Storie fiorentine dal 1378 al 1509/XXII

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RIVOLTA DI VALDICHIANA E D’AREZZO
RICONQUISTA DI PISTOIA (1502)


1502. Successe lo anno 1502, anno di grandissimi movimenti e variazione per la città nostra; nel principio del quale parendo a’ cittadini di essere per lo apuntamento fatto col re, sicuri da potere essere molestati, volsono gli animi alle cose di Pisa, alle quali, poi che e’ franzesi vi furono a campo, si era atteso poco; e consultandosi quello fussi da fare, si conchiuse che e non fussi di andarvi a campo perché la spesa sarebbe grande, e sí grande che la città esausta e piena di molti carichi la potrebbe male comportare; di poi la impresa sarebbe difficile, perché noi non avevamo a soldo uomini di qualità, né ci era in Italia chi condurre se non e’ Vitelli e gli Orsini riputati inimici nostri, ed el marchese di Mantova che non si poteva tôrre perché se ne sarebbe dispiaciuto al re di Francia suo inimico, eraci poche altre arme di qualità, e quelle erano obligate a’ viniziani ed al re di Spagna, come el conte di Pitigliano, signore Bartolommeo d’Alviano ed e’ Colonnesi; e però non si poteva fare uno esercito potente da andare a campo a Pisa, e quando si potessi fare, che e’ pisani erano sí ostinati e valenti nelle arme, e la città loro sí munita e piena di artiglierie e cose necessarie al difendersi, che non se ne poteva sperare facilmente vittoria, e massime che arebbono qualche rinfrescamento di fanti o dal Valentino o da’ viniziani o da’ nostri vicini, il che era facile a fare a ogni potentato benché piccolo, perché era spesa che aveva a durare pochi dí.

Queste ragione cosí saviamente considerate e confermate colla esperienzia di molti anni che aveva dimostro quale frutto si fussi fatto delle provisioni gagliarde, feciono volgere gli animi de’ cittadini a pensare che e’ sarebbe bene dare loro el guasto al grano e di poi recuperare Librafatta e tenere cavalli quivi e negli altri luoghi oportuni del contado per proibire che in Pisa non entrassi vettovaglia per terra. E di poi fatto questo, si potrebbe col soldare qualche legno tenere chiusa la via di mare, e cosí temporeggiando ingegnarsi di consumargli in uno anno o in due colla fame, al quale male non potrebbe resistere né la fortezza di Pisa, né la valentia degli uomini che vi erano drento; e gli altri potentati di Italia non vi potrebbono cosí di facile riparare, perché sarebbe cosa di grande spesa e disagio avere continuamente a mettere drento in Pisa e tenerla provista di vettovaglie; ed e contrario noi potremo fare queste cose con poca spesa; allegando che se cosí si fussi fatto dal 94 in qua e non atteso alle espedizione grosse, noi ci troverremo in piú danari assai, ed e’ Pisani sarebbono tanto stati consumati ed attenuati, che Pisa sarebbe qualche anni innanzi stata nostra.

Fatta questa conclusione, perché non vegghiava uficio di dieci, perché el popolo invelenito nella venuta di Valentino contro a’ primi cittadini, non aveva voluti poi creare, la signoria commesse a parecchi cittadini che attendessino a questa espedizione, e mentre che con gran caldezza si attendeva a questo ordine e’ pisani contro alla espettazione di ognuno presono furtivamente Vicopisano, per tristizia di alcuni fanti che vi erano drento, o per dapocaggine o cattività di Puccio Pucci che vi era castellano, el quale n’ebbe bando di rubello. Ma riscaldandosi per questa perdita piú gli animi degli uomini, fu subito aviato giú messer Ercole Bentivogli governatore delle nostre gente, ed eletto per commessario generale Antonio Giacomini, el quale per essere stato già soldato del signore Ruberto da Sanseverino ed essere uomo vivo ed in sull’arme aveva gran riputazione nel popolo di essere valente uomo nella guerra, ed inoltre fede, perché era tenuto amatore del popolo e di questo consiglio, e che sanza alcuno rispetto si opporrebbe a’ cittadini grandi.

