Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 2/Capo 12

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Trattato - Libro 2 - Capo 12

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CAPO XII.

Dei pavimenti.

Essendo i pavimenti principal parte della casa e ornamento, benchè ancora appartengan al seguente libro dei templi, al presente è necessario a perfetta notizia di questo libro, spezialmente di quelli parlare e mostrare alcune differenze d’essi, le quali gli antichi con ragione usarono. Circa la qual cosa, alcuni affermano che gli ornamenti di essi ebbero origine dai Greci per la grande moltitudine che d’essi in più varii modi in Grecia si trova, e fra gli altri di una specie di più ragioni di pietre insieme commesse a similitudine di pittura, ed ordinate. Oltre a questo modo un altro famoso in quelle parti si trova chiamato Asaroton1, sopra del quale i purgamenti o reliquie che dalla mensa in esso si gettava o cadeva, per la varietà de’ colori che in esso erano quelle reliquie e parti superflue non apparivano, ma sempre rimaneva in apparenza in una medesima disposizione: il qual modo più era conveniente nei triclinii che in altre parti della casa, per la ragione detta. Ma dove questi pavimenti abbiano avuto origine o principio, non bisogna nella presente opera determinare: solo è a sufficienza descrivere alcuni modi più utili di essi. Onde è da sapere che oltre ai pavimenti comuni [p. 185 modifica]di mattoni o pietre, in paesi temperati si può fare un pavimento di calce o rapillo e terra che con la calce fa presa tenacissima, i quali devano esser fatti doppi, e a contrario l’uno dell’altro, battuti con le sue fistucazioni: e migliore saria aggiungendo alla sopradetta composizione per terza parte di tutto, o almeno dell’altre parti, vasi pesti antichi o fortemente decotti; nei calcistruzzi ancora comuni si metta due quinti di calce, e sotto questa per altezza di un piè si metta fistucazioni di felce2 o paglia; in altro modo si può fare mettendo in luogo di paglia o felce, carboni bene calcati, e di sopra, cenere, calce e rena miste insieme per altezza di mezzo piè; in altro modo, e migliore, si fa un suolo di calcinacci e testi per altezza d’un piè, e sopra questo un altro suolo di carboni ben calcati: di poi si faccia una composizione di calce, arena e favilla3 parti eguali, e di questa si faccia un suolo alto mezzo piè; il qual pavimento, secondo che ne scrive Vitruvio, ha queste proprietà, in prima ogni liquore in se attrae e insorbe, immediate lasciando secca la sua superficie: secondo, qualunque uomo diritto in questo si posasse, benchè scalzo, ai piedi mai sentiria freddo4. In Matelica insino al presente dì se n’è conservato uno nobilissimo fatto e figurato con baccanali, tarsie, commessi5 e altre figure di animali, tutto di pietra per il quale si può comprendere quanta diligenza avessero gli antichi in essi. Conseguente è da sapere che gli ornamenti non necessari possono essere di più specie, come colonne morte e vive ovvero [p. 186 modifica]integre, cornici, recinti6, stucchi, figure, riquadrati impalchi e altri modi che per il disegno dichiarerò, a cui mi riferisco per resecare ogni superfluo parlare.

Note

  1. Asaroton, suona in italiano non scopato. Così (oltre altri antichi che ne fanno menzione) è descritto da Plinio (XXXVI, 60): Celeberrimus fuit in hoc genere Sosus, qui Pergami stravit quem vocant Asaroton Oecon, quoniam purgamenta cænæ in pavimento, quæque everri solent, veluti relicta, fecerat parvis e testulis tinctisque in varios colores. Qual fosse il mosaico asaroto fu poi fatto chiaro per quello scoperto a Roma nel 1833. (Nibby, Degli Orti Serviliani, pag. 23).
  2. Questi precetti sono tratti dal lib. VII, cap. I di Vitruvio, però la pessima traduzione italiana (della quale si è parlalo nel catalogo de’ codici) che serviva all’autore gli fece scrivere Fistucazione di pietra selice, laddove Vitruvio parlava di uno strato di felce. Cf. Palladio I, 9. e Maius XI, 1.
  3. Favilla in latino (poichè queste sono parole di Plinio lib. XXXVI, 63) è la cenere delle brage.
  4. Palladius, I, 9. De re rustica.
  5. Poichè il cod. sanese non mentova codesto mosaico della città di Matelica (che pare quindi scoperto sul finire del XV secolo) resta buio ad intendersi che abbian da fare i baccanali colle tarsie ed il commesso. L’abate Colucci nella dissertazione Delle antichità di Matelica non fa motto di questo mosaico (Antichità Picene, vol. VI), come neppure l’anonimo che scrisse delle antichità di Matelica nel vol. XXX della N. R. Calogeriana. Leggerei perciò con baccanali di tarsia e di commessi.
  6. Recinti chiama l’autore costantemente nel cod. membranaceo Saluzziano le cornici in giro ad una stanza. I disegni promessi mancano nel codice.