Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo XII

Da Wikisource.
Capitolo XII

../Capitolo XI ../Capitolo XIII IncludiIntestazione 9 maggio 2020 75% Da definire

Capitolo XI Capitolo XIII

[p. 191 modifica]



CAPITOLO XII.

[Anno 1847]


Legge sulla stampa, e impressione che produsse in Roma. — Cose occorse dal 15 marzo al 20 aprile 1847. — Apertura di alcuni casini, o circoli. — Circolare del cardinale Gizzi segretario di stato, del 19 aprile, sulla Consulta di stato. — Conosciuta appena, e prima ancora che fosse pubblicata officialmente, si volle festeggiarla con solenne dimostrazione la sera del 22 sul Quirinale. — Il Ciceruacchio la recava trascritta in un grosso cartello.


Roma era lanciata nella vita pubblica, la stella polare era la politica, e ad essa l’attenzione pressochè universale era rivolta.

A questo fine gli elementi interni non iscarseggiavano, ma gli esterni, formati in gran parte dagli amnistiati e dai loro amici, non potevano più contenersi. Il regno del pensiero era instaurato, e forza umana non sarebbe riuscita ad arrestarne la potenza irresistibile.

In Roma avevansi gli uomini nuovi della rivoluzione, ed i vecchi convertiti a più moderate opinioni, come gli Armandi, gli Orioli, i Silvani, i quali erano stati i direttori supremi della rivoluzione del 1831.1 Questi rappresentavano la parte che trattener voleva il movimento affinchè non trasmodasse, e con questi andava di conserva il d’Azeglio, che chiamavano il factotum del giusto mezzo.

Gli Sterbini poi, i Masi, i Dragonetti, i Torre, i Gazòla, i Canino, i Matthey, i Zauli-Saiani, avrebber voluto il progresso indefinito. Andare avanti era il loro motto, spingere alla rivoluzione il lor desiderio.

[p. 192 modifica]Di leggieri quindi persuaderassi ognuno che siccome ove regna il pensiero gli scrittori divengono essi gli arbitri della pubblica opinione, così Roma, fra i direttori di stampa vecchia e quelli di stampa nuova, era caduta sotto l’impero dei direttori del pensiero, i quali, vogliasi o non vogliasi, tracciavan di fatto il compito della vita pubblica. Essi in somma gli educatori, i consiglieri, i ministri, e Roma la pupilla affidata a cosiffatti tutori, fra i quali, è ben rammentare, non vi aveva un solo Romano.

Gli aderenti al governo poi sia in Roma, sia altrove, numerosi, ma inetti. Inetti non solo nell’agire, ma perfin nel sostenerlo e difenderlo dagli attacchi continuati dei suoi nemici. Ovunque la prudenza comandò il silenzio, e così l’ardire dei pochi prevalse alla prudenza dei moltL L’immenso numero poi degli egoisti, banderuole di ogni vento che nella classe dei burocratici non iscarseggiano, davan sempre, come al solito, ragione all’ultimo che parla, e questi son da tenersi a calcolo; cosicchè alla irruzione sempre crescente delle idee nuove non sentivi e non vedevi opposizione veruna, e già prevedevasi che di questa guisa procedendo, sarebbe rimasto loro aperto il non contrastato passo.

L’autorità pure era peritosa, e non teneva sempre un linguaggio franco e deciso. Se negli altri la prudenza era grande, in essa compariva grandissima. Quasi avresti detto, esaminandone gli atti, esservi qualche cosa di simile fta il volere e il disvolere al tempo stesso. Non rimproveri agl’intemperanti, non parole confortevoli ai sostenitori delle sane dottrine.

Intanto il fuoco ardeva nascosamente, e conveniva provvedervi perchè non divampasse. Già i foglietti clandestini in Toscana esercitavan la loro pressura su quel governo, che inquietato dalla loro petulanza, finì col promulgare la legge sulla stampa.

