Trattato completo di agricoltura/Volume II/Ortaggi coltivati in grande/1

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Del Cocomero, del Mellone e della Zucca

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Ortaggi coltivati in grande - 2
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del cocomero, del mellone e della zucca.

§ 853. Tutte queste piante dette cucurbitine, per la forma del loro frutto grosso e carnoso, sono originarie de’ climi caldi, ove sono vivaci ed arrampicano sulle piante attaccandovisi co’ loro viticci; in Europa si può dire che la loro coltivazione arriva sin dove vegeta il melgone. Il loro frutto contiene un liquido zuccherino, il quale diminuisce in dolcezza quanto più si allontana dall’equatore. Queste piante nel loro modo di vegetazione e di fruttificazione hanno delle tendenze comuni, le quali devono essere studiate per ottenere il maggior profitto dalla loro coltura. Come accade nelle [p. 111 modifica]piante arborescenti che più si caricano di frutti nei loro rami orizzontali che nei verticali, così pure le cucurbitine producono maggior numero di bottoni a frutto quanto meno il corso del loro umore cammina direttamente. Nelle piante arboree si può dare artificialmente una direzione orizzontale ai rami, ma nelle cucurbitine, le quali tutte serpeggiano presso il suolo, questo diretto afflusso d’umore non può essere impedito che con altri mezzi.

Quando i semi delle piante delle quali ora vogliamo indicare la coltivazione hanno germogliato, mandano un ramo principale il quale non porta frutti; le ramificazioni secondarie che sorgono dall’ascella delle prime foglie di questo ramo portano pochissimi fiori, i quali per ia maggior parte abortiscono; le ramificazioni terziarie che sorgono dall’ascella delle prime foglie delle secondarie, e più ancora le ramificazioni che direi quadernarie, come che dipartentisi dalle terziarie, sono quelle che portano il massimo numero di frutti. Ma come ben si vede dalle più lontane ramificazioni non si potrà sperare frutti che nei climi caldi, e nei temperati basta ottenerli dalle secondarie o dalle terziarie, poichè quelli che sorgessero sulle quadernarie, oltre che non avrebbero tempo da maturare, il loro aumento sarebbe a scapito dei primi; cosicchè in questi climi, importa concentrare la vegetazione nei primi frutti togliendo tutte le ramificazioni che sorgessero dopo le terziarie. Tanto nel troncare i primi rami, quanto nel togliere o cimare i susseguenti, importa sapere che queste piante hanno fiori maschi e fiori femmine (fig. 185, 186), 185. Fiore femmina. s. Antera — co. Ovario o frutto.
186. Fiore maschio.
[p. 112 modifica]e perciò importa conoscerli, onde non togliere il ramo prima dell’inserzione d’un fiore femmina, e per lasciarvi anche una certa quantità di fiori maschi che serva a fecondarlo. È quindi necessario cimare i rami due occhi o nodi al dissopra dei fiori femmina.

Su tale maniera di vegetazione e di fruttificazione delle piante cucurbitine è fondata tutta la loro coltura, ossia le regole per ottenerne il massimo profitto: e queste possono ridursi alle seguenti:

1.a Troncare il primo ramo diretto appena che siasi spiegato, per sollecitare lo sviluppo delle ramificazioni secondarie.

2.a Cimare parimenti le ramificazioni secondarie, quando mostrino poca tendenza a portar frutto, per aver più presto le terziarie.

3.a Comparsi i fiori femmine, i quali siano evidentemente fecondati e che mostrino d’ingrossare, cimare i rami due nodi al dissopra, onde concentrarvi l’umore, e così continuare la cimatura fino all’ultimata coltivazione.

§ 854. Il cocomero (cucurbita citrillus), volgarmente detto anguria, è una delle piante cucurbitine, il di cui frutto è consumato in grande quantità dal popolo dei paesi caldi. Per la coltivazione di questa pianta vuolsi un terreno irrigabile, non ombreggiato, di facile scolo e di qualità sciolto vegetale-argilloso.

Il terreno si prepara lavorato avanti l’inverno, e nella primavera si lavora una seconda volta colla vanga alla profondità di 0m,50 a 0m,60, in momento che non sia troppo bagnato, e procurando di mondarlo bene dalle erbe cattive. Poscia si erpica finemente e si pratica una aratura in direzione da mezzodì a tramontana, formando delle aiuole larghe 1m,20, pendenti verso levante, acciò si riscaldino più presto e più prontamente coli l’acqua. Disposte in tal modo le ajuole, nel mezzo di esse si fanno delle buche quadrate larghe 0m,60, e profonde 0m,45, tali che possano contenere da 7 in 8 chilogrammi di concime assai minuto. Le buche saranno distanti fra loro 2m,40, disponendole in modo che l’una corrisponda dicontro alla metà spazio che esiste fra due dell’ajuola vicina.

