Torquato Tasso (Goldoni)/Nota storica

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Nota storica

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Atto V
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NOTA STORICA

Un’ottava della Gerusalemme, cantata dal gondoliere, seconda i teneri discorsi del Goldoni con l’ossuta e gialla Passalacqua nella provvida oscurità del felze (Memorie I, c. 38). La premessa al Torquato Tasso, di speciale importanza per quanto vi si narra sulla fortuna del poeta a Venezia, non reca testimonianze personali di questo o d’altro genere. Ma prova particolarmente efficace della sua grande popolarità era — come narra il Goldoni — il favore onde venivano accolte in teatro azioni spettacolose tratte dal suo poema. Il che trova conferma anche nei carteggi del Nostro col Vendramin (Mantovani, C. G. e il Teatro di S. Luca a Ven. 1885, pp. 127, 151; s’avverta che la lettera XIX è certo risposta alla XXIV s. d.). Nulla di straordinario se in tale città chi alle scene aveva già dato due commedie biografiche e promesso una terza [Aristofane] (cfr. Censure miscellanee sopra la commedia ecc. Ferrara, MDCCLV, p. 36 e Spinelli, Fogli sparsi del G., p. 192) pensasse a trar partito anche dalle vicende della vita del Tasso nel modo che all’ingegno suo si porgevano. Il patire d’accessi d’ipocondria come il poeta doveva, in certa guisa, agevolare all’autore il grave compito. Ma per il Goldoni l’amore non era mai stato tormentosa passione, nè di critiche animose s’era curato più che tanto. In questo proprio l’opposto del Tasso, e di tale dissomiglianza si compiaceva. Così sempre la Premessa. Per gli amori passi, che intomo a quelli del Nostro la più viva fantasia non riesce a creare tragiche leggende. Alle critiche però egli non fu insensibile. Manifesti, lettere, versi, premesse, scene e intere commedie vennero da esso lanciate contro gli avversari: armi d’offesa e di difesa. Un giorno, stanco dei continui sarcasmi spesi dal nemico contro la lingua del suo teatro, si ricorda dei tormenti sofferti dal Tasso per la stessa ragione e sfoga il proprio dispetto esponendo al dileggio della platea il Cavalier del Fiocco, caricatura dei cruscanti: primi allora per il Goldoni i Granelleschi. Superfluo avvertire ch’egli, ancora trent'anni dopo scagliato il dardo, si scansa dal dar il nome alle cose, e mentre espone l’origine di questa commedia (Memorie, P. II, e. XXXII) fa un bell’ inchino alla Crusca, un altro ai Granelleschi ed ha persino un benevolo accenno a Carlo Gozzi. Nella commedia poi Del Fiocco dichiara espressamente di non esser fiorentino (a. III. sc. II), salvo a riprender la sua vera pelle tre decenni più tardi nelle Memorie. La Premessa (anche questo va notato) nulla reca sugl’intenti polemici dell’opera.