Anche in Roma racconta il Montanelli2 che fu messo [p. 193 modifica]su da Pietro Sterbini il giornaletto clandestino intitolato la Sentinella del Campidoglio, e che per farlo tacere, e distruggere ad un tempo l’esempio pernicioso di cosiffatte produzioni, si credette di ricorrere alla legge sulla stampa, la quale, vero o non vero l’asserto del Montanelli, venne promulgata il 15 marzo 1847.3 Esso la qualificò siccome la prima concessione di qualche momento dopo l’amnistia.

Detta legge, le cui disposizioni posson leggersi nel Diario di Roma, portava una censura preventiva, ed i censori designati furono:

Coppi abate Antonio.
Antici marchese Carlo.
Betti prof. cav. Salvatore.
Vannutelli avv. Giuseppe.

Era ammesso il ricorso in appello alla commissione riunita.

Letta appena la legge, il pubblico parve allietarsene, perchè dicevano: siam nel pendio. Meglio una gualcite cosa che nulla, meglio una strada, che se pure non ci permetterà di correre, c’impedirà di andare alla sbrigliata col pericolo di romperci il collo. Questa la impressione, questi furono i discorsi del primo giorno.

L’indomani però era tutto cambiato, perchè indettatisi gli esagerati, e formulato il motto d’ordine, non sentivansi che clamori e vociferazioni e disapprovazioni ad alta voce, e ciò nei caffè pubblici sopratutto. La legge era qualificata in somma poco meno che come una iniquità.

Strani giudizi per verità in allora facevansi, perchè strani erano i tempi in cui si viveva. Si era vissuto senza libertà legale e senza legge di stampa per secoli e secoli. Si apriva uno spiraglio di luce, ed in luogo di congratularsene, se ne diceva plagas.

Fu allora che per calmare la concitazione degli animi il partito dottrinario si fece avanti, e per mezzo de’ suoi [p. 194 modifica]campioni, il professore Francesco Orioli e Massimo d'Azeglio, mise fuori subito due opuscoli, in difesa deDa legge.4

Più tardi vide la luce altro opuscolo attribuito da taluno allo Sterbini, da talun altro al marchese Dragonetii.5 Si reclamava con esso libertà di stampa senza nè ceppi nè pastoie, e vituperavansi ad un tempo e la legge e i suoi difensori. Ne parlano il Farini ed il Ranalli nelle loro opere storiche,6 e questo secondo critica la legge dicendo: «Lasciamo la manifesta ingiustizia d’incarcerare il pensiero avanti che si sia reso colpevole.»

Strana pretesa per verità ci sembra quella di aspettare che il pensiero si renda colpevole per castigarlo. Ciò equivarrebbe a non voler puntellare una casa che minaccia rovina a danno e del proprietario e dei terzi. Si vorrebbe dunque lasciarla cadere per rindennizzare poscia i sofferenti? E non sarebbe le cento mila volte meglio il prevenire la sua caduta?

I Censori però adattaronsi ai tempi e agli uomini, e lungi dal mostrarsi rigorosi e tenaci, abbondarono in larghezze. E di ciò avemmo un esempio nei giornali che già pubblicavansi, e in quelli che incominciaron subito dopo a correre l’arringo, fra i quali, in quel tempo, il Contemporaneo teneva il primato. Ma di ciò altra volta. Basti per ora il dire che colla legge si ebbe infrenata, ma col fatto si ebbe quasi libera stampa. E giova non perdere di vista poi ch’eravamo in Roma papale, e che per la Roma, centro del governo ecclesiastico, la legge in questione peccava di troppo.7

Prese opportunamente la difesa della legge il Felsineo di Bologna, e nell’Educatore dell’abate Zanelli se ne parla [p. 195 modifica]e si riporta l’articolo, che è notevole per moderazione di linguaggio e assennatezza di ragioni.8

Presentaronsi però in buon punto due occasioni per distogliere la pubblica attenzione dalla discussione che ancor facevasi della legge suddetta in tutte le riunioni.