Il concime opportuno pel cocomero si prepara nel verno, mescolando vinacce a buon letame di cavallo e pecorino; questo si ripone al coperto e si rivolta frequente, bagnando con [p. 113 modifica]acqua di letamajo nel caso che asciugasse di troppo; nel marzo vi si unisce sterco di colombi e di polli, con buona parte di spazzatura di latrina; si rimescola due altre volte, indi si ammassa e si comprime, mantenendolo tale sino al momento di servirsene.

Questa è la mistura di concime che da gran tempo si costuma in Lombardia, ma noi sappiamo che, senza tanto disturbo, possiamo fornire un concime egualmente ricco di azoto, usando i panelli di ravizzone, il guano, il nero della raffineria, o la colombina sola.

Posta in ogni buca l’anzidetta quantità di concime, lo si comprime alcun poco, e vi si sovrappone 0m,10 di terra, lasciandola sofficissima. Venuto poi il momento opportuno per la semina, cioè quando la temperatura è giunta a +13°, si prepara il seme ammollendolo nell’acqua per tre giorni. Nella scelta del seme si procurerà di usare quello proveniente dai frutti più grossi e maturi, e che sia ben nutrito. Si noti che vi sono due varietà di cocomeri, l’una detta nostrale, e l’altra napolitana, di pelle più fina e più dolce della prima, quantunque di frutto più piccolo.

Allora fatto un solchetto profondo 0m,03 nella terra delle buche, vi si porranno sette od otto semi, avvertendo di non mescolare fra loro le varietà. In dieci o dodici giorni i semi saranno nati e, quando siano bene assicurati, si lasceranno due sole pianticine per buca, le meglio vegnenti, estirpando le altre. Quando queste abbiano tre foglie si zappa la terra all’intorno di essa, rincalzandole un poco, ripulendo il terreno dalle erbe, e facendo in modo di abbassare alquanto la terra del lato di ponente, dalla qual parte si era tenuta più alta nel disporre le ajuole. Quando il tralcio principale sia lungo 0m,50 lo si spunta e si zappa nuovamente la terra, e la si appiana del tutto. Se poi i rami secondari, giunti ad una lunghezza di 0m,60 circa, non mostrano frutti, si spuntano essi pure, lasciandone due soli, e così avrannosi presto le ramificazioni terziarie, le quali sicuramente ne produrranno. Giunti poi i frutti, sui rami secondari o terziari, al peso di circa chilogrammi 0,60, si cimeranno nel modo che si è detto tutte le ulteriori ramificazioni, ed i frutti si disporranno diligentemente col picciuolo all’insù, acciò possano acquistare maggior grossezza, e riuscire più tondeggianti.

Se l’estate decorre asciutto abbisogna irrigare prima che la pianta mostri di soffrire, inondando il campo per una notte [p. 114 modifica]allo scopo di ben imbeverne la terra. Dopo l’irrigazione si lasci ben asciugare il terreno prima di entrarvi. Una sola inaffatura fatta in questa maniera basta, e le angurie cominciano a maturare in luglio e continuano tutto agosto; quelle che maturano con una temperatura media al dissotto di +22 non sono più tanto dolci.

Il cocomero matura il proprio frutto in quaranta giorni, e la maturità si riconosce dal vederne seccato il picciuolo, e dal suono cupo che manda quando venga battuto coi nodi delle dita. Allora si toglie dalla pianta, tanto per conservarlo qualche tempo in luogo fresco ed asciutto, quanto per venderlo immediatamente.

Nell’Italia meridionale le angurie raggiungono il peso di 26 a 30 chilogrammi, e da un ettaro se ne può ricavare il valore di circa 900 franchi.

Questa coltivazione va però soggetta ad alcuni contrattempi. Negli estati piovosi la pianta languisce e porta pochi frutti, piccoli ed insipidi; il campo è preso da una malattia detta nebbia, per la quale la superficie delle foglie si fa biancastra, alterandosi per tal modo le funzioni di nutrizione della pianta.

del popone.

§ 855. Il popone (cucumis melo), volgarmente detto mellone, è parimenti una pianta la cui coltivazione non può farsi in campo aperto se non dove si coltiva il melgone. Il frutto di questa pianta per maturare abbisogna di 2800 gradi circa di calore, contati dall’epoca della semina, ed omessi quei giorni la cui media riesca inferiore a +15°. La di lui vegetazione non può dirsi incominciata se non quando la temperatura diurna all’ombra sia di +18°, e di notte +12,5; il frutto, dopo la fioritura, esige circa 880 gradi.

