Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo VII/Odorico da Pordenone

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Odorico da Pordenone

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[p. 129 modifica]43. Odorico da Pordenone. — Tra i più famosi viaggiatori del Medio Evo è da annoverarsi Oderico da Pordenone, frate dell’Ordine di San Francesco (1286-1331), i cui viaggi in Asia, per iscopo religioso, come i precedenti, durarono ben 14 anni (dal 1316 al 1330), abbracciando l’Asia Minore, l’Armenia, la Persia occidentale e meridionale, la regione inferiore del Tigri e dell’Eufrate, l’India, l’Arcipelago asiatico, la Cina e parte dell’Asia Centrale. Interessantissima è la relazione di questi viaggi, da lui dettata al confratello Guglielmo da Sologna, e ricca di particolari intorno alle popolazioni ed ai prodotti naturali di quelle lontane regioni: vi si trovano però molte cose strane ed impossibili, non si sa bene se scritte da lui stesso, ovvero se introdotte da altri, per alterarne e guastarne la primitiva e genuina lezione.

Nel Minibar (Malabar), ove Odorico giunse da Ormus e per il porto indiano di Tanna (alle bocche dell’Indo), egli accenna una foresta di alberi del pepe, lunga ben 18 giornate, e percorsa da numerosi fiumi. La pianta del pepe si avviticchia a certi pali appositamente ficcati nel suolo a guisa dei pali delle viti; ha foglia di colore vivace, e lascia pendere i baccelli pieni di pepe a grossi fiocchi come i grappoli delle viti. I fiumi sono popolati da coccodrilli e da serpenti, cosicchè nella stagione della messe la gente è costretta ad accendere fuochi per allontanare quegli animali.

Discorrendo del paese di Mobar (Coromandel) Odorico descrive il modo con cui gli Indiani onoravano le loro divinità, le penitenze straordinarie che si imponevano i fakiri, e ci fa [p. 130 modifica]assistere alle cerimonie sanguinose ed alle processioni, nelle quali i pellegrini si facevano stritolare sotto le ruote dei carri splendidissimi che portavano i loro idoli.

La traversata del golfo del Bengala gli offre occasione di parlare dell’isola di Ceylon, celebre per diamanti, rubini e uccelli a due teste, e di un gruppo di 4400 isole divise tra sessantaquattro re. Dopo 50 giorni di navigazione, a partire da Mobar, Odorico giunse all’isola Lamori — nome che si trova pure presso gli Arabi — la quale corrisponde senza dubbio a Sumatra, poichè il viaggiatore vi menziona, oltre ad altri prodotti preziosi, la canfora, pianta indigena delle sole isole di Sumatra e di Borneo. Il regno di Lambri, accennato pure da Marco Polo, fioriva ancora al tempo dei Portoghesi1, e dalla descrizione che essi ne fanno si può dedurre che esso si trovasse nella parte settentrionale dell’isola, e lungo il lato prospiciente al golfo del Bengala. Le giunche cinesi che frequentavano i mari indiani non entravano adunque nel golfo del Bengala per mezzo dello stretto di Malacca, bensì fiancheggiando la costa meridionale di Sumatra. L’orribile descrizione che Odorico ci ha lasciato degli abitanti di Lamori si accorda perfettamente con quella che i viaggiatori moderni fanno delle tribù dei Bettahs. Si aggiunge che le coste meridionali della medesima isola portano, presso il nostro viaggiatore, il nome di Sumoltra, che poco si allontana da quello comunemente adottato, in tempi relativamente non lontani da noi, per indicare la seconda, per grandezza, delle quattro principali isole della Sonda.

Dopo l’isola Lamori, Odorico parla dell’isola Zaba (Giava) e de’ suoi ricchi prodotti, tra cui la noce moscata, i chiovi di garofano e gli aromi di ogni specie. È adunque assai probabile che la sua navigazione continuasse, al di là di Lamori, per lo stretto della Sonda, e che il paese di Paten, da lui descritto dopo l’isola Zaba, fosse l’isola Bintang, famosa per le sue miniere di stagno. In questo paese di Paten vi sono certi [p. 131 modifica]alberi che trasudano una sostanza avente sapore affine a quello del miele, ed altri che producono farina da far pane e lasagne. Vi crescono ad altezza smisurata canne (bambù) buone a far travi per le case e per la costruzione delle barche.

