Tre libri dell'educatione christiana dei figliuoli/Libro III/Capitolo 16

Da Wikisource.
Libro III - Capitolo 16

../Capitolo 15 ../Capitolo 17 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 25% cristianesimo

Libro III - Capitolo 15 Libro III - Capitolo 17


[p. 134r modifica]

Della sobrietà in spetie delle figliuole femine. Cap. XVI.

Ma sopra tutto è necessaria la sobrietà, et l’astinenza del vino nelle figliuole femine, lequali devono essere adornate di modestia, di silentio, et di castità, et nelle quali disdice molto lo haver nel viso un certo rossore infocato, che sole produrre il vino, et più le rende venerande una cotal pallidezza virginale, et gli occhi bassi, et l’andar grave, et il parlar non molto alto, et raro, che il correre quà, et là per casa, come impazzite, et fare altre leggierezze tali, che sovente sono cagionate dal vino. Si legge non solo ne gli historici pagani, ma in Tertulliano anchora antichissimo scrittore Christiano, che le antiche donne Romane, non bevevano vino, et se erano trovate in fallo, i mariti, et i congiunti le castigavano severamente, con quanta più ragione adunque richiederemo noi dalle donne christiane la sobrietà almeno, et la continenza? certo s’io non temessi d’esser tenuto troppo rigoroso, direi che una buona, et costumata zitella, non dovria bever vino, ò certo pochissimo, prima che ella se ne andasse à marito. Avvertà però il prudente padre, che non solo alla presenza sua i figliuoli, et le figliuole osservino la sobrietà, ma chiuda loro le strade, acciò occultamente per mezzo de i servitori, et delle ancille, ò in altro modo. non sia loro lecito di fare il contrario, ilche saria più dannoso, bevendo con maggiore avidità, et senza freno di quella vergogna, che si hà nel cospetto paterno, però è necessaria molta discretione, et secondo il proverbio non tirar troppo la corda acciò non si scavezzi, et sopratutto procurar che gli atti buoni naschino dall’intimo del cuore, per il timor di Dio, et per amor della virtù; et finalmente la istessa consuetudine buona, cominciata dalla età tenera che anchora non ha assaporato, ò per meglio dire, non ha imbevuto il vitio, farà più facile, et dilettevole l’operare, come s’è detto più volte. [p. 134v modifica]

Esempio di santa monica come fanciulla cadde nella incontinenza del vino. Cap. XVII.

Spero che non sarà cosa fastidiosa, ne senza frutto s’io riferirò con brevità in questo luogo, una historia della fanciullezza di santa Monica, laquale assai diffusamente racconta santo Agustino suo figliuolo, nel nono libro delle sue divote confessioni, acciò s’intenda quanta vigilanza si convenga haver sopra i figliuoli et le figliuole in questo istesso particulare del vino, il che servirà per instruttione di molte altre cose, vedendo come da piccoli principii si perviene all’habito del vitio. Dice adunque santo Agustino, che Monica sua madre fu allevata bene nella casa paterna, spetialmente per la diligenza d’una ancilla già decrepita, che da i primi anni haveva vivuto nella istessa casa, et per i suoi lodevoli costumi haveva cura delle figliuole del padrone, le quali governava, et teneva in freno, con una santa severità, tanto che fuori di quelle hore, che alla mensa paterna parcamente erano nutrite, non permetteva loro fra giorno, anchora che ardessero di sete, il bevere ne anco dell’acqua, ilche faceva perche non prendessero quella mala consuetudine, et diceva loro, come sant’Agustino riferisce: Hora bevete acqua, perche il vino non è in poter vostro, ma quando sarete andate à marito, et sarete fatte padrone delle dispense et delle cantine, l’acqua vi puzzarà, ma la consuetudine del bere prevalerà; con questi modi la buona et prudente vecchia, frenava l’avidità delle tenere fanciulle, et cosi à poco à poco la cosa era ridotta à tale, che già non havevano più voglia di fare quello, che vedevano non si convenire. Avvenne che essendo Monica, come zitella già conosciuta per sobria, mandata dal padre et madre à trarre del vino, cominciò con le estreme labra à pena à sorbirne alquanto non potendo prenderne più, perche il gusto istesso lo abhorriva, il che fece non per appetito del vino, ma per una certa pazziola puerile, ma aggiungendo poi à quel poco, giornalmente un’altro poco, si verificò in lei quello che la scrittura santa dice, che chi disprezza et non fà conto delle cosa piccole, va à far gran cadimento, perciò che la buona fanciulla venne à termine, che già senza rispetto beveva ingordamente i pieni bicchieri di vino forte, ò voglia dire puro. Dal qual vitio incognito à tutti di casa, et però tanto più difficile a esser guarito, piacque à Dio di liberarla per stranio modo, che venuta un giorno in contesa con quella servente, che soleva andar seco in compagnia a cavar il vino, essendo per ventura ambe due sole, la fante sdegnata gli rimproverò con amara puntura il suo peccato, chiamandola con vove latina Meribibula, che tanto vuol dire, come bevitrice di vino [p. 135r modifica]puro; laqual parola à guisa d’una saetta gli penetrò al cuore sì fattamente che riguardò la bruttezza sua, et subito in se medesima la condennò, et hebbela in abominatione, et se ne spogliò per sempre, insegnandoci come si possa cavar frutto da gli inimici, i quali se, come altrove si disse, sappiamo esser savii, non meno ci fanno di giovamento co’l rinfacciarci i nostri difetti, che ci faccino di danno gli adulatori co’l lodarceli. Hor questo scrisse santo Agustino di sua madre, che fu poi di admirabile santità, et lo scrisse, quando ella era già in paradiso, per darne gloria à Dio, o perche i nostri padri di famiglia dal cadimento de i santi imparassero ad esser cauti, et diligenti nel governo de’ proprii figliuoli.

De i tempi et hore del mangiare. Cap. XVIII.