La prima fu lo innalzamento di una delle due statue colossali (quella di san Paolo) che erano nei magazzini della basilica ostiense, e che il Santo Padre ordinò che decorassero la piazza di san Pietro, in luogo di quello di minore dimensione che già vi si ritrovavano. S’innalzò detta statua il giorno 24 di marzo; e il Santo Padre all’accorso popolo compartì al solito la desiderata benedizione. 9

L’altra occasione fu la cappella papale che il giorno seguente 25 di marzo ebbe luogo nella chiesa di santa Maria sopra Minerva, ove il Santo Padre intervenne in gran treno. Terminata che fu la cerimonia traversò a piedi la piazza, e recossi all’improvviso all’Accademia ecclesiastica, che è dirimpetto alla chiesa, ove dalla loggia benedì al popolo; ritornato poi al Quirinale, lo benedì per la seconda volta. Nel recarsi alla Minerva, e nel restituirsi al Quirinale, gli applausi furono immensi, ma in gran parte combinati, perchè esprimenti il grido di Viva Pio IX solo, coraggio Santo Padre.10 Si notò che Ciceruacchio guidava una compagnia di gridatori, i quali dopo aver fatto la loro comparsa sul Quirinale, si fermarono e inneggiarono sulla piazza di Venezia, e quindi per vie accorciatoie recaronsi alla Minerva, ove fecero altrettanto per la terza volta. Ciò diciamo per dare una idea degli artifici di quel tempo, e del partito che dominava.

Lo stesso giorno 25 il Santo Padre sottoscrisse una enciclica che incomincia: «Prædecessores Nostros Romanos [p. 196 modifica]Pontifices, diretta ai vescovi per eccitare la carità a favore dei poveri Irlandesi travagliati dalla fame e dalle infermità.

Fece grata sensazione in quei giorni la visita che ricevette il Santo Padre del povero contadino Domenico Guidi da Mondolfo, antico famigliare della casa Mastai, il quale salvò la vita al pontefice Pio IX mentre era fanciullo, come meglio si racconta nel Contemporaneo.11

Oltre alle dimostrazioni in favore del Santo Padre ed ai banchetti privati e pubblici, che divennero in quel tempo di moda, incominciaronsi pure le pompe funebri, molte delle quali s’incontreranno proseguendo a leggere questi scritti.

La prima occorse il giorno 30 marzo per la morte di Vincenzo Ricci proprietario del caffè nuovo, il quale essendo stato un bel giovane, assai popolare, padre di numerosa famiglia, ed uno dei favoreggiatori delle sottoscrizioni per gli amnistiati, fu molto compianto, di che si ebbe prova nello stuolo numeroso di giovani amici del defunto, che ne accompagnarono le spoglie mortali al tempio.12

Il giorno di Pasqua 4 aprile 1847 il Santo Padre dopo celebrate tutte le funzioni, si restituì alle 5 dal Vaticano al Quirinale, ove il popolo accorsovi ottenne la solita benedizione papale data dalla loggia.13

Il 7 aprile venne aperta la società artistica italiana nel palazzo Galitzin,14 come già il 21 del mese antecedente aveva avuto luogo l’apertura del nuovo casino dei commercianti. Fu presieduta la riunione da Leopoldo Fabbri.15

Nello stesso mese di aprile, secondo il Ranalli, ebbe luogo altresì l’apertura del celebre circolo romano, i cui statuti erano stati approvati fin dal marzo.16

[p. 197 modifica]Avendo parlato del casino dei commercianti e di quello della società artistica italiana, crediamo dover osservare che quantunque il loro titolo sembrerebbe escludere la idea che fossero già o fosser per divenire un giorno ritrovi e centri di politici rivolgimenti, si vedrà che le pratiche loro non erano d’accordo col titolo.

Lo spirito però di associare associare secondo le idee del Mazzini che dominava, e che era il segreto movente di tutto, darà su ciò una facile spiegazione, e farà toccar con mano che il bisogno di unirsi e di affratellarsi, che in quel tempo facevasi sentire grandemente nei giovani, veniva via via tralignando, e le riunioni anche più semplici ed innocue, stante gli elementi che vi s’infiltravano, divenivan sede e ricovero di politiche macchinazioni. Egli è chiaro che l’essenziale era che le associazioni si formassero. Formate che fossero, a introdurvi lo spirito politico ci pensava Mazzini colle sue dottrine.

