Tre donne/V

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V — Zappando

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IV VI

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CAPITOLO V.

Zappando.

Giugno, il mese più laborioso per la gente di campagna, recava un caldo precoce, eccessivo, in Val Mis’cia, quell’anno. Il sole investiva tutta la pianura da mattina a sera, senza il refrigerio di un acquazzone.

Le donne zappavano il grano turco: o erano a mondare il riso con l’acqua fino al ginocchio, curve, le mani nell’acqua per strappare le erbacce che crescevano insieme alle pianticelle del riso: o voltavano il fieno: o rincalzavano il grano turco nei campi finiti di zappare.

Con l’intervento di don Giorgio, Sandro Rampoldi aveva trovato da collocarsi alla Cascina Grande. Così i due fratelli si erano spartiti, in [p. 66 modifica]mezzo ai lamenti e alle recriminazioni di Pietro e della Virginia. Ed ora, siccome Pietro non poteva fare tutto il lavoro da sè, e voleva spendere in salari il meno possibile, la bella delicatina non poteva più stare in casa e fare la signora, ma doveva zappare come le altre.

Tutti parlavano di queste vicende della bella invidiata. E chi cercava di consolarla, chi la aizzava; i più — indifferenti e maligni — la tiravano sul discorso della cognata per il gusto di sentirla menar la lingua.

Un sabato, stanca già dal lavoro di una settimana, essendo nelle ore più calde della giornata, che l’aria pareva fuoco, ella gettò la zappa, e asciugandosi il sudore esclamò quasi con le lagrime:

— È una vita da bestie!... Io non posso, non posso...

Sette o otto donne, pure incendiate da quelle vampe, che zappavano nel campo vicino, alzarono il capo, e talune sorrisero ironicamente.

— È meglio stare sedute all’ombra che zappare al sole! — mormorò la vecchia Meroni, sempre più secca e gialla, mentre posava avi[p. 67 modifica]damente — ciò che del resto facevano tutte, cercando l’unico refrigerio possibile — i piedi nudi, brucenti, sulla parte umida e fresca di una zolla appena rivoltata.

Fu una risataccia, poichè tutte compresero il sarcasmo. Soltanto Lucia, la giovinetta pallida dal viso rigonfio, che era più vicina al campo della Virginia, le domandò in aria di compassione:

— Siete molto stanca?...

— Non ne posso più!... Mi pare di morire! — sospirò la disgraziata che non c’era avvezza. E si buttò a terra fra le pianticelle ancora basse del melgone, cercando un filo d’ombra.

Le zappatrici, indurite al lavoro, scrollarono le spalle, sprezzanti; e le sette o otto zappe rialzate con nuova lena, ricaddero sulla crosta arida della terra, spezzandola vigorosamente.

— O Cristina! — gridò la Meroni che ce l’aveva sempre un po’ su con le Scaramelli. — Se ci date dentro a quel modo, addio melgone, taglierete tutte le piante! Guardate, avete intaccata una radice!...

— Poco male! Vorrei gli si sciupasse tutto a quel cane... [p. 68 modifica]

Ella s’interruppe. Le sue compagne, che pocanzi ridevano, si erano voltate dall’altra parte, e le zappe brandite tornavano a fendere il suolo con lo stesso vigore, ma con maggiore precauzione. E ancora i piedi nudi, neri, tormentati, cercavano istintivamente la parte più umida e fresca delle zolle rimosse.

Il padrone, entrato nel campo dalla parte di dietro vide la pianticella rovinata dalla Cristina, udì le sue parole. Con voce irata tuonò:

— Scaramelli, giù quella zappa! E vammi fuori dei piedi... tanto, tu hai voglia... d’altro che di lavorare!...

La Cristina si drizzò di scatto. Il suo corpo di antica driade si disegnò superbamente sul fondo luminoso. Un istante, ella fissò gli occhi azzurri, scintillanti, nel viso adusto, non vecchio, non brutto, del padrone che pure la assava. E le braccia robuste, poderose e eleganti insieme, fecero l’atto di scaraventare la zappa alla testa di quell’uomo.

— Madonna Santissima! Lo ammazza!... Lo ammazza!...

La Virginia, balzata in piedi, guardava la [p. 69 modifica]scena terribile coi grandi occhi raggianti di perfida gioia.

Ma nessuno tentò d’intromettersi.

Nè il padrone si mosse, rimanendo quasi impassibile sotto la minaccia e continuando a sfidare la giovine con lo sguardo pieno di collera e di lascivia.

Per fortuna un miglior consiglio prevalse nell’animo di Cristina. Una risata che parve un singhiozzo le uscì dalla gola convulsamente: allentò le braccia e lasciò cadere la zappa. Poi si voltò e si allontanò a piccoli passi misurati, con la massima calma.

Allorchè il padrone pure si fu allontanato, la Virginia si mise a gridare dal suo campo:

— Sudiciona! sudiciona!... Ora la va dal curato. Ci penserà lui a mantenerla. Sudiciona!... Ah! so soltanto io che roba sono queste Scaramelli della malora!...

Ma poichè le compagne ancora troppo atterrite, non la incoraggiavano nelle sue imprecazioni, e quella che le era più vicina si rimetteva a zappare voltandole le spalle, la Virginia comprese, una volta di più, che non spirava buon [p. 70 modifica]vento per lei nel paese e che le contadine, ben lontane dal compiangerla, si godevano di vederla sgobbare e la canzonavano.

Senza altro dire, avvolgendole tutte nella stessa muta imprecazione, ella raccolse la zappa dimenticata in un solco, e si rimise alla sua fatica cercando di sbrigare alla peggio l’odiato lavoro.

— Il campo dei Rampoldi non renderà più come gli altri anni, ora che l’asino ha rotto la cavezza e se l’è svignata! — mormorava intanto la Meroni facendo sghignazzare le sue vicine.