Quanto poi appertiene à i tempi del mangiare, per dire alcuna cosa anchora di questo, si è detto che con i fanciulli conviene usar di maggior discretione, si che non habbino ad aspettar l’hora del desinare, ma si dia loro per colatione alquanto di pane, con alcun pomo, ò fichi secchi, ò uva passa, ò cosa tale più presto che carne, ò formaggio, cibi manco mondi da veder loro in mano, et di maggior nutrimento che non fà bisogno per trattener la natura sino à l’hora del pranso, et il medesimo si può dire della merenda, massime ne i giorni lunghi di state alqual tempo per il gran caldo più facilmente si può permettere al fanciullo di bere un poco; ma però sempre la colatione, et la merenda siano come mercede d’alcuna buona cosa fatta, ò da farsi, verbi gratia per andar alla scuola, ò per haver ben recitato la lettione. Parimente non si possono cosi limitare le hore del mangiare à quelli che devono fare esercitii fatticosi, come lavoratori di terra, et fabri; ma parlando de gli huomini più communi, che vivono civilmente, à me pare che il miglior modo sia mangiar due volte il giorno, mattina, et sera moderatamente; si che, come ben disse quello eloquente scrittore, Vires reficiantur, non obruantur, cioè che le forze del corpo venghino ad essere ristorate, et non oppresse dal cibo, come il più delle volte suole avvenire à coloro, i quali mangiano una sola volta il giorno, che se mangiano la mattina, restano quasi inutili alla facende del giorno, dovendo prendere tanto nutrimento, che basti loro per lo spatio di ventiquattro hore, et se differiscono alla sera, la natura patisce in molti modi, massime ne i tempi, et nelle regioni men fredde; percioche il corpo, per il lungo digiuno, et per il calore esterno, et di fuori, troppo si rilassa, et debilita, et meno prontamente si affatica il giorno, et venuta poi l’hora di prender il cibo, troppo avidamente la natura si [p. 135v modifica]ingurgita, et conviene dormire lungamente, et non può facilmente uno stomaco di mezzana virtù portare tanto un peso in una sol volta, oltra che questi tali stanno lungamente à tavola, et vogliono compagnia, et trattenimenti più del dovere, onde si pregiudica à molte cose gravi, et seguono spesso dell’altre conseguenze non buone. È però vero, che le varie occupationi de gli huomini, et molte circonstanze, che sono parte in noi stessi, parte dipendono da altri, ricercano varie regole, cosi in questa, come in molte altre cose. Tuttavia à me pare, che il modo detto sia il migliore, et cosi si fa più communemente, et non disconviene che la Città sia quasi una gran casa, nella quale tutti mangino circa l’hora medesima, et cosi ordinatamente alle sue hore, si faccino le altre facende, cosi anchor noi meglio ci accomodaremo à negociar con gli altri, et daremo altrui commodità di poter più opportunamente trattar con noi, se seguitaremo l’uso più commune, non facendo come alcuni, che mangiano ad hore stravaganti tal’hora avanti il giorno, et tal’hora à mezza notte, i quali scontentano non solo la famiglia propria, et chi ha à fare con loro, ma fanno nocumento alla propria sanità. Però il nostro padre di famiglia, crescendo gli anni del fanciullo la vada discretamente riducendo à questa consuetudine di prendere il cibo solo due volte il dì, con tal moderatione, che nè la natura sia troppo gravata à concuocere, nè egli impedito à operare, ricordandosi sempre, che il mangiare si fa solo acciò il corpo si sostenti, et possa servir espeditamente alle operationi, alla quali siamo obligati, et come huomini civili, et come christiani.

Dell’obligo, et delle conditioni del digiuno christiano. Cap. XIX.

Richiede, si come à me pare, la materia del ragionamento presente, che diciamo anchor qualche cosa del digiuno christiano, acciò il nostro padre di famiglia ricordi à suo tempo al figliuolo, come debbia esser pronto à ubidire à i commandamenti di santa Chiesa, non meno nella osservanza di questo precetto, che de gli altri. Nè però à me tocca riferir in questo luogo distintamente quali siano i giorni determinati, ne i quali ciascuno che non è legitimamente impedito deve digiunare, et quali son quelli che sono dispensati dal digiuno, et come si debbia digiunare, et dove la consuetudine permetta i latticinii, et l’ova, et dove nò; et altre simili cose, le quali si possono, et devono imparare da i padri spirituali, et dalle dottrine christiane, dove brevemente sono raccolte le cose più necessarie, che ciascun deve sapere, et osservare. Et veramente [p. 136r modifica]è cosa degna di lagrime à veder la poca cura che si tiene da i christiani communemente in saper le cose pertinenti alla salute dell’anima propria, et quali siano gli oblighi che convenga adempire, à chi vuole esser christiano d’effetti, et non di nudo nome solamente. Io ardisco dire, et non senza probabile coniettura, che vi sono tali che sanno assai di quelle cose, che poco importa ignorarle, et nondimeno non sanno che ciascuno è obligato la Quadragesima, non solo ad astenersi da carne, ova, et latticinii, ma anchora à digiunar tutti i giorni, eccetto le Domeniche; altri par loro digiunar sufficientemente la Quaresima, et le vigilie commandate, perche si astengono da i cibi sudetti, che vulgarmente si chiamano grassi, et non lasciano però di cenare, et forsi di far colatione. Altri sanno bene l’obligo del digiuno, et sanno come conviene digiunare, cioè che il digiuno richiede tre cose principalmente; le quali sono, L’astinenza d’alcuni cibi, Il mangiare il dì una sol volta, et questo che è la terza conditione, si deve fare nell’hora di mezzo giorno, ò là intorno, che nel tardare non è pericolo, ma si bene nel prevenire troppo notabilmente il debito tempo. Hor come io dico, sanno costoro le leggi del digiuno, come tutti sono obligati à saperle, ma non contenti d’una larga cena meridiana, la sera poi sotto il pretesto di non mangiare cose cotte, fanno di frutti, et di conditi, et altri di pane solo, et di insalate, se di altro cibo più grato non possono, una nova copiosa cena, la dove solo si permette una poca cosa, come per medicina, per conciliare il sonno, et riposar la notte più quietamente. Lascio di dire di quelli che troppo indulgenti à se medesimi riputandosi deboli, ò di ricever nocumento da i cibi quadragesimali, non digiunano punto, ne si astengono dalla carne; et tutti questi ingannano se stessi solamente, et non Iddio, di cui è scritto, Deus non irridetur, Iddio non si può ne ingannare, ne burlare. Certo non è mia intentione di far del rigoroso, ne mi piace di tirar le cose troppo all’estremo, ne intendo di allacciare le conscienze de i pusilli, perche io so bene che molti per molti rispetti possono essere giustamente escusati, ma dico solo, che egli pare che si veda in molti troppa trascuratezza, et un certo andarsene così alla cieca nelle cose che toccano all’anima, quasi non importassero molto, essendo noi per contrario tanto attenti, et esquisiti ne gli interessi della robba, et della salute corporale. Però il rimedio sicuro è che ciascuno conferisca lo stato suo, et le circonstanze particolari, co’l suo padre spirituale, ilquale con discretione di spirito, non gli imporrà maggior peso di quello che egli possa portare, et di più si havrà il merito di far l’obedienza, con laquale obedienza parimente conviene fare i digiuni voluntarii, che si fanno per sola divotione, et non regolarsi di suo capo; percioche [p. 136v modifica]niuno è idoneo giudice di se medesimo et il diavolo si trasfigura in angelo di luce, et non meno anzi forse più si potrà peccare da alcuno con l’eccesso del digiuno, che con il mancamento.

Del modo di avvezzare i fanciulli alla osservanza del digiuno. Cap. XX.