E’ pisani, intesi gli apparati nostri, avendo richiesto di aiuto ed offerto la città a’ viniziani, al Valentino ed a tutti e’ potentati di Italia, e non trovato sussidio di gente d’arme e da stare alla campagna, avuto, credo, qualche danaio da’ lucchesi, condussono el Fracasso che si stava a Sacchetto in quello di Mantova sanza danari ed aviamento. El quale messosi presto in ordine, ne venne con pochi cavalli alla volta di Pisa, e passando sotto Barga, fu assaltato da quegli uomini che avevano avuto da Firenze notizia della sua venuta, e per essere in luoghi stretti dove non si poteva adoperare cavalli, e con minore numero assai di gente, non si poté troppo difendere, anzi volto in fuga fu seguitato da quegli uomini, in modo che sendo già uscito del nostro, fu preso da’ nostri in su’ terreni del duca di Ferrara e ne venne preso a Firenze; dove come e’ fu la nuova, e’ collegi, in mano di chi era allora la republica, gridavano che si gli dovessi tagliare el capo; cosa sanza ragione, che uno soldato che andava a servire chi gli dava danari avessi a essere punito nella persona.

Dettono in questo mezzo le gente nostre el guasto, non però per tutto, perché non si poterono accostare in Barbericina ed in certi luoghi sotto Pisa, e di poi ne vennono a campo a Vicopisano, dove sendo accampati, successe uno accidente grandissimo che fece voltare gli uomini a altri pensieri di maggiore importanza, del quale acciò che meglio si intenda la alterazione descriverò in che termini si trovassi la città.

L’avere apuntato con Francia, e di qui el parere di essere assicurato del Valentino, Vitelli, Orsini e degli altri inimici nostri, e di poi una speranza se non molto propinqua, almeno non molto rimota, delle cose di Pisa, aveva assai rallegrati e confortati e’ cittadini, in modo che e’ Monti erano cresciuti di pregio; ed appressandosi di poi nel mese di giugno la festa di san Giovanni, si era fatte, faceva ed ordinava feste assai, in modo che e’ parevano ritornati quegli tempi lieti che erano innanzi al 94; quando dallo oratore nostro di Francia, che vi era Luca degli Albizzi, perché monsignore di Volterra era in viaggio che ritornava in Italia, vennono avisi di avere ritratto che non ostante la protezione del re l’animo degli inimici nostri era di manometterci, e se volessino intendere la minuta, vedessino di porre le mani adosso a uno ser Pepo cancelliere di Pandolfo Petrucci, el quale di Francia dove aveva cerca licenzia dal re e non ottenuta di farci questo assalto, si ritornava a Siena, ed a chi era noto ogni cosa.

Avuto questo aviso, fu subito mandato commessario a Arezzo ed in quelle circumstanzie, dove si dubitava rispetto alla vicinità de’ Vitelli, Guglielmo de’ Pazzi, uomo leggiere e di poco governo e cosí tenuto universalmente nella città: ma perché lui come era eletto accettava ed era presto al cavalcare, ed e’ cittadini prudenti e di riputazione fuggivano pe’ disordini della città queste cure, fu deputato lui, e piú facilmente, perché messer Cosimo suo figliuolo era vescovo di Arezzo. E poco poi, dato buono ordine, fu preso ser Pepo a Firenzuola, e condotto a Firenze fu esaminato a parole, e non si ritraendo nulla non si procedé piú oltre, perché Pandolfo, intesa la nuova, aveva velocissimamente scritto a Firenze che ciò che fussi fatto di offesa a ser Pepo, lui lo rimetterebbe, e moltiplicatamente, nella persona di molti cittadini che si trovavano al Bagno a San Filippo in quello di Siena, e che subito erano stati sostenuti da lui. Per la qual cosa, avendosi rispetto a quegli privati, ser Pepo fu licenziato e lasciatone andare a Siena, non si sendo intesi e’ maligni umori che erano in Arezzo, e’ quali di subito scoppiorono.

Avevano alcuni de’ primi aretini tenuto pratica con Vitellozzo di ribellarsi dalla città, la quale cosa, trovandosi Guglielmo a Anghiari, gli fu particolarmente notificata da uno Aurelio da Castello inimico di Vitellozzo, di che lui, ritornato in Arezzo per provedere ed empiere la cittadella di fanti per assicurarsi della terra, ne conferí col capitano, e sepponla sí bene governare, che innanzi fussino forti si publicò. Gli aretini, vedendosi scoperti, presono le arme, e preso Guglielmo ed Alessandro Galilei che vi era capitano e Piero Marignolli podestà, gridorono «libertà» e si ribellorono. Udito el romore, el vescovo che era in Arezzo fuggí nella cittadella, e cosí alcuni uficiali fiorentini che vi erano, e Bernardino Tondinelli ed alcuni altri aretini affezionati alla città. Dèttonne e’ ribelli subito aviso a Vitellazzo, el quale dolendosi che la cosa era scoperta troppo presto ed innanzi al dí disegnato, in modo che lui non era in ordine, ne venne con pochi cavalli in Arezzo, dove per parecchi dí furono sí pochi provedimenti e poche forze, che è manifesto che se vi si mandavano le gente nostre, non avevano opposizione a entrare in cittadella e di quivi facilissimamente recuperare la terra; ma non si fece, perché cosí fussi a qualche buono fine ordinazione di Dio, o perché la fortune volessi ancora giuoco de’ fatti nostri, e farci con nostro danno tenere pazzi e da pochi.