Moltissime sono le varietà di poponi, che ridurremo a poche stando ai caratteri principali. 1.° Popone a pelle rugosa, detto di Caravaggio, precoce, molto carnoso, internamente giallo, di forma toudeggiante, compresso nella direzione del peduncolo all’inserzione del fiore. 2.° Popone reticolato; pelle più liscia, segnata da piccole strisce salienti incrocciantisi a guisa di rete, più tardivo del primo, alquanto oblungo, pure giallo internamente. 3.° Popone bianco o verdastro, internamente, assai dolce e fragrante, ma che esige [p. 115 modifica]un clima caldo. 4° Popone d’inverno, a scorza verde o gialla, carne bianca, dolcissima e fragrante, e che pure vuole un clima molto caldo. 5.° Popone rampichino, piccolo, arrampicante, e che vuole grossi rami cui avviticchiarsi.

In Lombardia il popone sebbene sia coltivato in grande e con grandissimo vantaggio, pure i frutti che quivi si raccolgono non sono punto paragonabili a quelli dell’Italia meridionale, e singolarmente a quelli d’inverno che ci vengono dalla Sicilia. Ciononpertanto in questo paese la coltivazione del popone può dirsi abbastanza accurata, e servibile di norma anche a climi migliori.

Il terreno che ordinariamente vien scelto per questa coltivazione, è un terreno sciolto, vegetale-calcare-siliceo-argilloso, lavorato diligentemente e profondamente una volta avanti l’inverno. Il terreno de’ prati rotti è quello che dà migliori prodotti. Anche il terreno grasso e riposato serve sufficientemente. Utile sarà quando il terreno possa irrigarsi, ma infinitamente meglio sarà che, per la qualità della terra e per la natura del concime, possa risparmiarsi l’uso dell’acqua, poichè il popone esige un’umidità assai minore del cocomero, e non dà frutti abbondanti e saporiti se non quando la stagione sia calda e non molto piovosa, ossia che il terreno sia piuttosto asciutto, senza essere arido.

Il concime più adattato pel popone è il letame da stalla ben scomposto, la colombina, il nero di raffineria ed il guano mescolati tutti ad un poco di cenere lisciviata.

Lavorata la terra avanti l’inverno, avendola concimata dapprima con letame grosso, la si lavora nuovamente in primavera, quando la temperatura media sia giunta a +12°, dividendola in aiuole di 1m,50 di larghezza, disposte in direzione della pendenza del campo e possibilmente da mezzogiorno a tramontana. Su queste ajuole si faranno tante buche alla distanza di 1m,50, in modo che quelle d’una fila riescano di contro allo spazio intermedio fra due della linea vicina. In queste buche si rimetterà la terra frammischiandola a letame ben consumato di stalla, oppure a colombina, guano o nero di raffineria, mettendovi da quattro a sei semi di popone per ciascuna. Nati i semi le pianticelle si ridurranno a due sole, le meglio disposte, per ogni buca, zappando la terra all’intorno anche per togliere le cattive erbe. Indi si procederà alla cimatura o castrazione, nei modi che abbiamo indicati pel cocomero, avvertendo di lasciare un numero [p. 116 modifica]maggiore o minore di fiori femminei, ossia da frutto, secondo che il clima sia più o meno caldo. L’irrigazione per infiltrazione potrà usarsi soltanto avanti la fioritura, in seguito il popone vuol godere interamente dell’influenza dei raggi solari; che anzi, quando il frutto è giunto a metà circa della sua grossezza è bene togliere quelle foglie che l’ombreggiano, e tenerlo sollevato da terra, sottoponendogli un pezzo di tegola od altro rialzo piano, e quando si possa sarà bene rivoltarlo ogni due giorni.

I semi dovranno scegliersi dai frutti più maturi sul proprio stelo dell’anno antecedente, quantunque essi conservino la facoltà germinativa anche per quattro o cinque anni. I semi maturi dovranno togliersi dalla sostanza filamentosa cui stanno uniti nell’interno del frutto, e farli asciugare senza lavarli. Sarà poi cosa utile l’infondere nell’acqua i semi prima di consegnarli al terreno, potendosi in tal modo meglio riconoscere quelli che sono bene costituiti dall’affondarvisi che fanno; i semi galleggianti sarebbero di nessuna o ben dubbia riuscita.