Ma ritornando al nostro padre di famiglia et alla diligenza ch’egli deve usare per assuefare il figliuolo all’osservanza del digiuno christiano, percioche io mi persuado che il disordine cosi in questa, come in molte altre cose, naschi in buona parte dell’educatione, dico che se bene la santa Chiesa madre benignissima non obliga sotto peccato non solo i putti ma ne anco i giovanetti à dover digiunare, prima del fine del ventunesimo anno, nondimeno è molto espediente che gli orecchi del fanciullo, sentano spesse volte risornar per la casa questo santo nome del digiuno, et gli occhi del medesimo vedano, et osservino, il padre, et la madre, et i domestici digiunar christianamente. Sappia i giorni statuiti delle vigilie, et delle tempora, et habbia in gran riverenza la Quadragesima, di cui ci diede esempio particulare Christo signor nostro, et nella quale paghiamo in un certo modo à Dio la decima di tutti i giorni dell’anno. Tal volta invitino il padre et la madre il fanciullo dolcemente à tener loro compagnia nel digiuno, ne però lo defraudino della sua necessaria portione, ma il non veder il solito apparecchio, nè meno i cibi ordinarii, lo vada inducendo in una certa credenza di digiunare, et poi à poco crescendo gli anni, si vada conducendo più vicino al vero. Et benche non sia poco secondo la commune tepidezza de gli huomini, osservar i precetti di santa Chiesa senza aggiunger novo carico, nondimeno laudabile consuetudine saria d’una casa christiana, che in memoria et riverenza dell’acerbissima passione di Giesù Christo nostro Salvatore vi si digiunasse il sesto giono della settimana, che noi diciamo Venerdì, et che il padre lasciasse al figliuolo questa santa tradittione. Non è gran cosa un poco di astinenza quando il corpo è già fermato, come intorno all’anno quartodecimo, et gli altri che seguono, et pur si vede che per mille accidenti si lascia di cenare da i giovani, etiandio per solo capriccio, hor quanto più si doverà fare per amor della virtù, et per bene dell’anima propria? et non è da dubitare, che tacendo per hora del gusto che apporta l’operar virtuosamente, l’istessa assuefattione renderà facile il digiunare, si come per contrario suole avvenire, che ad alcuni quantunque giovani, et vigorosi per non vi esser assuefatti, par cosa gravissima se il confessore impone loro un digiuno. Hor sappia [p. 137r modifica]il padre di famiglia, che il maggior nimico, che possa haver il figliuolo è il suo proprio corpo, troppo delicatamente nutrito, et ingrassato, onde poi recalcitra contra l’anima, per il che fa bisogno tal’hora sottrarre le armi à questo nimico domestico, sì come ci eshortano le scritture sante, et tutti gli antichi padri, et Dottori di santa Chiesa, che non è quasi alcuno di loro, che non habbia scritto sermoni et libri in lode del digiuno, et divinamente fra gli altri san Basilio, et la santa Chiesa istessa chiama il digiuno medicina delle anime, et de i corpi, oltre che per i negotii civili et varii stati de gli huomini, è molto necessario il poter sopportare l’inedia, et il digiuno, et non far come alcuni, che giunti à casa non possono pur aspettar un brevissimo spatio di tempo, non tanto però per bisogno di nutrimento, quanto per impatienza, ma come si sia, giova non di raro ne gli anni più maturi, se alcuno da giovanetto si è avvezzo à poter sofferir i disaggi, et in particulare la fame, et la sete.

Del dormire in generale. Cap. XXI.

Il riposo del sonno è necessario alla natura per ristorare il corpo affaticato, et sono i fanciulli per l’humido che abonda in loro, assai dediti al dormire, ma come il necessario non si deve toglier loro, et massime nella fanciullezza, cosi conviene all’incontro haver avvertenza che non trapassino il segno, onde diventino poi huomini dormigliosi il che è grave diffetto, et fa stupidi gl’ingegni, et rende i corpi gravi, et pesanti all’operare, et toglie una parte del giorno utilissima à far molte cose, perciò che come diceva un savio, il levarsi la mattina à buon’hora, è cosa utile per la sanità del corpo, per gli studii di Filosofia, et per la cura famigliare, onde l’Evangelio dice dell’huomo padre di famiglia, che uscì di casa in su l’alba à condurre gli operarii, et Salomone dice: Non amare il sonno, et non dormir troppo, se non vuoi esser oppresso dalla povertà. Hor discendendo al particulare non si può cosi appunto determinare per ciascuno la debita misura del sonno, ma generalmente parlando, pare che il tempo di stare nel letto non dovesse esser meno di sette hore, ne passar le otto; et cosi come il troppo dormire fà gli huomini negligenti, et inetti à gli studii, et alle fatiche, cosi per contrario l’altro estremo del troppo poco, cagiona quasi i medesimi incommodi, et stà l’huomo neghittoso, et come stordito tutto il giorno, et la natura non fà perfettamente la sua concottione, et digestione, et rimane languida, et à poco à poco contrahe qualche indispositione; et spesse volte avviene, che quasi sdegnata di quello che gli è stato tolto nella notte indebitamente, lo richiede, et lo rivuole [p. 137v modifica]importunamente il giorno, onde si vedano alcuni dormire, ne i luoghi dove si doveria vegliare. Et quantunque leggiamo di alcuni huomini di eccellente virtù, ò ne vediamo qualcuno, che come già vivendo più vita celeste, che humana, sia contento di brevissimo sonno, non però gli huomini communi devono misurarsi con le medesime misure, ma prendere una via del mezzo, in modo che questo nostro giumento, possa portar i suoi pesi commodamente, non gettando per troppa morbidezza il Cavaliero per terra, ne meno mancando egli per debolezza fra via, et cadendo, come si suol dire, sotto la soma. Bene è vero che la carne, amica de gli agi, sempre chiede di più del suo bisogno, per il che è bene assuefarsi da giovanetto à levarsi à buon’hora, che all’ultimo il sonno è una imagine della morte, et si può dire che quelli che manco dormono, vivono più. Et fra gli altri commodi della temperanza, et della sobrietà, di che habbiamo parlato di sopra, ne seguita anchor questo, che quelli, che cenano sobriamente havranno manco bisogno di sonno, et potranno levarsi più per tempo, et trattar con Dio prima il negotio dell’anima, come si disse parlando della oratione, et poi espedirsi di molte cose domestiche, et meglio prepararsi alle publiche, massime gli huomini di grande affare, et che hanno carichi, et governi; si come giuditiosamente finge un antico poeta essere stato ammonito in sogno un gran Re, à cui parve sentirsi dire che non conveniva à quelli che reggono popoli, et governano eseciti, dormire tutta la notte intiera, nella qual cosa alcuni de’ maggiori et più nobili gentil’huomini molto spesso s’ingannano, parendo loro che il non veder mai, come disse Sardanapalo, il sole nascente, sia cosa da’ pari loro, et che solo à i poveri artefici, per guadagnarsi il vitto cotidiano, sia necessario il levarsi à buon’hora. Ma la solicitudine è utile, et lodevole in ogni stato di persone, et per tanto il nostro padre di famiglia vi avvezzi discretamente il figliuolo, et per quanto si può, senza manifesta offesa, lo assuefaccia talmente ch’egli sia padrone del suo proprio corpo, et faccia il meno che si può giattura del tempo, della quale, come un savio dice, niuna è più grave.

Del dormire fra ’l giorno. Cap. XXII.