Assai distante da Giava è il regno di Campa (Ciamba di Marco Polo), che Odorico descrive come un’isola. Il re di questo paese possiede 14.000 elefanti, custoditi e governati da contadini, come fra noi i buoi. Nel mare adiacente tanta è l’abbondanza dei pesci che per qualche tratto dal lido spesso non si vede che una compatta superficie di squame. I pesci vengono spontaneamente alla spiaggia, e per tre giorni si lasciano pigliare senza difficoltà. Partito questo banco di pesci, ne viene un altro e fa lo stesso. Gli abitanti affermano che è l’omaggio reso dai pesci all’imperatore.

Nell’isola Nicumeran (?) vivono uomini cinocefali, i quali adorano il bue come loro dio principale. Il re dell’isola Dondin (?) è tanto potente, che ben 54 altri re gli sono soggetti. Di questo regno dice Odorico: «Multae aliae novitates hic habentur quae non scribo, nam nisi homo eas videret, eas credere non posset, cum in toto non sint mundo tot et tanta mirabilia quae sunt in isto regno» (Cap. 27).

Dopo pochi giorni di viaggio, a partire da Dondin, Odorico giunse al Mansi o Cina meridionale, immenso regno che contiene più di 2000 città. Quelle da lui toccate furono Cecescala o Cecescalon, identificata da alcuni con Canton, da altri, forse con maggior ragione, col porto di Tschao-tscheu-fu quasi sotto il tropico del Cancro; — Zayton grande il doppio di Bologna e piena di idoli e di monasteri; — il porto di Fuso, corrispondente alla Fu-ceu dei Cinesi; — la famosa Campsay o Quinsay della quale Odorico dice che contava più di 850 mila case; — Chilemfo, probabilmente identica con Kiang-ning-fu o Nan-King. Quivi il Frate attraversò il fiume Jangtse e giunse a Jamzai (Yang-ceu-fu), ove i Padri Francescani avevano una missione. Per via d’acqua, cioè navigando il Karamuren (Hoang-ho) ed il Canale Imperiale, Odorico giunse finalmente a Cambalech (Peking), ove soggiornò tre anni di seguito, durante [p. 132 modifica]i quali fu sempre trattato dal Gran Can con manifesti segni di benevolenza e di rispetto.

Il viaggio di ritorno venne effettuato non già per mare, ma sì attraverso l’Asia Centrale, donde non è possibile decidere se continuasse per l’India, ovvero per la regione turanica e la Persia. I dominii del prete Gianni, che Odorico percorse in questo viaggio, non erano, a quanto egli dice, la centesima parte di ciò che erano stati nel passato. La città principale portava il nome di Tozan, dato dai Maomettani alla città ed alla provincia di Singan. La provincia di Kansan o Kasan, nella quale abbondava il rabarbaro, sarebbe, secondo il Kunstmann, la Mongolia; secondo l’Yule, invece, corrisponderebbe alle provincie di Scen-si e di Setsciuen. Da questo paese, Odorico passò nel vasto regno del Tibet, e, a proposito della regione deserta che egli dovette attraversare per recarsi colà, ripete le medesime cose di Marco Polo; che cioè il paese era infestato da spiriti maligni, i quali usavano trarre fuori di strada i viaggiatori con mille arti ingannatrici, per cui, smarriti in quelle vaste solitudini, miseramente morivano. Nella città reale del Tibet, dalle muraglie a liste bianche e nere e dalle strade ben selciate, pare che il Frate accenni alla città di Lhassa, centro principale del buddismo e residenza del Dalai Lama, che egli chiama Abassi, aggiungendo che nella lingua del paese questa vocabolo ha lo stesso significato che da noi la parola Papa o Sommo Pontefice. Odorico fu adunque il primo europeo che visitasse la regione tibetana propriamente detta, ed anzi tre secoli dovevano ancora trascorrere prima che un altro europeo, il gesuita Antonio Andrada (anno 1624), vi penetrasse dalla regione indiana.

Note

  1. Barros, De Asia, Dec. Ili, lib. V, cap. I.