Venne la nuova di questa ribellione in Firenze a di... di giugno a mezzanotte; e di tratto la signoria, che ne era gonfaloniere Francesco d’Antonio di Taddeo, mandò pe’ collegi e pe’ principali cittadini della città; e proposto el caso e dimandati e’ pareri, alla pratica pareva che importando Arezzo quanto faceva, non s’avessi rispetto alle cose di Pisa, né alla vittoria si sperava di dí in di dí Vicopisano dove erano a campo le gente nostre, ma si mandassino subito a Arezzo innanzi che la cittadella si perdessi o e’ nimici vi ingrossassino piú.

E’ collegi, come fanno gli uomini da pochi ed ignoranti, insospettiti cominciorono a credere che questa nuova di Arezzo non fussi vera, anzi cosa finta da’ primi cittadini, e’ quali volessino per questo modo indiretto impedire lo acquisto di Vicopisano, e la fondavano in sul credere che per avere occasione di mutare el governo, desiderassino che la città stessi in affanni continui e Pisa non si riavessi. E però consigliorono che le gente non si levassino di quello di Pisa anzi si seguitassi la impresa di Vico e l’altre fazione vi s’avevano a fare; ed in questa opinione concorrevano ancora alcuni de’ signori, e massime Giovan Batista de’ Nobili ed uno Batistino Puccini artefice, uomo ardito, caparbio, e che aveva piú lingua che persona, ed inimico capitale de’ cittadini principali. E fu necessario seguitare el loro parere, perché, da poi che Piero Soderini era stato gonfaloniere, avevano, avezzi da lui, presa tanta licenzia ed autorità, che volevano intendere tutte le cose publiche, e che le si deliberassino a modo loro e cosí si perdè la occasione di ricuperare Arezzo facilmente e con poca spesa, per cagione, come è detto, de’ collegi, e si vedde non per ognuno, ma pe’ piú savi, quanto fussi stato lo errore di Piero Soderini in avere per ambizione messo adosso a loro tutto el pondo della città.

Sopravennono di poi gli avisi come Vitellozzo era in Arezzo e che la ribellione era chiara, a’ quali non prestavano fede e’ collegi ed el popolo accecati in questa pazzia; pure risonando da ogni banda questo romore, mandorono Simone Banchi, che era di collegio, in verso Arezzo, a intendere se Vitellozzo vi era o vi era stato. El quale tornato riferí assolutamente essere falso, e che, se bene gli aretini avevono prese le arme e ribellatisi, non vi era entrato forestiere alcuno; e però e’ collegi si confermavano in opinione che e’ non fussi necessario per la ricuperazione di Arezzo levare la gente di quello di Pisa, ma che e’ bastassino e’ contadini ed uomini del paese, a’ quali si era ne’ primi dí mandati commessari per levargli e mettergli insieme. Non facevano cosí gli inimici nostri, anzi sollecitavano con ogni industria di non perdere una tanta occasione, perché Vitellozzo, come fu giunto in Arezzo, parendogli che le cose fussino in termini che se le genti nostre che erano in quello di Pisa vi venivano, non vi fussi rimedio, statovi poche ore e confortati gli uomini con speranza di soccorso e lasciatovi messer Iulio suo fratello bastardo e vescovo di Castello, se ne partí o per paura o per sollecitare e’ provvedimenti; e pochi dí poi, inteso non vi essere venuto soccorso alcuno, vi ritornò con buono numero di cavalli, e doppo lui non molto, el signor Paolo Orsini e Fabio suo figliuolo, e con loro Piero de’ Medici ed alcuni uomini di arme di Giampaolo Baglioni. Le quali cose intese a Firenze, si conobbe chiaramente che la ribellione di Arezzo era vera e che bisognava provedervi con ogni forza e però si scrisse al commessario in quello di Pisa, che subito aviassi le gente nostre in verso Arezzo, e cosí si levò el campo da Vicopisano, dove se fussino stati piú uno dí o dua lo ottenevano. Trattossi ancora creare e’ dieci nuovi, e benché e’ collegi repugnassino un poco, pure finalmente, conosciuto in quanto pericolo fussi lo stato nostro si conchiuse, e furono eletti da cominciare subito el magistrato, Piero Soderini, Piero Guicciardini, Niccolò Zati, Giuliano Salviati, Filippo Carducci, Antonio Giacomini, Pierfrancesco Tosinghi...