Quanto poi al dormir di giorno per toccare anchor di questo particulare una parola, alcuni huomini spirituali, hanno consigliato, che l’hora del dopo desinare, si assegni al riposo, et al sonno, percioche non si potendo à quell’hora, tanto vicina al cibo, ritornar alle solite operationi, massime dove la mente deve affaticarsi, cosa che fatta in quel [p. 138r modifica]tempo, impedisce l’offitio della natura intorno al nutrimento preso, il che non può esser senza offesa del corpo, et dall’altro canto, essendo costume del demonio, il quale per tal cagione è chiamato meridiano, assalir in quell’hora l’huomo, come più esposto alle sue insidie, spetialmente di peccati di carne, hanno giudicato manco male che quell’hora si passi dormendo. Altri sogliono dire, che per esperienza trovano, che dormendo mezza hora del giorno, possono senza incommodo diminuire un’hora, et più, del sonno notturno, et altri parlando medicinalmente dannano il sonno dopo il pranso, come quello che riempie il capo di vapori. Tuttavia io crederei, che quando altrui hà presa la sua debita portione del sonno la notte, non sia necessario ridormire il giorno, massimamente l’inverno, che i giorni sono brevi, et manco molesti, et quando si è mangiato sobriamente, non siamo cosi facilmente assaliti dal sonno, et non mancano mille modi, et per i putti, et per gli huomini di passar quell’hora con honesta ricreatione, senza offesa di Dio, ne della sanità, anzi con frutto non mediocre, perciò che il ripulir la gabbia d’un uccellino, l’inacquar uno horticello, il far anco qualche lavoretto non molto sottile con le proprie mani, et altre cosarelle tali, bastano à far passare senza molestia quella hora, tanto più, che non solo è riposo il cessare da operare, ma una moderata fatica, per la suavità che accompagna la mutatione, è riposo dell’altra. Ma quando pure un poco di sonno fosse giudicato giovevole al nostro giovanetto, che qui non parliamo de gli anni infantili, ne della prima fanciullezza, ne i quali tempi sino che il corpo si corrobora, conviene usare alquanto di maggiore indulgenza, in tal caso dico, non si ponga à giacere, et non si avvezzi per modo alcuno à entrar spogliato nel letto, cose che non si possono fare senza molto perdimento di tempo, oltra che si avvezza troppo morbida questa nemica carne, in pregiudicio della anima, ma riposi sopra una sedia, più presto un pochetto incommodo, acciò il sonno sia manco lungo, et manco profondo, onde i sensi ricevano più presto vivacità, che lebetudine et stupore. Bene è vero che il consiglio di quegli huomini spirituali, del qual parlai da principio è più necessario à coloro che quell’hora la passano solitarii, et se ne stanno ritirati, perche se non sono ben prattichi corrono maggior pericolo, però i putti non sono da lasciar di leggiero soli, et senza custodia, massime ne i lunghi, et molesti giorni di state; ma tanto à loro, come à i più attempati conviene procacciar qualche utile esercitio, et faccenda, acciò come quel santo dice, il diavolo ci trovi sempre occupati, si come altrove habbiamo detto più à pieno, discorrendo contra la lussuria, conciosia ch’egli è vero, per il più il detto di quel savio, che chi non ha dar far nulla, pensa à far male. [p. 138v modifica]

Del soverchio culto del corpo, et del negletto contrario. Cap. XXIII.

Io non descenderei volentieri à cose tanto minute, come son per dire hora se non mi pesuadessi, che per formar un’huomo virtuoso, et utile per la patria, come pretendiamo, sia molto da fuggire la troppa delicatezza del corpo, et la soverchia cura di molti in certe politezze, che facilmente disdirebbono alle femine, non che à gli huomini; percioche si ritrovano alcuni, massime giovani nobili, et ricchi, che dopo essersi levati da letto la mattina, si occupano lungo spatio di tempo nel pettinarsi, nel fregarsi i denti, nel lavarsi le mani con saponi odoriferi, et tanto ci è da fare che le vestimenta stiano affettate, et ogni pelluzzo dà cosi gran noia à costoro, et tanto spesso ritornano allo specchio; et tal’hora ci sono da far cosi lunghi discorsi co’l sartore, et co’l calzolaio, et con i servitori, et coi camerieri, che si consumano vanissimamente le migliori hore del giorno; et di loro non meno che delle donnicciuole si verifica quel detto del Comico: Mentre si poliscono, mentre si adornano se ne passa l’anno. Ma quel ch’è peggio, queste vanità tirano seco di male conseguenze, l’animo ne diviene molle, et effeminato, il corpo abhorrisce le fatiche robuste, et virili, la gravità si perde, et si acquista l’opinione d’huomo leggiero, à cui non convenga fidar nelle mani negotio, che ricerchi cervello, et sodezza. La onde questi tali si riducono à non esser buoni ad altro, che à passeggiar per i corsi, con titolo di galanti, et di attillati; lasciando da parte il dir di quanti peccati sia esca questa soverchia attillatura, di che altrove habbiamo trattato à bastanza. Hor à me non dispiace in modo alcuno la politezza, anzi la ricordo al nostro padre di famiglia, et la desidero nel nostro fanciullo, pur che sia virile, et senza affettatione, si che non para, che tutto lo studio nostro sia posto quivi; anzi nelle figliuole istesse deve haver moderatione, si che non passi in mollezza troppo vezzosa, ma ritenga una certa gravità, et talmente sia una buona zitella pulita, che non perda di esser modesta, et grave. Adunque avvezzi il nostro padre di famiglia il suo figliuolo à non perder molto tempo la mattina in sì fatte cose, ma satisfatto alle necessità naturali, onde il giorno poi non ci molestino, al qual uso la natura ci assuefa facilmente; nel resto si espedisca di quello che al culto del corpo appertiene con mediocre diligenza, acciò ci sia più tempo per cultivar l’anima, che più importa, et per impiegarsi ne gli studii, et nelle operationi di casa, et fuori. Avverta però il padre, che il figliuolo non diventi trascurato, et vada co’l viso lordo, et coi panni discinti, ò simili negligenze, ch’è l’altro estremo vitioso, anzi [p. 139r modifica]lo avvezzi ad abhorrire ogni cosa sconcertata, et diforme, et della anima, et del corpo.

Del vestire in generale. Cap. XXIV.

