Tre libri dell'educatione christiana dei figliuoli/Libro III/Capitolo 13

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Libro III - Capitolo 13

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Della utilità de i cibi simplici, et communi. Cap. XIII.

Parimente, seguitando di parlare in generale, giudico espediente, che il nostro padre di famiglia avvezzi il figliuolo à mangiar non più d’una, ò due sorti di cibi principali in uno istesso pasto, et questi non artificiosamente conditi; percioche oltre che il cibo semplice, et simplicemente acconcio vuol minore apparato, et minor occupatione de i domestici, è più sano, più facilmente si concuoce, genera miglior succo, et meno escrementoso, et molto meglio lo stomaco lo abbraccia, et la natura se ne nutrisce. La dove i varii condimenti, allettamento della gola, sono un seminario di molte malatie, et quello ch’è peggio, sono fomento di molti peccati, per esser ordinariamente pieni di aromati, et di spetiarie, grandemente nocive à i giovani; sì come si disse [p. 132r modifica]parlando de i rimedii contra l’incendio della libidine. Sia anchora il nostro fanciullo avvezzo in modo, sotto la disciplina del padre, che quando si reggerà per se medesimo sia contento d’una mensa sobria, di cibi ordinarii, che con prezzo sopportabile si trovano d’ogni tempo per tutti, sì che s’egli sarà cittadino, ò artefice, non vada alle taverne per sodisfare à lo sfrenato appetito della gola, et il gentil’huomo non voglia con molta spesa vivande rare, et di altri paesi, et fuori di stagione, e in somma tali che ò per la cosa istessa, ò per la conditura, costando molto prezzo, meritamente sono chiamate pretiose. Mi ricorda haver letto, ch’essendo una volta Pompeo il grande ammalato, consigliavano i medici, che dovesse mangiare certa spetie d’uccelli, che per esser fuori di stagione, non se ne trovava se non in casa di Lucullo, Cittadino Romano ricchissimo, ma non meno delitioso, il quale per delitie ne faceva con molta diligenza nutrir tutto l’anno; ma Pompeo ricusò generosamente di volerne, dicendo di più queste notabili parole: Adunque se Lucullo non fosse un’huomo voluttuoso, Pompeo non potria vivere? Il che hò voluto riferire per confusion nostra, ch’essendo noi Christiani, à i quali è detto da Christo istesso: Guardatevi che i vostri cuori non siano aggravati dalla crapula, et dalla ebrietà, viviamo per il più in modo, come se ci havessimo fatto nostro Iddio il ventre vilissimo, sì come S. Paolo ne fa querela. Tanto è cresciuto il lusso, et l’eccesso in questa parte, che altrui si reca à gran lode il tener molti ministri occupati, et far gran spesa in mangiare delicatamente et fuori del commune uso; sopra di che non voglio far maggiore esaggeratione, acciò altri non dica, che io voglio soprasapere. Non si toglie però, che per honorar gli hospiti, et parenti, et ricevendo tal volta per honesta ricreatione alcuno amico à desinare, non si possa far qualche cosa di più in segno di honoranza, et di letitia; come anchora ne i giorni festivi, et nelle maggiori solennità di santa Chiesa, ma però sempre dentro i termini della modestia christiana; ricordandoci che le nostre festività si hanno da celebrare, non à giusa di Gentili nel lusso, et nelle crapule, et delitie del corpo, ma in spirito, et santità, et purità della anima, sì come ne ammonisce il gran padre S. Gregorio Nazianzeno. Ma ritornando al proposito, chi havrà notato il mio modo di parlare, vedrà che io non amo punto nel nostro padre di famiglia la sordidezza, et non biasimo la civiltà, et quella decenza che si conviene allo stato di ciascuno. Ma ben mi par di ricordare, che in ogni tempo, e in ogni luogo deve rilucere la modestia, et temperanza christiana; et io per me credo che per meglio ricevuto, et honorato si terrà l’hospite, et l’amico giuditioso, et temperato, vedendo la mensa tutta condita d’una giocondità, et [p. 132v modifica]hilarità dolce, et di cuore, quale la vera amicitia produce, che vedendola piena di un diluvio di vivande, che par più presto che si voglia suffocarlo, che nutrirlo.