Curiosa al sommo la diatriba del Manzoni, abbozzata alla buona e certo non matura per la stampa, contro questo Cavalier cruscante (Opere inedite o rare. Milano, 1898, vol. V, p. 281 [Brani inediti. Ribob (oli)]). Il grande apostolo della parlata fiorentina disapprova il modo onde il Goldoni in quest’opera si beffa degli avversari, e gli rinfaccia scarsa coerenza con l’istessa arte sua: «Il buon Goldoni introduce nella sua commedia il Tasso un personaggio che vuol render ridicolo, facendogli lardellare il discorso di riboboli. Il linguaggio di questo personaggio non so se faccia ridere, ma è strano invero; non so però [p. 502 modifica]se più di quello degli altri. Ma lasciando stare come il Goldoni abbia saputo adoperar riboboli, ed esaminando solo la sua intenzione di rendere ridicolo un personaggio facendogli parlare con riboboli, diremo ch’egli non si ricordava allora che la lingua di Plauto e Terenzio, che doveva conoscere perchè gli ha fatti pur protagonisti di due commedie [lapsus calami!], è tutta a riboboli; non si ricordava di Molière, bisogna credere, e quel che è più strano non si ricordava delle sue commedie in dialetto veneziano seminate di riboboli. Che se si fosse ricordato di tutto questo, si sarebbe pure accorto che adoperava come mezzo di ridicolo nel Cavalier del Fiocco quello che avevano fatto i da lui chiamati maestri ed egli medesimo. Ragionamento singolare! perchè mai è ridicolo uno che parli con riboboli fiorentini e non uno che parli con veneziani? ecc.» Lo spazio non ci consente di riportare intero il passo manzoniano che continua un altro po’ lo stesso pensiero. I molti ecc. e i puntini ne’ quali muore, provano ch’erano noterelle gettate in carta alla buona meditando. Forse, tornandoci su, il Manzoni si sarebbe accorto che la censura mossa al buon Goldoni partiva da una credenza falsa. Il linguaggio del cruscante consta di riboboli solo in parte: il cavaliere parla togato, usa latinismi e parole ridicole non più e mai più udite: fa ben altro che parlar solo fiorentino. Il verso che costantemente adopera è lo sdrucciolo. Nulla dunque si trascura per renderlo più che personaggio comico — vera caricatura, a che il vernacolo solo non si sarebbe prestato. Avea troppo buon senso il Goldoni per burlarsi d’un dialetto o per cercare solo in quello la fonte del ridicolo.

Ritornò alla carica il Goldoni contro i granelloni puristi tre anni dopo nel poemetto La tavola rotonda (1758, per nozze Contarini-Venier), ma nella commedia si dà alla polemica, con giusta misura, solo una parte secondaria, episodica. Protagonista s’offre al commediografo, con fraterna abnegazione, Torquato Tasso — il Tasso della leggenda beninteso, il solo che Goldoni potesse conoscere. Così dal palcoscenico del San Luca di Venezia, auspice un poeta comico, muove i primi passi la lunghissima serie di lagrimosi drammi tassiani, coi quali il teatro romantico inferse postume crudeli ferite all’infelice poeta. «Bisogna pur riconoscere — osserva Angelo Solerti — che assai più della critica e della storia serve a bandire un’idea l’opera d’arte; e due drammi, tacendo degli altri, il Tasso del Goethe e quello del Goldoni, benchè troppo diversi tra loro per paragonarli, servirono tuttavia a mantenere viva la leggenda che era loro fondamento» (Vita di Torquato Tasso, Tonno, 1895, voi. I, p. 856).

La modesta fonte, dal Goldoni stesso additata, onde egli attinse «la burla sulle tre Eleonore» (Solerti l. c.) e tradusse quasi alla lettera le notizie biografiche della Premessa (M. Ortiz. La cultura del Goldoni. Giorn. stor. d. lett. ital. 1906, vol. 48, p. 93) è Le grand dictionnaire historique di Louis Moreri, uscito per la prima volta nel 1673. Attento a non esorbitare dalle qualità peculiari al suo genio, sorvola su quanto pur nel periodo scelto dalla vita del Tasso poteva funestare di tragiche ombre l’azione e la sua fantasia popola e allieta di figure e di trovate goldoniane l’aulico ambiente. Il bando dato ai personaggi del Duca e della Principessa (qui il Magistrato della Bestemmia si fece ben gradito alleato al consueto riserbo goldoniano) scostò più ancora il lavoro dall’andatura compassata del dramma e fu un bene. Ma alla [p. 503 modifica]dignità del soggetto sembrò pure al Goldoni veste conveniente solo il verso, e scelse come per le altre due commedie biografiche il martelliano. Savia misura anche questa, che l’umile prosa avrebbe reso più borghesi ancora personaggi e scene o l’enfasi dello sciolto fatto più stridente il contrasto fra la maniera goldoniana e il soggetto.