E molto congiunta alla materia detta di sopra quella del vestire, della quale si è ben ragionato qualche cosa à dietro, ma solo per occasione, et non in generale, come il presente luogo richiede. Si disse, parlando della cura di formar il corpo de’ fanciullini che non si doveano vestire troppo stretti, ne affettati, anzi agiatamente acciò la natura più facilmente si possa dilatare, il qual riguardo si scrive da gli historici Greci, che haveano le nutrici Spartane, le quali usavano certo artifitio di allevare piccoli infanti senza molto strignerli, et avviluparli con fasce, et con legami, onde le membra loro ne venivano ad esser più disciolte et meglio formate, et essi di più bella, et gentile corporatura. Habbiamo anchor detto di sopra, nel discorso del sesto precetto, contra i vani adornamenti, cosi delle donne, come de’ i giovani, dimostrando che sono esca, et nutrimento della libidine, et però molto si devono fuggire. Et altrove si è detto delle soverchie pompe, piene di dispendio, et di altri gravi inconvenienti. Hor seguitaremo di ricordare alcun’altra cosa in questo istesso proposito. Et prima à me pare che i putti, non si doveriano vestire troppo riccamente ne di materia troppo pretiosa, essendo spesa del tutto inutile, et fatta solo per ostentatione, ma ne segue un’altro incommodo, che più importa, cioè che i fanciulli ne diventano vani, et superbi, et disprezzano gli altri coetanei manco ben vestiti, però il nostro padre di famiglia stia in questa parte dentro i termini della modestia, secondo la decentia de lo stato suo. Quanto poi alla forma de’ vestimenti, è da dolersi che l’habito lungo, il qual tanto piacque à gli antichi sia quasi del tutto dismesso, ne però i Romani erano filosofi, si che si possa dire, che l’habito loro non convenga a Cavalieri, et non senza cagione gli chiamò colui, padroni del mondo, et gente togata, perche et co’l saio armati seppero conquistare, et con la toga in pace seppero gran tempo governare il mondo, ma noi non usiamo ne toga, ne saio, anzi giubbone et simili habiti senza falde, corti affatto, scoprendo et fanciulli, et giovani poco honestamente quelle parti, che la natura istessa ci hà insegnato à ricoprire. Che se bene è vero che per la continua assuefattione de gli occhi, non vi si conosce quasi deformità, nondimeno chi ben considera, vedrà che alcune nationi oltramontane, et tali che sono infideli, ci avanzano in questa parte della verecundia, et honestà del vestire. Ma chi può negare, [p. 139v modifica]che l’habito sia anchora di non mediocre momento per rispetto de i costumi? certo più gravi et più maturi pensieri havrà un giovane, che si veda attorno un’habito lungo, et più si guardarà di far in publico alcuni gesti à i quali l’habito corto et libero in un certo modo ve lo invita, per il che giuditiosamente si ritiene pur anchora la toga in alcuna republica. Ma poi che l’uso, ò l’abuso commune hà ottenuto cosi, almeno non si vedessero ne gli habiti della nostra gioventù mille altre leggierezze, percioche oltra la immoderata pompa et lusso, et le foggie stravaganti de gli habiti che tutto dì si ritrovano, hora fuori di modo grandi, hora per contrario estremamente piccoli, è pur strana cosa veder un gentil’huomo nobile, vestito à guisa di buffone di cento colori et de’ più vivi et fiammeggianti che si trovino, come gialli, verdi, et simili, acciò più facilmente per le piazze, et per i luoghi publici siano veduti, et se ne movano le brigate à riso. Hor à queste, et molt’altre cose, saria necessario che provedesse l’autorità publica, tuttavia il nostro padre di famiglia vesta i figliuoli suoi in modo, che si conosca che sono di padre christiano, et che si ricordano di haver nel battesimo rinunciato al diavolo, et alle sue pompe; vestagli, massime quando sono usciti della prima fanciullezza, di colori più presto tendenti al bruno, che troppo chiari, honorevolmente però, et di buona materia, et siano i vestimenti ben fatti, si che non vi si scorga ne affettatione, ne sordidezza, ma una portatura mista di grave, et di leggiadro, che nasce dal vestire uniforme, schietto et simplice, ma però garbato, et non del tutto vile, et noi vediamo pure, che un gentil’ huomo non apparisce manco nobilmente vestito, quando veste di corrotto, che quando veste ne i modi ridicoli che habbiamo già detto. Et sopra tutto come altrove si è ricordato, non trapassi il padre di famiglia lo stato suo, et non contenda l’artefice co’l cittadino, ne questi co’l nobile nelle pompe, e inventioni vanissime, ma contendiamo tutti in amar Iddio, et operare con la sua gratia più virtuosamente.

Della honestà de gli habiti feminili, et in spetie del velo. Cap. XXV.

Se bene le cose dette di sopra quanto al vestir de gli huomini, si hanno anchora proportionatamente da intendere de gli habiti donneschi, nondimeno perche la modestia, et la honestà si richiede principalmente nelle donne, et perche gli abusi, et la licenza cresce ogni giorno maggiormente, per tanto mi par doverne dire alcuna cosa in particulare. È cosa molto indecente che le honeste madrone, portino le vesti loro cosi scollate, et [p. 140r modifica]aperte che mostrino tutto il petto, et le poppe, non meno indecente cosa è vestire in modo, che pare che vogliano apparere più presto huomini che femine, ma gravissimo inconveniente è l’andar publicamente, etiandio nelle Chiese, senza velo su’l capo, ò posto in tal forma, che più presto pare uno scherno della honesta portatura, che vera honestà, quasi si andasse al tremendo sacrifitio della messa, et a i divini offitii, come ad uno spettacolo vano, per danzare, et festeggiare, et non per stare con timor santo, et tremore, con tutti i sensi raccolti, chiedendo perdono à Dio de i falli commessi, et rendendo gratie à quella immensa maestà di tanto beneficio. Fu questo istesso abuso nelle donne di Corinto à i tempi della primitiva Chiesa, et del glorioso Apostolo san Paolo, le quali erano in qualche parte più escusabili, che le nostre donne non sono, come quelle, che pur all’hora nate in Christo, si erano partite da gli errori della gentilità, et dalle lascivie, et licentiose usanze della Grecia. Et perche alcuni forse troppo saputi, mi potrebbono dire che io ho preso à fare troppo schiamazzo d’una cosa che in se non importa nulla, ò almeno è indifferente, et che tanto fa che una donna vada in Chiesa in treccie per non dire con berretta, et pennacchi, come andarvi velata, io non so loro rispondere altrimenti se non che il gran Dottore delle genti, in cui Christo parlava fu d’altra opinione, et quantunque fusse rapito sino al terzo cielo, non si sdegnò d’abbassarsi, scrivendo in questo particulare tanto lungamente, et con tanta efficacia, quanto ciascuno può vedere nello undecimo., della prima Epistola à i Corinthii, delqual luogo io voglio riferire alcune sentenze, acciò s’intenda l’obligo grande oltre la honestà, che le donne hanno di portare il velo in capo, in segno della suggettione loro all’huomo lor marito, secondo l’antica sentenza di Dio, dice adunque l’Apostolo:

Voglio che voi sappiate che il capo dell’huomo è Christo, et il capo della donna è l’huomo, l’huomo che fa oratione co’l capo velato, fa ingiuria al capo suo. Le quali parole potiamo intendere in due modi, che fa ingiuria à Christo suo capo, à cui solo è suggetto, et anco al suo proprio capo, cioè alla sua preminenza, et autorità sopra la donna. Seguita l’Apostolo, la donna che fa oratione co’l capo non velato fa ingiuria al capo suo, percioche tanto è come se fosse fatta calva, ò tosata, conciosia che se la donna non ha da andare velata, vada adunque in toso, ma s’egli è brutta cosa, et deforme alla donna, lo esser tosata, ò decalvata, veli adunque et cuopra il suo capo. Et più basso, dice cosi:

Di gratia giudicate voi stessi, s’egli è cosa convenevole la donna far oratione à Dio, non velata, hor non v’insegna almeno la istessa natura, che [p. 140v modifica]se l’huomo nutrisce la chioma lunga, gli torna à vergogna, ma per contrario se la donna nutrisce le chiome gli è gloria et honore? percioche i capelli gli sono stati dati dalla natura per velame. Finalmente il santo Apostolo conclude il suo ragionamento, chiudendo la bocca, à quei troppi savii de i quali ho detto di sopra con queste parole: Se alcuno vuol essere contentioso, et repplicare, sappia che noi non habbiamo tal consuetudine ne meno la Chiesa di Dio. Dalle quali parole si cava, che l’uso di tutta la Chiesa era, che le donne andassero velate, et che niuno doveva haver ardire di contradire à tale usanza. Hor queste cose si dicono acciò la nostra prudente, et buona madre di famiglia, co’l suo proprio esempio, et con accommodate persuasioni, avvezzi le figliuole ad osservar quella consuetudine che l’Apostolo di Christo ci testifica, et non quella che il mondo sfrenato ha introdotta. Non siano le figliuole della nostra honesta madre, ne zitelle, ne maritate, laccio del diavolo alla misera gioventù, et alle proprie anime, mentre da ogni parte possono, et vedere, et essere vedute. Il velo massime di tela fissa, et tirato bene avanti, come si deve fare, è come un riparo de gli occhi, et fa che altrui vada più raccolto in se medesimo non guardando curiosamente quà, et là, per laqual ragione anchora gli institutori delle famiglie de monaci, et frati, hanno usato il cappuccio. Tertulliano antichissimo, et grave scrittore, scrivendo lungamente della portatura del velo, lo chiama elmetto delle vergini, et scudo contra i dardi delle tentationi, armatura della honestà, et bastione, et riparo della verecundia. Si legge anchora nelle scritture sante, che Rebecca venendo di viaggio sposa, vedendo di lontano Isaac suo sposo, subito si coprì co’l suo manto; et che gli antichi Romani chiamarono le nozze dalla voce latina nubere, che vuol dire velare, et ricoprire, et cosi chiamavano la novitia nova nupta, perche le spose si velavano. Io mi sono allungato in questa materia, perche stimo che la poca honesta portatura delle donne, dispiaccia à Dio grandemente et sia cagione di gravi ruine nell’un sesso, et nell’altro, perilche di novo ricordo a i padri, et madri di famiglia, che pensino che colui che da dovero ci ha da giudicare è Iddio, et non il mondo, et però allevino i figliuoli christianamente, et pudicamente secondo le regole di Dio, et non secondo le regole del mondo.

Del mandar i fanciulli alla scuola ad apprender littere. Cap. XXVI.

Per ventura potrà parer ad alcuno, che la ragione del buono ordine richieda, che dopo le cose dette di sopra, si dovesse trattare de i [p. 141r modifica]giuochi, et altri esercitii corporali de i fanciulli, ilche non nego poter forse esser vero, tuttavia considerando che il giuoco è come un riposo della fatica precedente, hò giudicato esser conveniente, che il nostro fanciullo prima si affatichi, et dipoi se gli permetta dal discreto padre di famiglia, il potersi ricreare modestamente. Hor non ha la fanciullezza, libera da ogni altra sollicitudine fatica maggiore, che lo apprendere à leggere, et maggiormente poi nello imparar grammatica, dovendo passare per alcune vie, et regole spinose, et travagliose, trovate come santo Agostino dice nelle sue confessioni, trattando di questa istessa materia, per accrescere fatica, et dolore à i figliuoli d’Adamo. Il medesimo santo Agostino dice che haveva in odio le littere Greche et le imparava con disgusto, ilche cosi non gli avveniva delle latine, et ne rende una molto probabile ragione, che tutta la molestia nasceva dalla difficultà di apprendere una lingua peregrina, et forestiera, dellaquale non intendea parola alcuna, et nondimeno con gravi minaccie et pene, era astretto à sapere quello che non sapea, ilche della lingua latina, che all’hora era commune, et populare non avveniva, anzi dice il santo, che se bene quando cominciò ad imparar à parlar latino, ignorava non meno quella lingua, che la Greca, nondimeno la imparò senza paura, et senza cruciato alcuno, osservando solo quello che gli altri diceano, anzi la imparò tra le carezze delle nutrici, che scherzando, et facendogli vezzi, gli arridevano, prendendosi trastullo di vederlo balbuttire, mentre non da gli stimoli altrui con pena, ma dal suo proprio cuore era sospinto à parlare, per desiderio di partorire con le parole i concetti, et affetti suoi, perilche conclude quel grande huomo una sentenza ben degna di esser notata: Apparir di quà, che maggior forza, et efficacia per apprendere simili cose ha la curiosità libera, che la paurosa necessità. Hora à i nostri fanciulli è tanto più amaro lo imparare, quanto ambedue le lingue sono già à noi peregrine, se bene alquanto meno la latina, della Greca, et non ci è quasi più luogo, che i fanciulli le imparino con diletto, essendo già elle morte nelle Città, et nelle Provintie, deve ne i secoli passati popolarmente si parlarono, rimanendo pur anchora vive, tanto quanto, ne i libri de i loro antichi scrittori.

Come si deve procurar che i fanciulli vadano à scuola volentieri. Cap. XXVII.

Sono stati alcuni, che considerando che l’esca del fare operare prontamente è la dilettatione, hanno havuto in pensiero che i fanciulli imparassero la lingua [p. 141v modifica]latina, con l’istesso modo che la materna s’impara, et come s’imparano le altre lingue straniere, che hoggi vivono, cioè con l’osservatione, et con l’imitatione, conservando con altri che di continuo parlassero latino, ma se quelli che scrivono latino pensatamente et con studio, vi trovano dentro molta fatica, et à pochi riesce il conseguir lode di parlar latinamente bene, che sarà di quelli che ragionano all’improviso? Altri sono andati discorrendo, che per liberar i fanciulli da gravissime molestie della grammatica, i cui termini non sono capaci d’intendere, fosse espediente che imparassero prima, ben che imperfettamente le voci latine et il significato di esse, leggendo loro alcuno buono scrittore, et volgarizzandole et facendo di più che i fanciulli mandassero à memoria le istesse sentenze latine, et dipoi venir insegnando loro le regole grammaticali, del nome, del verbo, et delle altre parti della oratione sopra l’istesso autore, applicando in su’l fatto le regole generali à i particulari esempii, delle cose già in qualche modo note per prattica, perciò che dicono costoro, quella rammemoratione, et riconoscimento, viene à generare nel fanciullo un certo diletto, per il quale più facilmente apprende le regole, et più fermamente le ritiene. Ma nondimeno quanto queste et altre simili inventioni siano riuscibili, non appertiene à questo luogo il discorrerne più lungamente et non hà dubbio che i principii di qual si voglia arte, che si apprenda, hanno fatica, et difficultà, et per conseguenza molestia, laquale poi acquistandosi l’habito con la frequenza de gli atti, si diminuisce sempre, et finalmente si lieva del tutto, anzi si converte in diletto, onde è necessario che i fanciulli ò di buona, ò di mala voglia passino oltra per questi spineti. Conviene però che il savio et prudente maestro, cerchi quanto può di spianare, et rendere facile la via malagevole, procurando di saper i modi che i più intendenti tengono, abbassandosi con patienza alla capacità puerile, et non volendo inettamente far del troppo dotto con i fanciulli. Et dall’altro canto cosi il padre, come il maestro devono usar industria, acciò il fanciullo non penosamente ma volentieri vada à scuola. Non si può subito imparar bene, et perfettamente una cosa lontanissima dall’intendimento del fanciullo, et perche l’autorità magistrale è tremenda à i fanciulli, conviene che il maestro usi una certa moderatione et facci animo al fanciullo, riempiendolo di buona speranza, che in ogni modo impararà bene, e in tanto habbia egli patienza di replicargli più volte le medesime cose, lodilo tal volta alla presenza de’ compagni, et del padre, habbia il fanciullo dal padre alcun premio per il suo diportarsi bene, giova alcuna volta la emulation de’ coetanei, come si dirà poi, et con simili altri modi, che la esperienza meglio insegna, si aggiungono [p. 142r modifica]certi sproni al petto tenero, di andar avanti nel corso dell’imparare, et ne diviene di cuor generoso, correndo per una certa affettione della virtù, et dell’honore. Et dove questo non bastasse, conviene anchora à tempo, et luogo metter mano alla sferza, come altrove habbiamo detto lungamente.