Noi non riguardiamo i primordî, ma lo svolgimento ed il fine di associazioni siffatte, e ci rammentiamo in proposito del casino dei commercianti, che vi fu un momento nell’anno 1848 in cui tutti i casini di Roma si riuniron nelle sue sale, e ivi fu discusso se si dovesse o no decretare un governo provvisorio. Ciò si racconterà meglio a suo luogo, bastandoci per ora di aver piantata la massima generale, massima che gli avvenimenti posteriori vennero lucidamente a confermare.

Quanto poi al circolo romano, il quale governò Roma nel primo periodo della rivoluzione, come il circolo popolare la governò nel secondo, quando cioè le idee di papato dileguavansi e quelle di repubblica acquistavano vigore, ci sembrano entrambi di troppa importanza per non chiamarci a consacrare espressamente un capitolo, che sarà il sedicesimo di questo primo volume, per tesserne la storia. Ivi si parlerà anche degli altri sia in genere sia in ispecie, ed i nostri lettori speriamo che leggendo ciò che ne diremo, potran ritrarre idee chiare e [p. 198 modifica]distinte tanto sulla loro importanza, quanto sulla loro influenza.

Intanto chiuderemo il presente capitolo colla narrazione di ciò che occorse in Roma per la circolare di segreteria di stato sulla consulta, che porta la data del 19 aprile 1847. Essa era diretta ai legati e delegati delle Provincie. Eccone il tenore:


«Ill.mo e Rev.mo Signore,

«In mezzo alle gravi cure del sommo pontificato la Santità di Nostro Signore non cessa di occuparsi con paterna sollecitudine di que’ miglioramenti, de’ quali possono aver bisogno i diversi rami della pubblica amministrazione. Quanto abbia già operato il Santo Padre per raggiungere questo importantissimo scopo, io non debbo qui rammentarlo. Tutte le persone savie che amano il vero bene dello stato, e che formano certamente l’immensa maggioranza dei sudditi, lo riconoscono, e ne esprimono la loro gratitudine al benefico e generoso . sovrano.

» La Santità Sua confidando nell’assistenza del Signore, continuerà nell’adottato sistema di migliorare successivamente la cosa pubblica dentro que’ giusti confini che nell’alta sua sapienza si è prefissi, e con quella maturità di consiglio che in detta opera si richiede. E una prova novella di queste benefiche intenzioni del Santo padre Vostra Signoria Ill.ma la troverà nella comunicazione che vengo a farle.

» Le dirò pertanto che la Santità Sua desiderosa sempre di regolare l’andamento delle amministrazioni dello stato nel modo più soddisfacente, si propone di scegliere e chiamare a Roma da ogni provincia un soggetto, che distinto per la sua posizione sociale, per possidenza, per cognizioni, riunisca in sè la qualità di suddito affezionato al pontificio governo, goda della pubblica [p. 199 modifica]estimazione, ed abbia la fiducia de’ suoi concittadini. Intende il Santo Padre di servirsi dell’opera di tali soggetti, ne’ modi da stabilirsi in appresso, tanto per coadiuvare la pubblica amministrazione, quanto per occuparsi di un migliore ordinamento dei consigli comunali in simili materie. Le persone che ora ed in seguito verranno da Sua Santità prescelte, dovrebbero risiedere nella capitale, almeno per due anni.

» Ella comprenderà facilmente di quanta importanza sia lo scegliere i soggetti, i quali corrispondano pienamente alle intenzioni di Sua Beatitudine: altro movente essi non debbono avere che l’amore del pubblico bene, nè altro scopo prefiggersi che il comune vantaggio. Si compiacerà pertanto V. S. Ill.ma d’indicare due o tre di tali soggetti, appartenenti a codesta provincia, affinchè il Santo Padre possa tra essi prescegliere il più adattato.

» L’illuminato zelo di V. S. Ill.ma, la sagace sua operosità, e le prove da lei già fornite della premura con cui si studia di secondare le benefiche intenzioni della Santità Sua, danno la certezza di veder corrisposte le sovrane disposizioni, anche nella presente circostanza in cui trattasi di predisporre una misura che può apportare grandi vantaggi allo stato ed a ciascuna provincia.

» Intanto con distinta stima mi confermo.»

aff.mo per servirla

P. cardinale Gizzi.17



CIRCOLARE

N. 12,148 Sezione

Monsignore .... delegato apostolico.


