizia, come è mezza tra i peccati carnali e gli spirituali, così è mezza tra i peccati d’incontinenza e quelli di malizia. Il che è per me, da un pezzo, la stessa cosa.

E Dante poteva leggere pur nella Somma del buono frate Tommaso quest’altra faccia: anzi per certo, credo, la lesse. Lesse che l’avarizia è sì quella dismisura che abbiamo detto, e sì peggio; un’altra dismisura circa l’acquisto e il tener le ricchezze,7 “in quanto alcuno acquista danaro oltre il dovere, sottraendo o ritenendo l’altrui; e così si oppone alla giustizia„; vale a dire è malizia; “e in questo modo è intesa l’avarizia in Ezechiele, 22, dove è detto: I principi di lui nel mezzo di lui, come lupi che [p. 151 modifica]rapiscon la preda a spargere sangue, e avaramente (cupidamente) seguire i guadagni„. Ecco la lupa di Dante, ed è sì avarizia e sì è peccato d’incontinenza, perchè ruba e depreda e uccide; e chi ruba e depreda e uccide è reo di malizia. Ma, nel cerchio quarto del Purgatorio, il Poeta con le parole di Ezechiele dice:8

               Maledetta sie tu, antica lupa,
               che più che tutte l’altre bestie hai preda...

Perciò, a non dilungarci ancor più, perciò Dante chiama lupa l’avarizia, in quanto lupa può divenire, cioè depredatrice e rubatrice, tanto più che, anche restando semplice mal tenere, pecca quasi contro il prossimo, cioè fa quasi ingiuria, ed è perciò mezza incontinenza e mezza malizia.

E questo è il pensiero di Dante. Qual è il peccato per cui l’uomo comincia a distogliersi appena appena dal suo corpo, e a desiderare e fare il male altrui? L’avarizia, la quale essendo pure un’incontinenza e una dismisura, non è senza mal del prossimo. Ma il male lo fa, dirò così, senza intenzione; chè il mal tenere non è peccato di vera malizia. Qual è il peccato in cui comincia ad avvertirsi una cupidità di cose esterne alla propria carne? È avarizia; sebbene quelle cose esterne possano considerarsi un che di corporale. Ora se il male del prossimo è preso per fine? se questa cupidità si esercita su cose affatto esterne, affatto spirituali, come, più o meno, “podere, grazia, onore e fama„?9 Ecco l’avarizia divenir malizia: ecco apparir la lupa [p. 152 modifica]carca di tutte brame. Ma dunque la lupa è l’avarizia? E no; chè invece s’avrebbe a chiamare, se si esercita sul podere e sulla grazia e sul resto, s’avrebbe a chiamare invidia, come è definita nel Purgatorio. No, no, non è avarizia. La lupa è la frode, perchè depreda e ruba; è detta anche avarizia, perchè l’avarizia è l’embrione della frode, perchè dall’avarizia si comincia, quasi involontariamente, a fare il mal del prossimo...

Note

  1. Inf. XI 25.
  2. Inutile recare testi. Tuttavia vedi Summa 1a 48, 1, 1a, 2ae, 1 etc. I violenti, per la mancanza d’intelletto, vengono a rassomigliare, come vedremo, più agli incontinenti che sono sopra loro, che agli altri maliziosi che sono più sotto.
  3. Inf. I 111. «Prima» unisco con invidia, come si dice primi parenti, e peccato primo, e principio del peccare etc. Ma poco monta anche non unirla.
  4. Summa 1a 2ae 72, 2.
  5. Summa, 2a 2ae 118, 6.
  6. Summa 2a 2ae 118, 1.
  7. Summa 2a 2ae 118, 3.
  8. Purg. XX 10 seg.
  9. Purg. XVII 18.