Storia segreta/Capo XV

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CAPO XV.

Ritratto di Teodora. Giustiniano ed essa governando in comune fingono sentimenti diversi e contrarii; e perchè. Conseguenze di questa loro condotta. Giustiniano incomincia dall’innovare e confondere tutti gli ordini stabiliti, o ne cambia i nomi. Uso che fa dell’oro, in qualunque modo raccolto. Mette in guerra tra loro i Barbari, e li alletta alle incursioni sulle terre dell’Imperio. Compra la pace, e poi la rompe.

Era Teodora leggiadra di volto e piacente, pallidetta alquanto, con occhi assai vivi, piccola di statura, e ne’ moti della persona vivacissima. Se alcuno volesse narrare quanto fece sulla scena, avrebbe a dir tanto che glie ne mancherebbe il tempo. Ma col poco, che disopra toccammo, credo a’ posteri essersi detto quanto basti onde ne sappiano i costumi. Ora esporremo in compendio quello che da lei e dal marito fu fatto, giacchè nella condotta degli affari tutto fu comune ad entrambi; ancorchè per molto tempo, ed assai studiosamente cercassero di far credere a tutti di avere avute opinioni diverse, e contrarie cure. Chè finalmente s’ebbe a toccar con mano qualmente essi a bella posta adottarono questa specie di simulazione perchè i sudditi, avendo d’essi incerta opinione, non fossero tratti a sedizione; e di ciò vi potrebbe essere stato pericolo se li avessero creduti nelle loro risoluzioni d’accordo.

Da principio adunque, così fingendo, i Cristiani ingannarono, gli uni già dagli altri discordi, e nelle [p. 102 modifica]quistioni, ond’erano tra loro divisi, siccome in appresso diremo, vieppiù riscaldarono. Teodora poi mostrò in ogni maniera il favore ch’essa dava ai Veneti, permettendo loro ogni più atroce impeto di violenze e di scelleraggini contra i loro avversarii quante mai volessero. Giustiniano finse di mal volentieri soffrire una tale condotta, e di sdegnarsene, e di non potere nemmeno con espressi comandi contenere la moglie ne’ giusti termini. Qualche volta volle parere di usare risolutamente della sua autorità: e decretava che si punissero i delitti de’ Veneti. Teodora allora mostrava di riprovarne la deliberazione, e con iniquo animo andava dicendo d’essere stata dal marito delusa. Ma, siccome dissi, i Veneti mostraronsi moderatissimi, poichè di fatti facevano agli altri meno male di quello che avrebbero potuto impunemente fare ad essi.

Nelle cause civili, per simulazione pur anche, uno d’essi favoriva ad uno de’ litiganti, e l’altro all’altro: da ciò veniva che quegli vincesse la causa, che avea meno ragione; e così i principi guadagnavano la maggior parte di ciò di che litigavasi. Molti accolti nella famigliarità di Giustiniano ottenevano di poter fare nelle cariche pubbliche e disfare, e violentemente e scelleratamente, qualunque cosa loro piacesse: ma poichè si fossero sommamente arricchiti, o tosto che d’essi Teodora si chiamasse scontenta, erano trattati da infedeli. In principio egli con ogni apparenza d’impegno dichiaravasi sostenitor loro; ma in fine ritirato ogni segno di benevolenza, quello stesso impegno diede luogo a tumulti: e Teodora allora fieramente incrudelì [p. 103 modifica]contro di coloro; e il Principe dandosi l’aria di non sapere che cosa a danno loro si facesse, impudentemente prendeva possesso di tutta la loro sostanza. Con queste arti, d’accordo fra di loro, e palesemente mostrandosi in aperta discordia, gli animi de’ sudditi traendo a diversi concetti, più saldamente si assicurarono nella loro tirannide.

Giustiniano salito sul trono tosto prese a confondere tutte le cose, ad introdurre nella repubblica quanto dalle antiche leggi era stato proibito; e ad interdire quanto dalla consuetudine era consecrato come se il real manto avesse indossato per voltar faccia alle cose. Egli abrogò le forme stabilite de’ magistrati, e le leggi, e gli ordini militari; ed altre regole introdusse, non da giusto diritto indotto, nè dalla considerazione del pubblico bene, ma dalla vanità che tutto fosse nuovo, e tutto portasse il suo nome. Per questo alle cose che immantinenti non potesse abolire, diede ad esse per lo meno una denominazione sua. Non potè mai satollare la fame ch’egli avea del sangue e dell’oro: perciocchè fatto bottino di quanto nelle opulentissime case d’uomini denarosi poteva raccogliere, movea ad assaltarne degli altri; prodigalizzando poi subito le rapite dovizie ai Barbari, o gittandole in pazzi edifizii. Così macchiato del sangue di crude stragi, parecchie altre ne movea nell’animo, nuove insidie studiando. I Romani erano in piena pace colle nazioni straniere; ed egli da furor sanguinario agitato, impaziente di riposo, tutti da ogni parte i Barbari mise alle mani tra loro; e senza ragione a sè chiamati i capi degli Unni, con istolta munificenza diede [p. 104 modifica]loro enormissime somme per conciliarsene, diceva, ed assicurarne l’amicizia: cosa che dicemmo avere anche fatta vivendo Giustino. Le quali somme poi avute, que’ medesimi altri capi e le turbe loro eccitavano ad entrare nelle provincie dell’Imperio, e a saccheggiarle, per vendergli anch’essi a peso d’oro la pace. Nè tardarono questi a depredare le città de’ Romani, e ad ottenere con ciò dall’Imperadore per sì bel merito gli stipendii; e a que’ secondi altri succedettero devastatori egualmente delle stesse già devastate terre, i quali carichi pur di bottino dal munificentissimo Principe traevano ancora la mercede delle loro incursioni. E per dir tutto in poco, niun tempo essi frapposero tra l’una e l’altra incursione, e tra l’uno e l’altro devastamento, queste cose succedendosi con perenne giro. Imperciocchè molti essendo i capi de’ Barbari, e molti i luoghi, ne’ quali all’intorno stanziavano, la guerra era fatta loro ordinaria faccenda per le smoderate largizioni appunto dell’Imperadore incominciata, e tale poi divenuta da non avere mai fine, poichè sempre si tornava da capo. Così a quel tempo non vi fu paese de’ Romani, non monte, non caverna, salvi da saccheggiamento; e a molte provincie toccò d’essere fino a cinque volte, ed anche più devastate.

Siffatti mali da costoro recati, e dai Persiani, dai Saraceni, dagli Sclavi, e da altri Barbari, io narrai ne’ libri antecedenti; nè ad altra cagione possono tutti riferirsi, che a quella, che ho qui notata. Gran denaro spese per istabilire la pace con Cosroe; poi ostinatamente seguendo il suo capriccio, senza alcun motivo ruppe il trattato, con ogni genere d’intrighi, e di [p. 105 modifica]sforzi fatta alleanza con Alamundaro, e cogli Unni, ch’erano socii e confederati de’ Persiani: il che mi ricordo d’avere già detto a luogo debito.