L’effetto prodotto dalla detta circolare negli uomini del movimento fu immenso, ma non vennero a conoscerla [p. 200 modifica]che il giorno 22. Tanto ciò è vero, che il 21 aveva già avuto luogo il famoso banchetto popolare sul monte Esquilino, di cui parleremo nel capitolo seguente, e mentre una parte dei Romani era già in attesa che i festeggianti del banchetto fossero per recarsi dopo sul Quirinale per fare una di quelle che nel linguaggio del giorno chiamavansi dimostrazioni, si fece lor sapere che non vi era nè vi poteva essere luogo a dimostrazione veruna, e quindi vennero invitati a ritirarsi pare alle loro case; nè in così vasta agglomerazione di persone favorevoli al movimento iniziato una parola sola s’intese allusiva alla circolare. Dunque la sera del 21 nulla sapevasi, ma la mattina del 22 fu ben altra cosa.

Si diffuse come lampo la notizia, e gli ordini vennero subito diramati, secondo il metodo da noi accennato nel capitolo IX, per una dimostrazione nella sera stessa. E siccome era per un oggetto che gli uomini del progresso desideravano ardentemente, ritenendola siccome una diminuzione del potere temporale del papa, fu quindi vivissimo in essi il desiderio di festeggiarla con pompa solenne.

Noi diremo di più che so ne fece una dimostrazione così significativa, che non possiamo a meno di non maravigliare come dal Farini se ne dia un cenno soltanto, aggiungendovi: «L’editto fu accolto con molta soddisfazione, e se ne fecero gli usati segni.»

Troppo poco si dice con ciò, ed i lettori con questa meschina narrazione di una festa così imponente non possono acquistare un’idea chiara e distinta dello stato di Roma in quel tempo, nè del quanto dovesse essere esaltato lo spirito pubblico, nè dell’astuta operosità della rivoluzione.

Non son queste cose da toccarsi così di volo, nè da tramandarsi ai posteri con aurea semplicità, passando sopra a quel che v’ha di malizia in ciò che si fece. Chi adoperasse in questa guisa tradirebbe l’istoria e ingannerebbe il mondo. Quanto si operava vedovasi da tutti, ma [p. 201 modifica]come si vedrebbe un orologio bello e fatto. A noi piace di studiare la verità, studiando e investigando di tutto l’interno macchinismo e le molle nascoste.

Ma vi è di più. La Rivista del 30 ci dette una descrizione della festa, dicendoci: che saputasi appena dai cittadini la circolare, nacque in tutti il desiderio di festeggiarla, e che la sera numerosissimo stuolo di cittadini, da caldo amore di gratitudine ispirati, si radunarono nella piazza del Popolo, ed ivi, muniti tutti di accese faci, preceduti da scelta banda militare, mossero in bell’ordine seguendo la via del Corso al Quirinale.

Ci dice il poeta Lucrezio che gli atomi vaganti da secoli infiniti nella immensità dello spazio, dopo essersi sbattati e risbattuti, finalmente, per un favorevole accozzamento, vennero formando per caso questa macchina così bene ordinata che chiamasi mondo.

Domandiamo or noi se la narrazione della Rivista sulla festa del 22 di aprile non presenta qualche cosa di simile al romanzo del poeta filosofo? E il nostro Giornale Ufficiale faceva poco men che l’eco alla Rivista! Povera storia come fosti tradita, e quanti e quanti ledendoti credevano di vedere chiaro, ed eran nelle tenebre le più profonde!

Non sente del prodigio di fatti quel muoversi tutti ad un tempo come una macchina ordinatamente verso un centro comune, e tutti con torcie accese ordinarsi e reggimentarsi a drappelli, e incedere processionalmente verso un dato punto?

E perchè non dirci la verità, informandoci che scoperto appena da chi dirigeva il movimento d’allora la emanazione della circolare in discorso, vennero trasmessi gli ordini per la organizzazione della festa, e che gl’invitati, obbedendo tatti a questi ordini, recaronsl sulla piazza del Popolo ove poi la processione e la festa si venne formando e coordinando, come poi formata e coordinata tutti la videro?

