Storie allegre/Chi non ha coraggio non vada alla guerra/I

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Chi non ha coraggio non vada alla guerra - I

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Chi non ha coraggio non vada alla guerra Chi non ha coraggio non vada alla guerra - II
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I.

Leoncino è un ragazzetto entrato appena nei dieci anni.

― Perchè questo nome di Leoncino? domanderete voi.

La storia sarebbe un po’ lunghetta, ma io ve la racconterò in quattro parole.

Bisogna dunque sapere che quando questo bambino fu portato al fonte battesimale, la sua mamma avrebbe gradito volentieri che si fosse chiamato Luigi: ma il suo babbo, incaponitosi a farne col tempo un guerriero (il babbo era comandante dei pompieri e bisogna perdonargli certe debolezze guerresche) volle a tutti i costi che fosse battezzato col nome di Napoleone.

Napoleone!... Come si fa, domando io, a mettere un nomone così grosso sulla testa di un tenero lattante? C’è quasi il pericolo di soffocarlo! [p. 126 modifica]

Fatto sta che in famiglia, per un vezzeggiativo, cominciarono subito a chiamarlo Napoleoncino: ma poi, avvedutosi che questo vezzeggiativo era troppo lungo, gli tagliarono le due prime sillabe (Na-po), e di un Napoleoncino, ne fecero per risparmio di fiato un economico e modesto Leoncino.

Il piccolo guerriero crebbe a occhiate, e a dieci anni era già diventato un bel ragazzo. Correva, ballava, saltava, faceva la ginnastica, e cosa singolarissima! qualche volta anche studiava.

Di burattini e di altri balocchi non voleva saperne. L’unica sua passione erano le sciabole di latta con l’impugnatura dorata e i fucilini a saltaleone, da caricarsi in tempo di pace coi lupini secchi, e in tempo di vera guerra coi sassolini di ghiaia e coi noccioli di ciliegia.

Il suo babbo poi, per contentarlo e per coltivargli sempre più lo spirito marziale, gli aveva fatto fare anche l’uniforme di generale d’armata, con le spalline di bambagia gialla come lo zafferano e con un berretto di panno scuro, ornato di un bel nastro di tela incerata e rilucente, che, veduto da lontano, pareva proprio un gallone d’argento.

Venuto il tempo delle vacanze, Leoncino fu condotto a villeggiare in casa di un suo zio, ricco possidente di campagna.

Questo zio aveva una nidiata di cinque figliuoli, tutti bambinetti fra i sette e gli undici anni. Figuratevi la contentezza di Leoncino, quando si trovò in mezzo a quegli altri cinque monelli.

Com’è naturale, pensarono subito, tutti d’accordo, di fare i soldati. Arnolfo, il più piccolo dei cugini, nominato [p. 127 modifica]trombettiere di reggimento, andava avanti al corpo d’esercito, sonando la tromba con la bocca; Raffaello, il più alto di tutti, faceva da cavalleria, per cui era obbligato a camminare sempre di trotto o di galoppo, e qualche volta anche a nitrire e tirare i calci, a uso cavallo: Asdrubale e Gigino rappresentavano il grosso della fanteria: Tonino guidava i carri dell’ambulanza, strascinandosi dietro il carretto dell’ortolano, per caricarsi su, dopo la battaglia, i morti e i feriti; e Leoncino.... Leoncino poi, come potete immaginarvelo, era il comandante generale, e marciava sempre alla testa della grande armata.