Quanto sia cosa importante lo haver buoni maestri di scuola. Cap. XXVIII.

Scrivono gli historici Greci, parlando de’ Lacedemoni, i quali furono studiosissimi di bene allevare i figliuoli non solo con la educatione domestica, et privata, ma principalmete con la publica, scrivono dico, che i maestri de’ fanciulli non erano huomini mercenarii, et condotti à prezzo, ma persone honorate, et scelte, che trattavano questo negotio come interesse proprio, insegnando à i fanciulli con grande affettione la virtù, e i buoni costumi, e gli instituti della republica. Et de i Persiani parimente si legge, che preponevano alla cura de’ fanciulli, huomini vecchi, la bontà et gravità de’ quali potesse rendere i fanciulli anchor buoni. Hor saria bene da desiderare che à i nostri tempi si osservasse il medesimo et che un’offitio cosi importante, come è il dare il bene essere all’huomo, non fosse esercitato per fine di guadagno, et da persone bene spesso vagabonde, e instabili, et che poco si curano qual riuscita siano per fare i fanciulli, anzi essi stessi alcuna volta sono tali che havriano necessità di stare alla scuola del timor di Dio, et de’ buoni costumi, per il che è diventato, non già con ragione, l’insegnare à i fanciulli, vile esercitio, et contentibile. Non è obligo de’ maestri, come forse alcuno crede, solamente insegnar le lettere, ma molto più i buoni costumi, et la pietà christiana, qualità assolutamente necessaria per conseguir il nostro fine, cioè l’eterna beatitudine, per il che sono, et dovrebbono essere i maestri, come secondi padri, anzi forse, come più principali, atteso che spesse volte avviene, che il padre sarà huomo idiota, et rozzo, et non havrà forse certa maniera et destrezza di insegnar molte cose, che molto importano alla buona educatione christiana, altri per la povertà loro, astretti à faticar tutto il giorno, altri occupati in cose di governo publico, non possono cosi per minuto vedere, et provedere à tutto, come faria bisogno, altri finalmente ne lasciano la maggior cura à i maestri, et sopra loro se ne riposano, per il che se il maestro anchor egli non se ne prende pensiero, rimane il misero fanciullo abandonato, et destituito di aiuto nel bisogno maggiore, et nel più importante. Sia adunque il padre di [p. 142v modifica]famiglia almeno diligente, et accurato in questa parte, di trovar buon maestro, et non faccia questa elettione à caso, ma ne prenda informatione, et consiglio d’huomini prudenti, et tementi Dio, et ponga sempre nel primo luogo la bontà del maestro et nel secondo la dottrina.

Della cura publica in condurre buoni maestri. Cap. XXIX.

Et poiche à i nostri tempi à pena vi rimane ombra di publica educatione, se non questa delle scuole, grandemente sono da commendare quei superiori, iquali adoprando l’autorità loro, et cercando con diligenza, et non perdonando à la spesa tengon molta cura d’haver huomini qualificati, et maestri tali, che come si è detto i figliuoli loro ne divengano non solo eruditi, ma costumati, et buoni. Si maraviglia uno antico, et nobile scrittore Greco, ben che infidele, che molte Città non si curino, che i padri allevino i figliuoli come loro piace, et non si prendano pensiero alcuno come possino diventar virtuosi, et nondimeno dall’altro lato commandino, che niuno rubbi, ne rapisca quel d’altri, che non percuota ingiustamente, ne commetta adulterio, che non sia disubidiente al magistrato, et molte altre cose tali, le quali se alcuno trasgredisce, hanno ordinato pene et castighi; non cosi dice quel saggio scrittore facevano le leggi de’ Persiani, anzi anticipavano, et provedevano da principio, che i Cittadini loro non diventassero tali, che amassero et eleggessero di fare cose male, et brutte. Et per tanto sotto la custodia di alcuni vecchi discreti, si come si è detto di sopra, et di huomini maturi, reggevano i fanciulli, et giovanetti che i Greci dicono Ephebi, et havevano alcune schole distinte, deputate per questo effetto, in una delle quali i fanciulli imparavano, come egli scrive la giustitia. Et qual modo tenessero circa di questo lo dirò più à basso, parlando con i medesimi maestri, ma per hora hò voluto dire, che se a i nostri tempi i gentil’huomini, et i Cittadini Antiani si sdegnano di ammaestrare essi stessi la gioventù, almeno procurino d’haver maestri, talmente conditionati, quali l’importanza della cosa richiede. Et perche i Vescovi sono i nostri padri secondo lo spirito, pastori delle pecorelle di Christo, et maestri principali della pietà, et religione, non dubito punto, che come zelanti, dell’honor di Dio, et dalla salute delle anime commesse alla fede et vigilanza loro, haveranno cura, che non manchino buoni maestri, massime per insegnar senza prezzo à i scolari poveri, si come il Concilio di Trento ordina, i quali maestri oltra la sufficienza della dottrina, principalmente siano di costumi [p. 143r modifica]integerrimi, et che sopra tutto siano veri Catholici, obedienti figliuoli della sede Apostolica, et del sommo Pastore, et Vicario di Christo et successor di san Pietro Principe de gli Apostoli, Pontefice Romano, et in somma non habbino macchia, ne pur sospitione alcuna di heresia. Il che hò voluto dire in questo luogo, non perche la sollecitudine de’ santi Vescovi, habbia bisogno de’ miei ricordi, ma perche siamo à tempi calamitosi, et pieni di insidie, et di occulti artificii per seminar le false dottrine, et perche tal volta i semplici padri di famiglia, non sanno discernere à bastanza questi gravissimi pericoli, la onde è necessario sopra modo che la providenza pastorale invigili per loro, acciò gli innocenti fanciulli, et giovani non siano devorati da’ lupi, che vengono in vestimento di agnelli, et di pecore, la qual diligenza, quanto parimente sia di mestieri ne gli studii generali, non è alcuno che non intenda.

Del tener maestri in casa. Cap. XXX.