Per avere un raccolto anticipato di poponi si seminano nel febbrajo in cassette, con terra molto sciolta e ben grassa per concime e cenere, alla distanza di 0m,08 onde poter in seguito cavarneli unitamente ad un poco di terra acciò non soffrano le tenere radici. Queste cassette si tengono in serre calde o nelle stalle, esponendole al sole nei giorni caldi. Nati i semi, e fattesi abbastanza robuste le pianticelle, quando la temperatura è di +13°, si ripiantano nel campo preparato come già indicai, colle buche già debitamente concimate. Pel resto si esigono le stesse cure che abbiamo accennate pei poponi seminati immediatamente nel campo.

I poponi rampichini vogliono le stesse cure in quanto alla semina od all’impianto, fuorchè sarà bene tenere le buche un poco più ampie; si cimano una sol volta e si rincalzano. Cresciute le pianticelle a 0m,35, ciascuna di esse si munisce di un grosso ramo conficcato profondamente nel terreno, su questo si arrampicano e vi si trattengono coi loro viticci. I rampichini continuano a dar frutti per molto tempo.

I poponi d’inverno esigono le stesse cure degli altri.

Per riconoscere la maturità dei poponi devesi osservare il loro peduncolo il quale sarà grosso, corto e di sapore amarognolo. Il colore della scorza non deve essere quello che presenterebbe il frutto maturo; il frutto sarà pesante e resistente [p. 117 modifica]alla compressione; l’odore non deve essere molto pronunciato. La troppa sonorità del frutto, battendolo colle dita, è indizio d’immaturità. Il popone si conserva di più e riesce migliore quando non sia colto a maturanza inoltrata. I poponi d’inverno si colgono alquanto più immaturi degli altri, e si dispongono in locali asciutti, ma non ventilati, senza ammonticchiarli, nè farli toccare l’un l’altro, o meglio ancora s’infondono nel miglio o nella crusca, lasciandone visibile una piccola porzione presso il peduncolo; la perfetta maturità di questi si riconosce dal color gialliccio che prende la loro pelle, e dall’odore fragrante che tramandano.

Un ettaro ben coltivato a poponi può dare un prodotto superiore a quello che ho indicato pel cocomero.

della zucca.

§ 856. La zucca (cucurbita pepo) conta molte varietà tanto per la forma, quanto per la qualità e colore della propria sostanza carnosa. Le più coltivate fra queste sono la zucca verde e lunga internamente bianca; la zucca bianca tonda internamente gialla; la zucca a turbante a corteccia strisciata di giallo bianco verde e rosso al di fuori, e la zucca a trombetta a scorza verde, ambedue gialle nell’interno; e finalmente la zucca verde quarantina, bianca internamente.

La zucca ama pure un clima caldo poichè le varietà a polpa bianca esigono almeno 3200° gradi di calore, temperatura media al di sopra di +12°, e le altre a polpa gialla ne vogliono 4000°, per il che ordinariamente non può coltivarsi se non dove si può coltivare il melgone. Il frutto di questa pianta contiene l’80 per % d’acqua, ed avuto riguardo al grande disperdimento d’umidità che si fa per mezzo delle ampie sue foglie facilmente rilevasi essere necessaria o l’umidità atmosferica, o l’umidità artificiale per mezzo dell’irrigazione.

Per questa coltivazione vuolsi un terreno leggiero, vegetale- siliceo-argilloso, che si conservi fresco e che si riscaldi facilmente. La concimazione, la preparazione del terreno e la semina si fa nello stesso modo che si è indicato pel popone. I semi si ammolliranno dapprima nell’acqua tiepida per 24 ore. Le cure successive di coltura sono le medesime di quelle indicate per le altre piante cucurbitine.

Esiste l’uso di seminare le zucche nel melgone, le quali [p. 118 modifica]poi si lasciano crescere senza freno, producendo pochissimi frutti, ingombrando ed ombreggiando moltissimo il terreno con grave danno del prodotto principale. Quest’uso dovrebbe abolirsi, convenendo assai più coltivare separatamente le zucche, usando loro le debite cure.

Una varietà assai produttiva, specialmente per smerciare quando il frutto è ancor piccolo, è la zucca quarantina, la quale si distende pochissimo e può dirsi che non esiga alcuna cimatura. Questa potrebbesi eziandio trapiantare, avendola seminata presto in cassette, come dissi praticarsi per aver poponi primaticci.

Un ettaro a zucche può dare da 60 a 100 mille chilogrammi di frutti, i quali si possono conservare per buona parte dell’inverno, e così fornire un buon nutrimento anche pel bestiame nella proporzione d’un sol terzo; avvertendo che 500 di zucche equivalgono a 100 di fieno.

I semi di zucca contengono un olio verdastro, commestibile. Dieci chilogrammi di semi darebbero un chilogrammo d’olio. I tortelli residui sono eccellenti per le loro qualità nutritive, usati per alimentare il bestiame.