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Erasi scritto in Francia a Luca d’Antonio degli Albizzi che vi era solo oratore, el caso di Arezzo, e come sendovi venuti prima e’ Vitelli e poi gli Orsini, e qualche gente di Giampaolo, soldati del duca Valentino, si cognosceva questo essere ordine del papa e duca Valentino; aggiuntavi una intelligenzia di Vitelli, Orsini, Baglioni e di Pandolfo Petrucci, non meno inimici della maestà sua che della città; e che e’ non arebbono fatto questa impresa per fermarsi in noi soli sapendo che offendendo noi si offendeva la maestà del re che ci aveva in protezione; ma che el disegno loro era, fatto questo principio ed accresciutene le forze loro, cavare la maestà sua di Italia; pregassilo adunche instantemente volessi, e per osservanzia della fede sua e perché si trattava dello interesse suo proprio, commettere a monsignore di Ciamonte, suo luogotenente a Milano, che ci mandassi secondo l’apuntamento fatto le quattrocento lancie, e quando` non bastassino, piú numero perché nella offesa nostra era la offesa sua.

Trovorono questi avisi el re che veniva alla volta di Lione, e risentitosi mirabilmente, disse che cognosceva la malignità di chi ci offendeva, e che potento caccierebbono ancora lui di Italia; e che voleva riparare a’ nostri pericoli non solo colle quattrocento lancie ma ancora con tutto lo sforzo e potenzia sua, e venire subito personalmente in Italia. E scrisse a Ciamonte espedissi con ogni prestezza le gente di arme che erano nello stato di Milano alla volta di Toscana, e perché le non passavano la somma di dugento lancie, dette ordine mandare nuove gente in Lombardia; scrisse allo oratore suo che era a Roma, che con ogni instanzia dimostrassi al papa quanto questo insulto gli dispiaceva, e lo confortassi a volere levare le gente de’ terreni nostri, altrimenti lo tratterebbe da inimico; mandò un suo araldo in Toscana con lettere a Vitellozzo, a Pandolfo, a Giampaolo, agli Orsini, a comandare loro che ci restituissino le cose nostre ed uscissino del nostro: se non, che gli perseguiterebbe come inimici capitali, disse allo oratore avisassi a Firenze la sua ottima disposizione e gli apparati pronti, e soggiugnessi guardassino bene el guscio della città propria perché, quando bene perdessino tutto el resto del dominio, lui lo renderebbe loro.

In questo mezzo si soldò a Firenze molti condottieri, de’ quali nessuno accettò, eccetto Morgante Baglioni cugino di Giampaolo; ma sendogli proibito dal papa e Valentino, differí piú dí, pure finalmente per osservare la fede, come uomo franco, si metteva in ordine e voleva venire in ogni modo; ma Giampaolo, veduto che e’ si faceva innanzi e dubitando che per questa condotta non acquistassi lo appoggio nostro, lo fece occultamente avvelenare. Erano intanto le gente nostre venute in Valdarno, e perché gli inimici erano sí ingrossati in Arezzo che avevano molto vantaggio di numero e di buoni capi, non vollono per paura andare piú innanzi; in modo che quegli della cittadella di Arezzo, che avevano insino allora fatta buona resistenzia e portatisi virilmente con somma laude del vescovo de’ Pazzi che vi era drento abandonati da speranza di soccorso e non avendo piú che mangiare, furono constretti a arrendersi, salve le persone di tutti eccetto che di nove, e’ quali avessino a rimanere prigioni di Vitellozzo a sua elezione. Scelse adunche el vescovo e tutti e’ fiorentini vi erano, e Bernardino Tondinelli a chi voleva male, perché era stato cancelliere del conte Renuccio loro emolo, el quale fu pochi dí poi morto da Bernardino Camarani suo genero crudelissimamente, insieme con tutti e’ sua figliuoli che si trovavano in Arezzo.

Era in questo mezzo ito a Siena con licenzia della signoria, chiamato da Pandolfo Petrucci, ser Antonio Guidotti da Colle, uomo pratico nelle cose dello stato, ed assai intrinseco con Pandolfo per essersi trovato a tutti e’ maneggi che si erano fatti nelle cose di Siena; e ritornato a Firenze, riferí come Pandolfo, conoscendo che e’ successi del Valentino ed ogni acquisto che egli facessi in Toscana sarebbe in fine la ruina sua come degli altri, desiderava posare questo fuoco e riconciliare Vitellozzo colla città e fare una intelligenzia di tutti questi stati di Toscana. Inteso questo, vi fu mandato subito occultamente oratore messer Francesco Gualterotti, datogli commessione di praticare uno accordo, nel quale avessi a intervenire eziandio Vitellozzo con una condotta e titolo onesto, pure che lo effetto fussi che e’ non parlassi de’ Medici, non si parlassi per satisfare a Vitellozzo di offesa di alcuno cittadino, non di cosa che fussi contro alla maestà del re di Francia, e che si riavessino tutte le cose perdute in questo assalto.