Il Ranalli almeno è più sincero, e ci dice chiaramente: «che la Consulta di stato era riguardata come preludio di [p. 202 modifica]qualche cosa maggiore, e che dopo l’amnistia accolsero i popoli questo atto come il più benefico e il più importante del pontificato di Pio, facendone non meno che della prima, liberale e vantaggiosa interpretazione. Non guardarono che la promessa dei pubblici miglioramenti fosse annunziata dentro confini; nè si sfiduciavano che la proposta dei novelli deputati non venisse da elezione popolare, ma dipendesse dai medesimi capi del governo.

Giudicarono invece che fosse un grande avanzamento quello che il governo faceva, mettendosi sotto la pubblica opinione. Ripensarono al Primato del Gioberti, e a quella Monarchia consultiva ch’ei proponeva; parve a molti che fosse come un cominciare a mandare in esecuzione le teoriche dell’accetto e fortunato filosofo. Ai più sperti delle cose politiche parve ancor più; doversi poi dalla Consulta, cosa sempre precaria e insufficiente, passare ad una vera popolar rappresentanza. Così il Gioberti acquistava il titolo di profeta, così il popolo si rallegrava e infiammava a cose maggiori.»

In una parola ci dice chiaramente il Ranalli che si considerò la Consulta, o si volle far mostra di considerarla, come una specie di popolare rappresentanza che equivarrebbe, in buoni termini, ad una diminuzione del potere temporale del papa.

Non cade pertanto dubbio veruno sulla importanza che volle darsi all’atto anzidetto, celebrandone con pompa straordinaria la festa. Ma noi aggiungeremo che allora quando si vedrà ciò che si fece, e si conoscerà ciò che non si permise, ma voleva farsi il 15 novembre quando ebbe luogo la installazione della Consulta, allora si vedrà ancor meglio quale fosse il vero spirito della dimostrazione, e quale la interpetrazione all’atto che provocavala.

La festa dunque ebbe luogo mediante le istruzioni che da due centri in allora famosi diramaronsi ai capi popolo dei rioni, da questi ai loro capi-squadra, e infine da questi ai loro dipendenti.

[p. 203 modifica]Il ritrovo fu secondo il solito nella piazza del Popolo. Le toreie di pece eran preparate per varie migliaia di persone, che non furono al certo meno di due o tre mila, quantunque da alcuni relatori se ne esagerasse il numero, portandolo a quattro o cinque mila, le quali accompagnate da musicali concerti recaronsi sul Quirinale già gremito di gente. Ciceruacchio faceva da vessillifero, ed in luogo di una bandiera portava un gran cartello, sorretto da un’asta di legno, ove a caratteri visibili era fedelmente trascritta la circolare del cardinale Gizzi. Dopo che il Santo Padre ebbe compartita all’affollato popolo la consueta benedizione, tanto i festeggianti ordinati, quanto i seguaci curiosi, direm meglio, tanto gli attori, quanto gli spettatori, nel massimo ordine dissiparonsi.

A noi sembra però che nel portare la circolare trascritta sul cartello vi fosse indiscretezza e impertinenza.

Indiscretezza perchè una circolare non era un editto al pubblico, come impropriamente vien chiamato dal Farini. Era una comunicazione del superiore governo ai suoi delegati, ma non diretta al pubblico il quale non ne venne in cognizione legalmente, per mezzo del Giornale Ufficiale, che il giorno 24; cosicché il cartello del Cicemacchio potè considerarsi come una di quelle incisioni a bulino che si diffondono prima di avervi apposto il nome dell’autore, e che chiamansi artisticamente avanti le lettere.

Indiscretezza pertanto si fu il pubblicare popolarmente un atto, prima di conoscerne legalmente l’annunzio sia per affissione al pubblico, sia per inserzione nella gazzetta.

Impertinenza poi perchè l’atto anzidetto, o strappato dagli uffici gelosi della segreteria di stato, o dato dagli stampatori, o avuto in altro qualunque modo, venne annunziato e comunicato al pubblico per il veicolo di Ciceruacchio, il quale fino allora era stato veicolo (come carrettiere) di legna, bestiame, e foraggi, ma non di editti, di circolari, e di leggi. Per tal modo si venne, con atto [p. 204 modifica]così imprudente ed inverecondo, a mettere in piazza quello ch’era ancora un segreto governativo.