Presso la critica, in generale poco benevola alle tre commedie storico-biografiche, Torquato Tasso trovò minor favore che non il Moliere e il Terenzio. Quali le ragioni? Men felice era questa volta la scelta dell’argomento, perchè anche il Tasso, come quel Scipione non voluto in scena nel Terenzio, è «uno di quei personaggi eroici per la dignità e per il grado, che più alla tragedia che alla commedia convengono» (Goldoni, Premessa al Terenzio, a pag. 307 di questo vol.). E mentre il Terenzio non ebbe imitatori e nessuna delle molte commedie attinte, dopo il Goldoni, alla vita del Molière, s’elevò a vera opera d’arte, il Tasso dove misurarsi col dramma del Goethe.

Trovò sì anche la commedia del Goldoni apologisti, amici, ammiratori ferventi addirittura. La loda per l’intreccio felice il De Rossi (Del moderno teatro comico e del suo restauratore C. G., Bassano, 1794, p. 107); tra le commedie «classiche» la comprende il Meneghezzi (Della Vita e delle opere di C. G. ecc., Milano, 1827, p. 132). Il Montucci invidia all’autore della Gerusalemme sì perenne monumento (Scelta completa di tutte le migliori commedie di C. G..... Lipsia, 1828, tomo II, p. 58). Nel 1895 D. Livaditi ne desiderò la ripresa qual «conveniente appendice alle feste tassiane» perchè «commedia bellissima, piena di movimento e di vita» (Resto del Carlino, Bologna, 26 Febbr.). Alle sue «buone scene» accenna di passata Guido Mazzoni (Mémoires, da lui editi, voi. II, p. 380). «Gli scatti violenti, gli arresti di pensiero, le immediate fissazioni, i travolgimene di cervello penosi e pietosi» fanno del protagonista, a giudizio di Luigi Rasi, «il solo Tasso umano sulla scena, a confronto di tutti gli altri, compreso quello poeticamente magnifico del Goethe» (Il Marzocco, 25 febb. 1 907). Maggior lode ancora è in questo apprezzamento di R. Barbiera: «Solo Carlo Goldoni, nella spensieratezza divina del genio, intuì il carattere del cantore della Gerusalemme, quale la critica moderna, forte dei documenti, lo porge» (Polvere di palcoscenico. Note drammatiche. Catania, 1908, p. 14).