Stette messere Francesco in una villa intorno a Siena parecchi dí e finalmente se ne tornò sanza conclusione, o perché cosí fussi da principio el disegno per addormentarci ne’ provedimenti, o pure perché e’ successi di Vitellozzo, di che ora si dirà, gli facessino mutare pensiero. Perché come Vitellozzo ebbe avuto la cittadella, si volse a Cortona e subito l’ebbe per accordo, e cosí la rocca, per viltà del castellano; cosí acquistò in uno momento el Borgo a San Sepolcro, Anghiari, Castiglione Aretino, la Pieve a San Stefano, el Monte a San Sovino e ciò che noi tenavamo in questa provincia. La quale celerità nacque perché gli uomini delle terre, veduto non avere soccorso alcuno, si davano per non perdere le loro ricolte, mossi ancora piú facilmente perché gli pigliavano in nome di Piero e del cardinale de’ Medici, e cosí pareva loro che e, si trattassi non di ribellarsi ed alienarsi dal dominio fiorentino, ma di darsi a’ nostri medesimi e di avere a vivere sotto e’ fiorentini, ma governati piú tosto da uno stato che da uno altro, benché ancora vi fussi alcuni che lo facessino per affezione avessino a Vitellozzo. E cosí e’ castellani che erano nelle fortezze, alcuni per viltà, alcuni per amare Piero de’ Medici, si dettono, non ostante che le fortezze fussino di sito fortissime, e dato che male proviste pe’ disordini dalla città, si sarebbono pure potute tenere qualche tempo.

E cosí ogni cosa era da Arezzo in fuora che usava el nome della libertà, sotto Piero de’ Medici in nome, ma in fatto nelle mani di Vitellozzo, che le teneva o a stanza di Piero de’ Medici o per farne la voluntà di Valentino, o come piú tosto si stimò per farne uno stato per sé. E benché questo acquisto fussi grandissimo e presto, nondimeno fu molto maggiore la occasione se ne perdé; perché messer Ercole Bentivogli ed e’ soldati nostri erano in modo impauriti, e nella città era tanta viltà per questa ferita sí súbita, aggiunto massime che non vi era danari, non ordine, non buono governo, non forze, non concordia, non fede, che se, subito preso Arezzo, fussino col nome e favore de’ Medici venuti alla volta della città, egli è certo che e’ soldati nostri non gli arebbono aspettati, e si crede che in Firenze si sarebbe fatta qualche mutazione e rientrato Piero de’ Medici; e cosí loro arebbono potuto disporre non solo di Valdichiana, ma di tutto el dominio nostro a loro modo. Ma quello Dio che ci ha piú volte aiutato nelle estremità, non volle lasciare perire la città e però Vitellozzo, o diffidandosi che la impresa di Firenze avessi sí presto a riuscire, o vinto dalla cupidità di acquistare el Borgo e la Valdichiana e farsene uno stato, se n’andò a quella volta; in modo che di poi la città per e’ caldi avisi di Francia e le provisione del re, a che prima si era prestata poca fede, riprese animo.

Avevano e’ dieci, intesa la commessione che el re dava a Ciamonte subito per piú riputazione e piú espedizione presta, mandato in Lombardia a levare quelle gente Piero Soderini, el quale vi trovò poche gente e sí poco ordine che la esecuzione si ritardò molti dí, in tanto che e’ venissi di Francia nuovi avisi e provedimenti; in modo che stando la città sospesa ed ambigua della volontà del re, che fu in quello tempo che Vitellozzo era ito alla volta del Borgo, avendosi a creare la nuova signoria per luglio ed agosto, el popolo, dubitando che e’ primi cittadini non volessino mutare lo stato, non ne fece alcuno gonfaloniere, ma elesse Giovan Batista Giovanni uomo di poca qualità e riputazione e da poco; ma come volle la sorte della città fece una signoria ottima, che ne furono capi Alamanno Salviati, Alessandro Acciaiuoli e Niccolò Morelli.