E che diranno i nostri lettori allorquando rammenteremo che oltre il cartellone portato dal tribuno del popolo Ciceruacchio, ne vider tutti un altro ove dal lato che veniva riguardato dal papa eravi scritto a lettere cubitali Religione, mentre dal lato posteriore che veniva riguardato e letto da tutto il popolo eravi scritto Libertà, essendone vessillifero quell’Angelo Bezzi romagnolo, compagno di Ciceruacchio, che poi figurò come una delle molle principali della polizia sotto il regime repubblicano?

Questa è pura storia, e le particolarità che narriamo furono beli distintamente osservate e notate da noi pel tempo in cui occorrevano, appunto perchè nulla si perdesse di ciò che accadde, a sussidio della nostra storia.

Nell’avere però biasimato i modi usati per festeggiare la circolare sulla Consulta, non si creda già che ancor noi non avremmo veduto con piacere formarsi una eletta di persone colte e sperte nel maneggio degli affari, venire in aiuto del governo, e imprimergli quella celerità ed energia di movimenti di cui difettava, ove gli eletti fossero rimasti sinceramente e scrupolosamente attaccati al loro mandato e non avessero aspirato a cose maggiori, che vennero mai sempre riguardate siccome incompatibili eolla natura eccezionale del governo di Roma; governo che molti utopisti in quel tempo si eran fitti in capo d’imbastardire, lasciandolo prete e vestendolo cogli abiti da secolare. Avremmo desiderato in somma che il partito di principî politici miranti ad altro scopo non vi si fosse intruso maliziosamente; ma per nostra sventura, mentre vi erano delle onesto persone sotto tutti i rapporti, vi eran pur troppo parecchi animati da sentimenti meno temperati, i quali guastarono ogni cosa come in tutti i tempi ed in tutti i luoghi è accaduto, e son quelli in grazia dei quali, lungi dal procedere oltre, s’indietreggia.

[p. 205 modifica]Rimandiamo i nostri lettori per tutto ciò che alla festa della Consulta si appartiene alle opere indicate a piè di pagina18, e con questo diamo fine al capitolo XII.








Note

  1. Vedi la Storia della rivoluzione di Romagna del 1831, di Antonio Vesi. Firenze 1851, voi. I, in-12.
  2. Vedi Montanelli, Memorie, vol. I, pag. 141.
  3. Vedi il Diario di Roma del 20 marzo 1847.
  4. Vedi le Miscellanee, vol. II numero 22 e 23.
  5. Vedilo nel vol. II, Miscellanee, n. 24.
  6. Vedi Farini, vol. I, pagina 183, e vedi Ranalli, volume I, pagina 91.
  7. Vedi Documenti vol. II, dal n. 20 al n. 24.
  8. Vedi l’Educatore dell’anno 1847, pagina 108.
  9. Vedi il Diario di Roma del 27 marzo.
  10. Vedi il Contemporaneo del 27 marzo ed il Roman Advertiser del detto giorno; e vedi pure il Diario di Roma del detto giorno.
  11. Vedi il Comtemporaneo del 3 aprile 1847.
  12. Vedi la Pallade di Gerardi, del 31 marzo, e l’Artigianello del 10 aprile 1847.
  13. Vedi il Diario di Roma del 6 detto.
  14. Vedi l’Italico anno I, n. 8 e 9.
  15. Vedi la Rivista di Tosi, anno XVI, n. 12, prima pagina.
  16. Vedi Ranalli, vol. I, pag. 93.
  17. Vedi il vol. I, Motu-propri ec. n. 9, Vedi il Diario di Roma del 24 aprile 1847.
  18. Vedi il Diario di Roma del 21 aprile 1847. — Ranalli, vol. I, pagina 95. — Farini, cap. III, vol. I, pag. 188. — Documenti, del Volume II, n. 28 e 29. — Gualterio, vol. I, parte II, Riforme, pag. 433.