Ma che lotta ineguale tra l’esiguo drappello dei laudatori e l’ingente copia di verdetti arcigni, sarcastici, inappellabili! Eccone un florilegio: «profanazione» (Costetti, Il teatro italiano nel 1800. Rocca di S. Casciano, 1901, p. 67), «vero sacrilegio» (O. Targioni Tozzetti, Antologia della poesia ital., Livorno, 1901, p. 723), «aberrazione» (M. Ortiz, Giorn. stor. d. lett. ital. 41 1, p. 174] plaudendo al severo giudizio di Giuseppe Ortolani [Della vita e dell'arte di C. G., Venezia, 1907, p. 26]); «höchst unbedeutend» (Allgemeine Literalurzeitung, Halle u. Leipzig, 1829, col. 996), «unfrewillige Komödie» (Somborn, Das venezianische Volfelied. Heidelberg, 1901, p. 59), «très mediocre » (Répertoire du théatre francais ecc., Paris, Perlet, 1804, Tome XXIII.me, p. 145). Per Ernesto Masi questa è tra le opere «dalle quali non è lecito alla critica giudicare il Goldoni» (Lettere di C. G., Bologna, 1880, p. 68). «Per fortuna — conclude una sua critica Vittorio Federici — Goldoni non ha bisogno di questa commedia per la sua gloria» (Il «Torquato Tasso» di C. Goldoni e di P. Giacometti, Vita italiana, Roma, 1895, n. XV). E [p. 504 modifica]il Royer: «Goldoni a tenté de peindre quelques figures historiques: Torquato Tasso, Molière, Terence: mais il a complétement échoué dans ces essais, qui manquent d’ampleur dans la composition et de distinction dans le style» (Histoire universelle du théatre. Paris, 1880, tome IV, p. 300). Non men severo si mostra il Nocchi: «[Goldoni] colloca Torquato in mezzo a personaggi di spiriti volgarissimi, pone per nuova Eleonora una cameriera, nè meglio della dignità dell’argomento serba quella della persona del Cantor di Goffredo» (Commedie scelte di C. G., pubbl. per cura di R. Nocchi, Firenze, 1895, p. XIX). A. Mori in una sua rapida misera rassegna di drammi tassiani (Le sventure del Tasso nel Teatro italiano. Bologna, 1895) comincia da quello del Nota perchè «non conta parlare del Goldoni che volle appena sferzare la pedanteria dei granelleschi e porre in satira le Leonore». Per l’autorità del nome anche tra gli studiosi del Tasso, riferiamo intero il giudizio del D’Ovidio: «Il dramma del Goldoni anche lasciando stare lo strazio inutile che vi si fa della storia, accumulando in un breve tratto dell’anno 1581 (il Tasso quell’anno era in prigione) tutte le vicende passate e future del poeta, è un dramma di una semplicità così primitiva, che, a non conoscere il carattere del teatro goldoniano, si piglierebbe per una parodia. Don Gherardo, Tornio, Fazio, le tre Leonore, son tipi goffi da non potersi ridire. E in quanto poi al protagonista, il Tasso goldoniano ha tanto che fare, non dico col Tasso della storia, ma con un qualunque Tasso non indegno d’esser preso per il Tasso vero, quanto, mettiamo, le bouillant Achille della Belle Hélène ha a fare col δῖος Άχιλλεύς dell’Iliade» (Saggi critici. Napoli, 1878, pp. 187, 188). Condanna in verità troppo sommaria. Ma giudicata attraverso uno studio profondo sulla psiche del Tasso la modesta commedia goldoniana non poteva sperar miglior trattamento. Più equo perchè più oggettivo, se pur sempre severo, il Ciampi: «Questa commedia... è uno strazio di quel grande che tanti ne ha ricevuti in vita ed in morte. Eppure alcune scene comiche da vero, e il ridicolo di qualche carattere secondario, e la felicità dell’intreccio la fanno rivivere talvolta sulle scene. Ma se ella si chiamasse il poeta innamorato o fosse distinta per qualunque altro nome, nulla, veramente nulla sarebbe tolto all’azione, e il nome di Torquato starebbe più riverito nelle menti del popolo» (La vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 82). Anche denigratore del poeta, dunque? Povero Goldoni! Invece pur nell’umile veste restava sincero l’omaggio. Severo per l’omonimo dramma del Nota, Angelo Brofferio non risparmia la critica neanche al suo precursore, ma, come il Ciampi, non tutto condanna. «Il Tasso del Goldoni è una cattiva commedia. Il gran Torquato vi si rappresenta come una specie di Pulcinella palleggiato dai cortigiani, schernito dalle donne e avvilito da sè medesimo. Tuttavolta questa commedia si sostiene per una mirabile varietà di caratteri, e per molti piacevoli e spiritosi incidenti» (Il Messaggero torinese. Prose scelte. Alessandria, 1839, vol. II, p. 108). Rammentando un fuggevole accenno carducciano al Torquato Tasso (L’Italianità di C. G. L’esule sommo. Numero unico de «La Dante Alighieri» Comitato di Senigallia, 1907) rileva il Cian la nota patriottica nel significato dei tre inviti giunti al poeta da tre differenti regioni d’Italia. «Quella gara, era una bella gara, nobilmente, schiettamente italiana». Gara ond’esce vittoriosa, si noti, Roma, non quella Venezia, rappresentata con simpatica arguzia e caldo affetto dal cortesan Tomio. [p. 505 modifica]

In mezzo a tante critiche vogliono un posticino anche certi versi dell’autore:

          . . . el mio Tasso un'opera me par
               Non indegna de un’anima ben fata,
               Vedendo in quela la virtù trionfar.
          E la passion, che nel poeta è nata,
               E l’agita, e lo trà for de cervelo,
               Per debolezza de natura ingrata,
          Fa parer sempre più felice e belo
               El ritiro dal mondo, e anca mi imparo
               Che a ogni studio preval quel del vangelo.