Entrò la nuova signoria in calendi di luglio e trovò la città in tanti disordini e pericoli, che forse non erano tanti quando el re di Francia venne in Firenze perché se bene allora si trattava di condizione intollerabile, nondimeno concernevano piú tosto le facultà de’ cittadini e la ritornata di Piero con la ribellione di quegli che l’avevano cacciato, che la perdita della libertà e diminuzione di quello dominio ci era restato; qui, perduto Arezzo e quasi tutto lo stato nostro, si vedeva ridotta in termini la città, che, se el re non riparava, bisognava cedere alle condizioni che volessino gli avversari, le quali si mostravano sí dure, che per meno male si sarebbe desiderata la ritornata di Piero, perché si dubitava non avere a pigliare el giogo del papa e Valentino, e le esecuzione di Francia erano sí tarde, che poca fede vi s’aveva drento.

Entrata adunche la nuova signoria, cominciorono a migliorare le condizioni della città; in che s’ha a presupporre che, sendo el gonfaloniere uomo da poco e di poca qualità, ne erano capi Alamanno Salviati, Alessandro Acciaiuoli e Niccolò di Girolamo Morelli, e con questi aveva Alamanno tanta fede ed autorità, che si può dire lui governassi ogni cosa, e ciò che nacque di bene, nascessi prima per virtú ed opera sue e poi de’ compagni. Costoro adunque, vòlti a difendere la libertà e lo imperio con franco animo, ed essendo el fondamento principale el fare danari, el primo dí che entrorono, comandorono a’ capitani di parte guelfa vendessino certe mulina, e perché e’ bisognava el partito de’ loro collegi, de’ quali la maggiore parte non era in Firenze, mandorono a dire a’ capitani che cassassino gli assenti e traessino gli scambi; e cosí ubbidito e ragunati e’ collegi, non si vincendo la provisione, comandorono loro non uscissino di quivi insino a tanto l’avessino vinta, in modo che e’ furono necessitati al venderle, ed in pochi dí si venderono e vennesene in sul danaio.

Posesi intanto un certo accatto a’ cittadini piú ricchi, e perché molti non pagavano, la signoria comandò loro pagassino sotto pena di rapresentarsi al bargello, e cosí si riscosse la somma intera, non avendo e’ signori alcuno rispetto a’ parenti ed amici loro. E cosí riscaldavano con ogni vivacità le provisione della città, la quale ebbe sorte avere in quello tempo, si può dire per capo suo, uno simile a Alamanno, che era di natura viva libera e calda, e che aiutava el bene sanza rispetto alcuno, e da piacergli piú e’ rimedi vivi e forti che altrimenti, come allora richiedevano e’ bisogni publici, ne’ quali era pericolosa ogni dilazione in modo che se el timone fussi stato in mano di qualche uomo che fussi proceduto adagio e con rispetti, ancora che fussi stato uomo prudente era pericolo che la città non gli perissi sotto.

Intanto ci furono avisi di Francia, come el re ne veniva a dirittura in Italia con animo prontissimo di salvare noi ed abattere gli avversari e molto male disposto in verso el papa e Valentino; e già le gente franzese erano arrivate in su’ terreni nostri ed adiritte a Montevarchi, dove el campo nostro faceva capo. Per la venuta delle quali, sendo gente bellissime, era molto alleviata la città, con tutto che ci fussi una difficultà grandissima di avere a provedere a vettovaglie, delle quali e’ franzesi logorano e straziano assai, e se ve ne fussi stato mancamento, era pericolo che, sendo uomini bestiali ed impazienti, non si disordinassi ogni cosa, pure con una voluntà ardente si vincevano tutte le difficultà.

Era intanto el re venuto in Asti, e quivi trovati nuovi oratori nostri messer Francesco Gualterotti e Luigi dalla Stufa, co’ quali si congiunse a visitare el re Piero Soderini, e raccolto allegramente dalla maestà sue e discorrendo e’ fatti nostri, gli parve necessario aggiugnere alle sue gente che erano in Toscana quattro o cinquemila svizzeri, de’ quali voleva che la città ne pagassi tremila; e perché e’ dubitava che el papa e Valentino insieme con Vitelli, Orsini e quella fazione, non facessino resistenzia, e cosí le quattrocento lancie non fussino abastanza, dette ordine di inviare con altre quattrocento lancie monsignore dalla Tramoglia capitano famosissimo, affermando che quando questo non bastassi, lui seguiterebbe personalmente con ogni suo sforzo, perché la intenzione sue era restituirci quello ci avevano tolto e’ communi inimici e di poi distruggergli. E fatta questa risoluzione, mandò subito uno suo uomo a levare e’ svizzeri, e volle che Luca degli Albizzi venissi a Firenze in sulle poste a portare di bocca questa conclusione e confortare al pagamento de’ tremila svizzeri, a che la città acconsentí.

