Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo III/Libro II/Capo V

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Capo V – Gfiurisprudenza

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Capo V.

Giurisprudenza.

I. Se la storia della giurisprudenza altro contener non dovesse che le notizie di quelli che nello studio di essa furono illustri, anche da questo capo noi potremmo spedirci in assai poche parole; poichè, a dir vero, non sappiamo di alcuno che in ciò s’acquistasse gran lode. Ma noi dobbiamo ancora osservare quali fosser le nuove leggi che a questo tempo s’introdussero in Italia, e in qual vigore esse vi si mantenessero; e intorno a ciò la storia di questi tempi ci somministra cambiamenti e vicende degne di essere esaminate. Questo stesso argomento però è già stato sì esattamente trattato da due dotti moderni scrittori, cioè dal sig. Muratori (Praef. ad. t. 1, part. 2, Script. Rer. ital., et Antiq. italic. vol. 2, diss. 22) e dal sig. Carlo Denina (Delle Rivoluz. d’Ital. t. 1, l. 7, c. 8), che poco ci rimane aa’aggiugnere alle erudite loro ricerche. II. Poichè l’Italia, distrutto il regno de’ Goti, ricadde in potere dell’imperador Giustiniano, questi, come nello studio precedente si è detto, comandò che il nuovo suo Codice vi fosse ricevuto; ee’egli era allora in istato di ottener facilmente ubbidienza. Quando dunque i Longobardi poser piede in Italia, la trovaron soggetta alla romana giurisprudenza. Essi ne conquistaron gran parte; ma non ne furon mai interamente padroni, poichè, come si è detto, [p. 213 modifica]SECONDO 213 alcune città e alcune provincie rimaser sempre in mano de’ Greci. Quindi in tre classi poteansi allora dividere gli abitanti dell’Italia; cioè in que’ che ubbidivano agl’imperadori di Costantinopoli, in que’eh’erano sudditi de’ Longobardi, e ne’ Longobardi medesimi. Di tutte e tre queste classi convien vedere partitamente quai leggi seguissero. E quanto a’ primi, cioè a que’ eli’ eran soggetti agli imperadori greci, non può nascere alcun dubbio ch’essi non si regolassero colle leggi greche, cioè col Codice e colle altre leggi di Giustiniano; e che gli esarchi che a nome de’ lor sovrani risedevano in Ravenna, e governavan quella parte d’Italia, che loro ubbidiva, su tal norma formassero i lor giudizj, e insieme pubblicassero le nuove leggi che successivamente si promulgavano dagl’imperadori. Quindi, per tralasciare più altri esempj, veggiamo che 1’imperador Maurizio avendo fatta legge che niun soldato, prima di compiere il tempo della milizia, potesse farsi monaco, per mezzo dell’esarco Longino inviolla al pontefice S. Gregorio il Grande (V1 Baron. Ann. eccl. ad an. 591), acciocchè ella in Italia ancora avesse vigore; benchè poi alle istanze del pontefice stesso la moderasse alquanto. IH. Gli Italiani sudditi de’ Longobardi, finchè questi non ebbero pubblicate le loro leggi, altre non poterono averne che quelle degl’imperadori greci. E dappoichè ancora Rotari, e poscia altri re longobardi promulgarono il loro Codice, come fra poco vedremo, gl’italiani non furon costretti a fare alcun cambiamento. Non [p. 214 modifica]2 I 4 I.TBRO solo noi non troviamo che alcun re longobardo volesse sottomettere gl’Italiani alle leggi della sua nazione, ma veggiam chiaramente ch’essi, a imitazione dq’re ostrogoti, permiser loro di viver secondo le antiche leggi. Ne abbiamo un’evidente testimonianza nelle leggi del re LiutOo prando, dalle quali raccogliesi che nei contratti i notai doveano formar gli stromenti secondo la legge che i contrattanti seguivano (l 6, c. òq)’f De scribis, dic’egli, hoc prospeximus, ut qui chartam scripserint sive ad io geni Langqbardorum.... sive ad legem Roman orum, non aliter faciant, nisi quomodo in illis le gibus continetur, ec. Doveanvi dunque essere e tribunali e giudici italiani, che agl’italiani rendesser giustizia nelle cause che si offerivano a esaminare; e quindi alcuni pochi almeno doveano essere anche a questi tempi in Italia uomini versati nello studio della giurisprudenza. Ma gli scrittori di questa età sono e sì scarsi di numero, e sì mancanti di opportune notizie, che non solo di essi non ci han lasciata memoria, ma anche de’ fatti più importanti non ci han tramandata che una confusa e disordinata contezza. IV. I Longobardi, come si è detto, vissero lungamente, a somiglianza di altri popoli barbari, senza leggi scritte di sorte alcuna. Rotari fu il primo tra’ loro re che col consenso de’ grandi del regno, de’ giudici e dell’esercito, come egli stesso nella prefazion si dichiara, fece raccogliere, ordinare e correggere quelle leggi che da lungo tempo per tradizion de’ maggiori si osservavan tra’ suoi , e formatone [p. 215 modifica]un codice, cui diede il nome di Editto, pubblicollo solennemente in Pavia l’anno 643 (V.Murat. Ann. d’Ital, ad h. an.). A queste altre ne aggiunsero poscia i successori di Rotari, come Grimoaldo l’anno 668; Liutprando l’anno 714, e in altri anni del suo regno; Rachis l’anno 746, e Astolfo l’anno 754 tutte le quali leggi raccolte insieme sono state, dopo altri autori, più correttamente pubblicate dal chiarissimo Muratori (Script. Rer. ital. t. 1, pars. 2). In queste leggi si trovan massime e principii eccellenti pel felice governo di una nazione; e il mentovato sig. Denina ne ha egregiamente mostrato il buon ordine e i molti vantaggi che ne venivano (L cit.)-, ma insieme non può negarsi che vi si veggono alcune vestigia dell’antica loro barbarie; di cui benchè poco a poco si andassero essi spogliando, non poterono però a meno di non serbarne ancor per più secoli qualche avanzo. Ma l’esaminare l’indole e la natura di tali leggi ella è opera di un giureconsulto, non di uno storico.