Specchio di vera penitenza/Al discreto lettore

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Al discreto lettore

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Elenco delle più note edizioni dello Specchio di penitenza


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AL DISCRETO LETTORE.


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Quando il tipografo-editore della Biblioteca Nazionale mi palesò l’intenzione di comprendere in essa il celebre Specchio di penitenza del Passavanti, fu mia non tarda nè preparata risposta, che poco era da travagliarci intorno a questa ristampa, perciocchè quant’era da farsi per la correzione di un tal libro, lo avessero già operato i tre Accademici della Crusca che, volendolo l’intera Accademia, attesero a ripubblicare quel testo principalissimo di nostra lingua nel 1725. I consigli, poi, degli esperti e degli amici che nelle occorrenze di tal fatta mai non manchiamo di ricercare, furon cagione che di non poco si trapassassero i limiti di quel primo proposito: perchè l’uno di quelli1 suggerì di prendere a guida della nostra, anzichè ogni altra impressione, un qualche antico Manoscritto, a fine che la grafia da seguirsi meglio rappresentasse le inflessioni e la pronunzia già proprie all’età dell’autore; e un altro,2 di materie tali maestro, mi ebbe altresì mcoraggito a voler tenere sotto gli occhi, oltre alla indicata edizione del secolo a noi più vicino, [p. ii modifica]anche quelle che se ne fecero, non sappiamo per opera di chi, nel decimoquinto, e poi nel decimosesto, per le cure commendevolissime di Lionardo Salviati.

Tra i Testi a penna del Passavanti, de’ quali, come è da presumersi, non è in Firenze scarsezza,3 stimai da presceglier quello che un tempo appartenne al convento già detto delle Murate, sì perchè non annoverato fra gli altri di cui si valsero gli Accademici, e perchè l’assoluta ignoranza della latinità nel suo trascrittore, senza la quale è impossibile ogni scienza di cose teologiche, ci fu come mallevadrice del non essersi commessa in tale apografo, come forse in qualche altro, alcuna arbitraria mutazione. Esso appartiene, per verità, al cominciamento del secolo quintodecimo; ma tutta antica e fiorentina la favella4 che dal leggerlo ci risuona; costante o metodico, e generalmente corretto, il modo tenuto dal copista nel tramandarcela; ed i non radi e grossolani errori che vi s’incontrano, anzi che a natural goffaggine, sembrano da attribuirsi alle difficoltà dell’archetipo relativo, ovvero a distratta o rallentata attenzione. Per tali indizii è facile il sospettare che formatrice di quel Codice fosse una [p. iii modifica]delle suore5 del monastero che sopra dovè nominarsi; ma sarebbe un mero giuocar di sorte lo affaticarsi a ridurre un tal pensiero a qualità migliore che di semplice sospetto. Conservasi esso apografo presentemente nella Libreria Magliabechiana, nella classe IV, ch’è degli Illustrati, sotto il numero d’ordine 59.6

Dal confronto tra quel Manoscritto e le tre stampe sopra mentovate, cioè del 1495, 1585 e 1725, è risultata quella nuova lezione, o meglio mistura di lezioni, sulla quale, ben sapendo i gusti diversi e le controversie non ancora cessate su tal proposito, starò, più che altro, attendendo gli effetti della tua indulgenza. Seguitai in tutto mio stile, di cui diedi già saggi diversi, variati secondo l’età degli scrittori e le altre circostanze, e in questa Biblioteca e nell’Archivio Storico Italiano, e pubblicando nel 1844 il Rosaio della Vita: vale a dire, che fui fedele interprete della pronunzia e della grammatica de’ nostri vecchi, ma dell’antichità non ligio al segno di venerar sin’anco le mani che allora in ciò s’adoperavano, e di non usar talvolta la critica per ricondurre a verità gli svarioni in che già quelle trascorsero. Chi poi non possegga o cui manchi il tempo di consultare le tre già dette [p. iv modifica]e oggimai rare edizioni, s’avrà nelle note che la nostra accompagnano le varianti presso che tutte più notabili che in quelle possono trovarsi.

La partizione dell’opera è tale presso a poco qual’essa andò fin qui per gli esemplari a penna ed a stampa; salvo i titoli reiterati o il novamente introdotto a certe parti di essa, ovvero aliene dal soggetto, troppo dall’altre disgregate.7 Chè meglio ordinare un tal libro dall’autore lasciatoci imperfetto, non sarebbe in vero possibile, se prima non si rinvenga anche il testo latino di questa medesima trattazione, il quale non è sino ad ora chi mostri di aver conosciuto.

Allo Specchio, com’è costume, si fanno seguitare l’Omelia d’Origene sul Vangelo che tratta della Maddalena, e le quattro Concioni liviane di Annibale e Fabio e Scipione, che la credenza di qualche erudito e l’acquiescenza di più altri ci tramandarono come volgarizzate dal medesimo Passavanti. Le ripetute letture che per l’assunto incarico dovei farne, non valsero a confermarmi in codesta opinione:8 contuttociò, non essendovi chi facesse ricordo del testo latino di Origene, mi diedi a ricercarne, e trovatolo al fine delle altre Omelie Ira le opere di lui, volli [p. v modifica]col}lazionarlo colla presente traslazione, avendo, con tale scôrta, potuto correggere alcuni passi che dalle intenzioni e dal detto dell’Adamanzio troppo mi parvero dilungarsi. Così rispetto a Tito Livio; avvertendo che i più lievi errori, e quelli che possono facilmente credersi dello stesso traduttore, o i veramente insanabili, lasciai passare inosservati, o solo additandoli per qualche mia proposta o congettura.