Ma invece dell’autocritica che il primo verso sembra promettere il poeta compunto ci dà solo quel po’ di morale cattolica che, a edificazione d’una monaca novella (Componim. diversi, t. II, p. 151), egli stava ricavando dalle sue commedie fino allora uscite nell’edizione Pitten. E quale l'intimo pensiero suo intorno al valore del Torquato Tasso? Certo gli era caro, che con viva compiacenza i Mémoires (1. c.) ne descrivono il buon esito: «Cette pièce eut un succès si general et si constant, qu’elle fut placée par la voix publique dans le rang, je ne dirai pas des meilleures, mais des plus heureuses de mes productions». Subito però le accoglienze non devono essere state molto calorose. Lo stesso autore nel Complimento fatto al popolo l’ultima sera della stagione aveva detto per bocca della prima donna: «...el so Terenzio e el Tasso compatie le xe stade, ma no le ha fatto chiasso» (Ed. Pitteri, voi. IV, p. 347). E all’Arconati-Visconti in lettera del 5 aprile 1 755: «due [delle cinque commedie fatte in quella stagione] sono state accette assaissimo alle persone dotte, cioè il Terenzio ed il Tasso» (Spinelli, Fogli ecc., p. 34). La commedia, anche perchè gradita palestra agli attori nella parte di Torquato, era ancor viva sulle scene nel penultimo decennio del secolo scorso. Oggi non più. Erra chi afferma il contrario (J. Fdr. Carlo Goldoni. Moderne Kunst, XXI, vol. XII [1907]). La cronistoria dei nostri teatri ricorda recite del Torquato Tasso a Modena (Collegio dei Nobili) negli anni 1759 e 1768 (Gandini. Cronistoria dei Teatri di M. ecc. Mod., 1873, vol. II, pp. 196, 248). L’eseguirono nel 1766 a Bologna i dilettanti in casa Venenti (Ricci, I teatri di Bologna nei sec. XVII e XVIII. Bol., 1888, p. 487) con Francesco Bartoli, esordiente, nella parte di Don Gherardo (Cfr. Bartoli, Notizie de’ Comici Italiani, Padova, 1782, vol. I, p. 77). Del 1780 lo recitò al S. Sebastiano di Livorno il Corsini terminando la recita (le recite?) con la solita ottava (Rasi, I comici italiani, vol. I, p. 704). Negli anni 1822 e 1823 è sugli avvisi della Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 21). Il Platen sentì due volte il Tasso a Firenze nell’ottobre del 1826 e di nuovo al Capranica di Roma nel febbraio dell’anno seguente, eccellente interprete questa volta la Compagnia Taddei (Tagebücher. Stuttgart, 1900, vol. II, pp. 813, 823). Sempre nel 1827 al Teatro Re di Milano la compagnia del Duca di Modena, tra altre cose del Goldoni, eseguì anche il Tasso «cavallo di battaglia suol dirsi del signor Romagnoli» (I Teatri, 1827, I vol., I parte, pp. 435, 436). Altre recite ancora: l’anno sociale 1834-35 alla Filarmonico-drammatica di Trieste ([Hermet] Memorie ecc., Trieste, 1884, p. 26); nel 1839 al comunale di Cesena interprete, nel carnovale, la Compagnia di L. Carrani [p. 506 modifica](protagonista Antonio Colomberti?) e nell’agosto la Compagnia Nardelli (Raggi, Il Teatro Com. di C., Cesena, 1 906, p. 36); nel 42 è nel repertorio della Comp. di Romualdo Mascherpa (Rasi, op. cit., vol. II, p. 110); nel 1857, e verisimilmente anche più tardi, l’ha nel suo Ernesto Rossi (Planiscig, Cenni cronistorici sul «Teatro di Società» di Gorizia. Gorizia, 1881, p. 81; De Gubernatis, Carlo Goldoni. Corso di lezioni, Firenze, 1911, p. 295); a Modena, al Teatro Aliprandi, si recita negli anni 1864, 1876, 1880 (Modena a C. G. 1907, pp. 242, 244). Notevole assai e fortunata ne fu la ripresa in Compagnia Pietriboni, tra il 1877 e 1881 «dopo lunga e ingiusta dimenticanza» (Galanti, C. G. e Venezia nel sec. XVIII, Padova, 1882, p. 239). Ne diresse lo studio Paolo Ferrari con grande valentia, ma senza rispetto assoluto al testo goldoniano (Rasi, op. cit., vol. II, p. 284, e da notizie private del Rasi stesso) e fu lodato interprete della parte principale Luigi Rasi. «Chi ha mai saputo darci meglio di lui gli impeti e gli sdegni di Torquato Tasso, quale l’ha fatto rivivere col suo meraviglioso intuito Carlo Goldoni?» (Illustrazione Italiana, 1910, marzo). Alla Scuola di Recitazione di Firenze la commedia si rappresentò tutta e a frammenti negli anni 1895, 1900, 1907. Tra gl’interpreti della parte principale rammentiamo ancora Alberto Ugolini che tenne col Lapy e col Medebac il ruolo d’innamorato, Ferdinando Meraviglia, Ercole Gallina (Rasi, op. cit., II, pp. 613, 123, 978), Tommaso ed Alessandro Salvini (De Gubernatis, op. e l. cit.). La parte di Tomio, il personaggio più simpatico e più vivo della commedia, fu scritta per il bravo Pietro Rosa successo a Francesco Rubini, Pantalone (Mantovani, op. cit., p. 209; Passato e presente. Corriere di Gorizia, 29 giugno 1893).