El duca Valentino era in questo tempo a’ confini di Urbino, ed avendo fatto certo accordo con quello principe lo assaltò furtivamente in modo che non si guardando, in spazio di pochissimi dí gli tolse tutto quello ducato, ed el duca fuggitosi con gran pericolo, se ne andò a Vinegia. E benché el Valentino desiderassi la nostra distruzione, la quale in fatto si procurava co’ soldati e forze sue, e però avessi voluto congiugnere el resto del suo esercito con Vitellozzo, nondimeno sapendo quanto el re si era risentito di questo insulto e la venuta sua gagliarda in Italia, si fermò e fece intendere a Firenze che mandandogli uno uomo si poserebbono per aventura queste cose, ed al medesimo effetto el papa richiese si mandassi a sé, in modo che a Roma fu subito mandato messer Francesco Pepi, ed al Valentino monsignore de’ Soderini. Furono le pratiche diverse perché el papa prometteva la restituzione di tutto, se si gli lasciava el Borgo a San Sepolcro per essere di ragione terra di Chiesa; el duca prometteva la restituzione intera, se gli fussi osservata la condotta sua e se a Firenze si introducessi uno stato nuovo, ristretto in pochi cittadini, con chi lui si potessi fidare e consultare le cose occorrenti. Ma non si consentendo nulla di queste dimande, massime intesosi chiaramente l’animo buono del re, el vescovo fu revocato da Urbino ed el Pepe fu lasciato a Roma, ristrettagli però la commessione del praticare.

Giunti e’ franzesi a Montevarchi, Vitellozzo si ritirò verso Arezzo, e benché prima avessi detto che verrebbe co’ franzesi a giornata, o almeno ritiratosi in Arezzo farebbe una difesa memorabile, pure poi considerando che el papa e Valentino gli mancavano sotto ed anche per satisfare al re si gli volterebbono contro, e che tutto lo sforzo del re verrebbe adosso a lui, mancatogli l’animo deliberò accordarsi, e tenuta stretta pratica co’ capitani franzesi, che erano monsignore di Lancre e monsignore Imbalt, conchiuse con loro contro alla voluntà della città; in forma che lo effetto era che noi recuperavamo tutte le cose nostre eccetto Arezzo che rimaneva libera. Di che sendosi caldamente dato aviso agli imbasciadori erano in corte, el re scrisse a’ suoi capitani che questo accordo non andassi innanzi e che voleva che Arezzo ed ogni cosa ritornassi; e però fu constretto in ultimo Vitellozzo accordare con loro, mettendo in loro mano, a stanza del re, Arezzo e tutte le terre aveva prese; e cosí, partitosi lui, gli Orsini ed e’ Medici, e’ capitani franzesi presono ogni cosa in nome del re, el quale sopratenne la restituzione insino a tanto che e’ si pagassino e’ tremila svizzeri; la quale parte accordata, mandò monsignore di Milone a Firenze con ordine del potere restituire e di operare intorno a ciò quanto gli fussi commesso dalla città.

Venne Milone a Firenze, e bisognò, innanzi che gli andassi a Arezzo, accordare monsignore di Ravel, nipote di Roano che era creditore della ragione de’ Medici di ottomila ducati; la quale cosa perché si espedissi, Alamanno Salviati obligò alla osservanza di questo accordo la sua proprietà; e cosí ne andò Milone alla volta di Arezzo e con lui furono deputati commessari a ricevere le terre, Piero Soderini e Luca d’Antonio degli Albizzi, e’ quali presono pacificamente la possessione di Arezzo e di tutte le terre perdute. Le quali trovorono essere state vote da Vitellozzo di tutte le artiglierie e tutti gli aretini che erano stati capi contro alla città essersi fuggiti in gran numero, a’ quali fu dato bando di rubello, e cosí si posò in tutto questo movimento con grande spesa, pericolo e travaglio, dove se non fussi stata la pazzia de’ collegi, si sarebbe fermo con poca fatica e disagio, e sanza averne a avere obligo con persona.

Erasi nella venuta del re in Italia conceputa speranza che volendo lui mandare monsignore della Tramoia e disfare gli inimici sua, che noi, assicurati da ogni banda ed avendo lo appoggio di questo esercito, facilmente recupereremo Pisa, el quale disegno mancò, perché el duca Valentino come e’ vedde el re venuto in Italia, e che a visitarlo vi era concorso, oltre agli oratori nostri, gli oratori viniziani, e personalmente el duca Ferrara e marchese di Mantova, el cardinale Sanseverino, a chi fu rilasciato el Fracassa suo fratello, e di piú lo Orsino che era ito a dolersi de’ tristi modi del pontefice e finalmente che tutta Italia faceva capo a lui, inteso ancora quanto el re fussi male disposto e come e’ mandava in Toscana monsignore della Tramoia e tante gente di arme e fanterie, sbigottito assai, né vedendo altro rimedio, ne venne in poste a Milano a giustificarsi col re; in modo che e’ si riconciliò seco cogli effetti che di sotto si diranno, e cosí rimanemo certi che per quello anno non si attenderebbe alle cose di Pisa.