Non ricopiandosi l’edizione fiorentina del 1725, non si stimò del caso il riprodurre la Prefazione che per essa avea dettato l’accademico Rosso Antonio Martini.9 Invece della quale, per ciò che spetta alle notizie intorno alla vita dell’autore, parve da seguir l’esempio per altri già datoci10 ristampando l’elogio che di lui leggesi tra gli Elogi degli illustri Toscani,11 composto da un religioso del suo stesso Ordine circa vent’anni dopo la fatica durata dagli Accademici; e tuttavia rinfrescandolo, dove ci parve occorrere, di qualche [p. vi modifica]novella annotazione.12 Credemmo non inutile il tessere un Elenco delle edizioni sin qui fattesi dell’opera del Passavanti; ma non essendoci accaduto di averle tutte a noi presenti, dovemmo contentarci al descrivere soltanto le più ragguardevoli e dai nostri occhi non lontane, accennando sotto brevità le meno importanti, e quelle di cui solo per le bibliografie o per buoni cataloghi potè qui aversi notizia. Vivi felice.

F.— L. Polidori.



Note

  1. Il sig. Cesare Guasti.
  2. L’ab. cav. Giuseppe Manuzzi, a cui pur molto debbo per ciò che spetta al qui soggiunto Elenco delle edizioni.
  3. Troppo tardi, per cortese comunicazione dell’odierno possessore signor Dott. Pietro Cernazai, ci giunse notizia di altro e bel Codice del secolo XV, esistente in Udine, e che fu già della libreria dei Domenicani di Cividale. Valga il ricordo che ne facciamo per quelli che d’ora innanzi vorranno porre i loro studi sull’opera del Passavanti.
  4. Cotesta fiorentinità, sebben rozza talvolta, mi feci coscienza di conservare; e perciò riposi nel testo confessoro dove gli Accademici, seguendo il Codice di Pier del Nero, avean posto sempre confessore: segno non dubitabile che nell’uno e nell’altro modo profferivasi questa voce in Firenze, ma senza che possa indovinarsi qual fosse il preferito, predicando o scrivendo, dal nostro Autore.
  5. È noto come ne’ tempi anteriori alla stampa, non solamente gli uomini, ma ancora le donne attendessero alla trascrizione dei codici. Può consultarsi il Sarti, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, Par. I, pag. 186: il quale adduce esempi, non che di pulzelle ma di maritate, che in questa lucrosa opera allora si esercitavano.
  6. Fu già Gaddiano e segnato 140. È tutto d’una stessa mano, non calligrafica per dir vero, ma simile sino all’ultimo a sè stessa, cioè senza dare indizii di svogliatezza o impazienza. In fine è notato, d’altro carattere: questo libro è del convento delle murate.
  7. Come il Trattato de’sogni, e quella a cui venne qui dato il nome di Trattato della scienza.
  8. Nè il credettero gli Accademici del 1725, a’quali anzi parve lo stile dell’Omelia da quello dello Specchio di Penitenza totalmente diverso; sebbene miglior giudizio portassero dei Parlamenti tratti da Tito Livio. Vedasi la loro Prefazione, a pag. XIV e XVIII. Dell’Omelia scriveva Daniello Bartoli (introduzione al Torto e diritto del non si può), parergli «lavoro di mano assai diversa;» e ultimamente, dell’una e degli altri, il signor Fraticelli dice aver sospetto «che al Passavanti non appartengano.»
  9. Alcuni attribuiscono questa prefazione a Giovanni Botlari, ed altri (come nell’avvertimento premesso alla sua ristampa dal Silvestri) ad Anton Maria Biscioni, che a quell’impresa non ebbe alcuna parte; com’è chiarissimo per questo brano di lettera scritta dallo stesso Bottari ad Apostolo Zeno, dei 19 marzo 1746: «Dello Specchio di vera penitenza di Fr. Iacopo Passavanti ristampato nel 1725 non occorre parlarne, perchè è pubblicato a nome dell’Accademia della Crusca. Non mi ricordo nè meno chi distendesse la prefazione, ma credo per certo che fosse Rosso Martini, nostro gentiluomo. Del resto, questo lavoro si fece in tre; e questi furono il suddetto Martini, il marchese Andrea Alamanni ed io.» Atti dell’Accademia della Crusca, Tom. 1, pag. CVII.
  10. Cioè dagli editori dei Classici Italiani nel 1808. Vedi il seguente Elenco ec.
  11. Tomo II, numero IV. L’elogio del Passavanti scrino da Giuseppe Gentili non è certo raccomandabile per eleganza nè per cultura di dettalo; e ognuno dovrà comprendere che ci. siamo solamente indotti a riprodurlo «per ciò che spetta alle notizie intorno alla vita dell’Autore.»
  12. Le note aggiunte a quelle dello stesso Gentili vengono contrassegnate con asterischi.