Poichè i rami delle edizioni Pasquali e Zatta mostrano i personaggi del Tasso in abito goldoniano, Luigi Rasi si chiede se ciò si debba al capriccio degli illustratori o se veramente così si recitasse. «Di sotto a quella parrucca bianca, e a quella lunga velada dalle spalle miserine e dalle maniche strette, e a quelle calze dai ricami a fiori e a quegli scarpini dalle fibbie d’argento, invece di un Tasso acciecato e torturato dalla passione, seccato dai contendenti, balzava una specie di Florindo disperato per amore, inseguito da quattro maschere? Chi sa dire!?» (Rasi, Marzocco, num. cit.).

Con poche altre cose goldoniane il Torquato Tasso figura nel Teatro classico italiano antico e moderno ovvero il Parnaso teatrale, pubblicato a Lipsia nel 1829 (pp. 447-470). Nella nota sua scelta l’accolse, traducendo al solito tutte le parti in lingua, a detrimento del buon senso e del buon gusto, il Montucci (op. e 1. cit., pp. 50-113). Anche tra le vicende men liete di questo lavoro del Nostro è da comprendere un inedito raffazzonamento in prosa di Francesco Rota, Udinese (Museo Correr, Raccolta Cicogna, n. 1 890; cfr. F. Toffano Due documenti goldoniani. Nuovo Archivio veneto, 1899, t. XVIII).