Trovavasi addosso a tempo di questa signoria la città una altra peste di grandissimo pericolo e di vituperio, cioè le cose di Pistoia, le quali erano tutto dí piggiorate ed incancherite, perché poi che e’ Panciatichi furono cacciati di Pistoia, attendendo e’ Cancellieri a perseguitargli nel contado si levò su dalla parte panciatica un contadino giovane chiamato Franco, el quale era di persona gagliardissimo e di buono cervello e di natura quieta e che volentieri attendeva a fare e’ fatti sua. Costui in difendere la villa sua da’ Cancellieri che gli assaltorono, si portò si bene e con forze e cervello, che cominciando a acquistare riputazione, non solo fu fatto capo degli uomini vicini a sé, ma in brieve tempo di tutta la parte panciatica; in modo che lui ne era interamente signore e ne disponeva a arbitrio suo, e con questo seguito si affrontò due volte in battaglia grossa co’ Cancellieri e gli roppe, faccendone occisione di piú di dugento per volta.

Questi successi de’ Panciatichi furono utili alla città, perché furono uno freno a’ Cancellieri di non potere malignare, la quale cosa, se fussino stati liberi, arebbono fatto, perché parendo loro avere offeso e disubbidita la città, cominciavano a non fidarsene. Nondimeno le cose erano in cattivi termini, perché l’una parte e l’altra stava malissimo contenta: e’ Panciatichi, se bene si erano difesi nel contado, nondimeno non erano sí superiori potessino ritornare nella terra; e’ Cancellieri, se bene tenevano e’ Panciatichi fuora, non potendo usare e godere la maggiore parte del contado, erano in grande angustie; in modo che l’una parte e l’altra arebbe preso partito co’ principi forestieri, e ribellatisi e fatto a ogni male giuoco; e cosí la città al presente non si valeva di Pistoia e conosceva che sanza dubio si ribellerebbono. Per la qual cosa la signoria, faccendone massime instanzia e riscaldandovisi su Alamanno Salviati, deliberò assicurarsene, e poi che e’ non giovavano gli unguenti ed impiastri, usare a ultimo el ferro ed el fuoco. Alla quale cosa non concorrendo e’ dieci di balía e mostrando alla signoria che pericoli erano in questa via, Alamanno avuta licenzia da’ compagni di dire quello che gli paressi, gli punse forte, mostrando che quella era la intenzione della signoria, e quando non la eseguissino, che la signoria notificherebbe a tutto el popolo come loro erano quegli che non volevano che Pistoia si recuperassi, per la qual cosa loro, ristrettisi, attesono a eseguire vivamente quello ordine. Comandossi adunche a moltissimi capi dell’una parte e dell’altra, che fra uno certo termine comparissino a Firenze, con animo che, se non ubbidivano, di procedere piú oltre. Stettono tutti ambigui. e finalmente per meno male, temendo per avere la città le gente franzese in Toscana, comparirono tutti el dí determinato, eccetti pochi che si fuggirono ed ebbono bando di rubello; e volle la sorte che e’ venissino innanzi alla signoria el dí medesimo o el dí allato che comparirono gli imbasciadori aretini mandati doppo la recuperazione. E cosí la città si riassicurò di Pistoia, e si rimesse drento la parte panciatica e fecesi in spazio di piú mesi molti ordini, quali al presente non è necessario raccontare.

Successe in questi tempi uno caso che fu per fare un poco di scompiglio nella città, e se fussi seguito arebbe impedito gli ordini che si feciono: questo è che poi che e’ furono creati e’ dieci non si conferivano piú, come si soleva, tutti gli avisi a’ collegi; e però avendosi un dí a vincere un partito fra e’ collegi e non si vincendo, un collegio de’ Peri, per l’arte minore, disse che ne era cagione perché non si conferiva loro le cose occorrente. Il che sendo rapporto alla signoria. Alessandro Acciaiuoli, che era Proposto, propose tra e’ signori che e fussi casso, e subito si vinse; di che e’ collegi sdegnorono assai e volevano appellassi al consiglio e loro parlare in suo favore; il che seguendo si sarebbono in modo alienati dalla signoria, che mai piú concorrevano a bene nessuno; ma confortati da savi cittadini che le condizione della città non pativano queste quistioni, finalmente si posorono, e quello che era stato casso non appellò.