Deve il Torquato Tasso la sua notorietà in Germania e gli apprezzamenti spesso altezzosi onde fu bersagliato, all’omonimo dramma del Goethe. Ancora non è dato fissare quando e dove il poeta tedesco l’abbia conosciuto, ma ormai pure gli studiosi più ostici ad ammettere l’ignobile tresca clandestina del Giove ottimo massimo di Weimar col commediografo plebeo della Laguna, concedono affinità d’intelaiatura, di scene, di versi, che rendono persino verisimile la derivazione dell’idea prima dalla piccola fonte goldoniana. Non accenna [p. 507 modifica]a rapporti di dipendenza il Platen che avea sentito il Tasso più volte «con gran diletto» e ne’ suoi Diari annotava: «Certo non si levò mai più tanto alto il Goldoni. Il lavoro è assai ben verseggiato e dal palcoscenico il metro martelliano fa miglior effetto che non pensassi». Detto ancora assai bene del «comicissimo» cavalier del Fiocco nonchè dei tre ambasciatori, aggiungeva: «Come lavoro teatrale questa commedia è da metter molto più in alto del Tasso goethiano. N’è assai ben condotto l’intreccio e sodisfacentissima la fine che tanto manca nel Goethe ’ (op. cit., vol. II, p. 813). Un apprezzamento quasi identico sul modo onde si risolve il lavoro goldoniano è nelle Conversazioni di Arturo Schopenhauer. «A Torino — raccontava il filosofo a Cari Hebler — aveva visto una volta il Tasso del Goldoni, commedia. Diceva esser tanto buona la scena finale che Goethe di sicuro l’avrebbe accettata volontieri, se non l’avesse ritenuto la taccia d’imitatore» E descrive la scena, ma per errore di memoria parla di tre ambasciatori romani (Gespräche und Selbstgespräche, herausgegeben von Eduard Grisebach. Berlin, 1902, p. 69). Nelle parole dello Schopenhauer sembra implicitamente ammessa la dipendenza d’un lavoro dall’altro. Dei rapporti tra le due opere s’occuparono di proposito primi Theodor Jacoby (Tasso und Leonore, oder Welchen Stoff haite Goethe? Literarisches Taschenbuch. Hannover, 1848, p. 95 segg.) e il Klein (Geschichte des italienischen Dramas. Leipzig, 1868, vol. III, p. I, pag. 618 segg.) Le acute e argute disquisizioni del primo convinsero più assai che la cervellotica e inesatta analisi dell’altro. Ma ignora troppo il carattere del teatro goldoniano (cfr. D’Ovidio, 1. e.) il Jacoby, se ritiene, anche per l’intenzione dell’autore, tutta la commedia uno scherzo carnevalesco e nulla più. Rifece ex novo il parallelo tra Goethe e Goldoni — senza conoscere o senza citare chi l’aveva preceduto — Hans Dütschke, e per agevolare ai suoi connazionali l’esame dei due lavori aggiunse al suo studio una traduzione — non sempre fedele — del Tasso italiano (Programm des Victoria - Gymnasiums zu Burg. Burg, 1889). Hedwig Wagner nel suo superficiale volume sul Tasso ( Tasso daheim und in Deutschland. Berlin, 1905, pp. 154, 155) accetta le conclusioni del Jacoby (impulso generale e imitazione parziale): Franz Kern (Goethes Tasso und Kuno Fischer nebst einem Anhange: Goethes Tasso und Goldonis Tasso. Berlin, 1892, pp. 87-102) si studia di limitare quelle del Dütschke a qualche affinità di episodi e di pensieri. In Italia scrissero in argomento, confermando l’imitazione, Enrico Broli (Il «T. T.» di Wolfango Goethe. Annuario degli studenti trentini. Firenze, 1898, pp. 135-138) e Ugo Rastelli (Il «T. Tasso di W. von Goethe e il «T. Tasso» di Carlo Goldoni. Sanginesio, 1903). Così a questa commedia del Goldoni, se altre vere fortune non ebbe, toccò il vanto d’inspirare — tra gl’innumerevoli drammi tassiani — l’unico che sia opera squisita di forma e di pensiero.

E.M.



Il Torquato Tasso uscì la prima volta stampato nel principio del 1756, nel t. III dell’ed. Pitteri di Venezia; e fu ristampato a Venezia stessa più volte (Saviolì II, 1772; Pasquali XVI, 1777?; Zatta, cl. 3, V, 1792), a Torino (Guibeit e Orgeas VI, 1775), a Livorno (Masi VIII, 1789. a Lucca (Bonsignori VIII, 1789), a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, 1792 ecc.) e forse altrove nel Settecento. - La presente ristampa si attenne principalmente all’ed. Pitteri, corretta dall’autore.

Fine dell’undicesimo volume.