Considerando che nelle scuole publiche, dove concorrono molti fanciulli etiandio che il maestro sia huomo da bene, è necessario che vi siano di molti inconvenienti, percioche non tutti saranno bene educati, et come si dice per proverbio una pecora infetta corrompe tutta la greggia, et quando pur non vi fossero putti vitiosi, ve ne saranno almeno de scostumati, stizzosi, facili a vendicarsi, et che havranno altri simili difetti, i quali facilmente s’appiccano, oltra che in numero grande il maestro non può facilmente vedere tutti i disordini, ne meno può applicare con la diligenza che conviene l’opera, et l’arte sua in particulare, secondo che la varietà de gli ingegni, et delle nature richiede; per tanto lodarei che il nostro padre di famiglia, massime bene stante, tenesse un maestro in casa, ornato di quelle buone conditioni che detto habbiamo, et per haverlo tale non risparmiasse lo spendere alquanto più, non facendo come si legge d’un padre avaro, che chiedendogli il maestro mille dramme di salario, che vagliono come cento scudi de’ nostri, disse che con prezzo cosi grande haverebbe comperato un servo, che gli sarebbe stato utile per quello, et per molti altri servitii; à cui il valent’huomo sorridendo acutamente rispose, Anzi farai bene, percioche con un servo ne havrai due, volendo dire che il figliuolo anchor egli diventaria di costumi servili. Et però è molto da avvertire non solo a i maestri, ma a i servitori et à tutti che hanno governo de fanciulli, percioche sono ministri della educatione, et quando son buoni conviene farne conto, et tenergli ben satisfatti. Ma tornando a i maestri che si tengono in casa, si fuggono tutti gli incommodi detti di sopra, et [p. 143v modifica]l’occhio paterno invigila et sopravede molte cose, et può eccitar spesse volte la industria, et diligenza del maestro, et deliberar insieme con esso lui concordemente delle cose pertinenti al fanciullo. Et quando pure il nostro padre di famiglia non potesse cosi commodamente spendere da se solo, se ben niuna spesa è più utile, che quella che si fà ne i buoni maestri, si potriano due, ò tre gentil’ huomini amici, ò parenti accordare insieme, et à spese communi condurre un valent’huomo. È vero che dove sono varie voluntà, nascono facilmente dispareri, tuttavia non è cosa impossibile trovar due, ò tre persone che habbiano l’istesso fine nella educatione de i loro figliuoli. Et in questo caso forse saria più espediente per eccitar ogni dissensione, che il maestro se ne stesse in casa sua propria, stipendiato in modo che non havesse bisogno di prender molti scolari. Ma queste cose si rimettono più al particulare alla prudenza del padre di famiglia, non lasciando però di dire, che io penso che un piccolo numero di fanciulli, come di sei, ò vero otto, non molto differenti di età, non sia per recare impedimento, anzi più presto giovamento, allo insegnare littere, et buoni costumi, per la emulatione, et concorrenza de’ giovanetti, dove però la intentione de i padri sia la medesima, che i figliuoli siano allevati christianmente con la medesima forma di disciplina.

Della autorità che si deve dare al maestro. Cap. XXXI.

Avertisca però il padre di famiglia ad una cosa che molto importa, cioè che dopo che havrà fatto elettione matura et considerata d’un buon maestro, gli ha da concedere piena autorità sopra i suoi figliuoli, avvisandone essi medesimi, acciò sappiano dover ubidir il maestro come al proprio padre, ne convien mai accettare le querele et doglienze de i fanciulli contra il maestro, et in questo la madre anchora avvertita dal marito, deve scordarsi alquanto della tenerezza materna, et non commoversi à dannosa compassione, quando il fanciullo gli viene avanti con gli occhi lagrimosi, anzi, et padre et madre lo devono sgridare più, et meno severamente secondo il bisogno, rigittando sempre la colpa sopra di lui, et tal’hora confortandolo non per modo di chi compatisce, ma di chi eshorta con autorità à ben fare, come per esempio dicendo, vedi figliuolo queste battiture tu te le hai meritate, e il maestro ha fatto bene per tua correttione à dartele, però da qui avanti fa di esser migliore, et più diligente, et guardati da questo, et da quell’altro difetto, et sta di buona voglia, che cosi facendo non sarai battuto. In somma bisogna fare in modo, che il fanciullo sia [p. 144r modifica]risoluto di non haver rifugio, ne tribunale alcuno domestico per cosi dire, dove appellarsi dalle sentenze del maestro, altrimenti per ogni piccola cosa il fanciullo empierà l’aria di stridi, onde poi segue confusione, et molto impedimento all’offitio del maestro, et insiememente al profitto del fanciullo, ilquale in questo modo si recarà in pace ad ubidire et fare come si suol dire di necessità virtù. Deve però il maestro portarsi in modo che non sia meno amato, che temuto dal fanciullo, lodandolo alcuna volta, quando lo havrà meritato, alla presenza del padre, si che il figliuolo si persuada esser più accetto al padre, et riportarne delle piccole gratie, et remunerationi, per la buona relatione del maestro. Et dall’altro lato, quando pur il padre s’avvedesse che il maestro eccedesse, ò in qualche cosa havesse bisogno di correttione, potrà farla à luogo et tempo in absenza del fanciullo, non alterandosi punto, anzi dolcemente ricordandogli, che uno istesso fine deve esser d’ambedue loro, cioè il benefitio del commune figliuolo, non dovendo haver minore efficacia nel maestro la carità christiana, che nel padre l’inclinatione naturale.

Esempio di theodosio imperatore circa l’autorità del maestro. Cap. XXXII.

Si ritrova scritto nella vita di santo Arsenio, che Theodosio Imperatore primo di questo nome, Principe di eccellentissime qualità, et non meno religioso che bellicoso, ilquale regnava à quel tempo nell’Oriente, havendo due figliuoli, Arcadio, et Honorio, procurò con grandissima diligenza di haver per la cura loro un maestro tale, quale si conveniva per due fanciulli, che si dovevano allevare per la successione di tanto Imperio, et sopratutto pensò di trovarlo di sorte, che con la dottrina havesse congiunto una insigne bontà, onde non contento di fare inquisitione in Constantinopoli, et nelle Provintie del suo Imperio, ne scrisse anchora à Gratiano, Imperator anchor egli in queste parti dell’Occidente, ilquale co’l consiglio del Pontefice Romano gli inviò Arsenio, huomo per la singulare eruditione, ma molto più per la gran santità della vita degnissimo di tanto carico. Ilquale pervenuto alla presenza di Theodosio, restò subito l’Imperatore preso dallo aspetto venerando, et dalla suavità del parlare, et dalla modestia, et gravità de i costumi di Arsenio. Perilche lietissimo, chiamati i due figliuoli glieli consegnò per discepoli, et gli parlò in questa forma: Da qui avanti sarai tu Arsenio, padre loro, più di me medesimo, percioche egli è cosa più eccellente, et più propria di padre, [p. 144v modifica]il dare il bene essere, che il solo essere. Io gli commetto alla cura tua, et chiamo Iddio in testimonio, che tu con la sua gratia me gli facci tali quali io desidero. Attendi però bene à quello che io ti imporrò hora, et che à bello studio ti commando alla presenza loro. Io non voglio che tu habbia in modo alcuno consideratione alla loro Imperial Maestà, ne perche sono miei figliuoli tu habbia loro rispetto; percioche io voglio che siano come tuoi figliuoli et discepoli, et che ti siano soggetti, et ti obediscano come à proprio padre et maestro, et se faranno altrimenti ne faremo sopra di loro grave risentimento. Detto questo, volse che la scuola fosse vicina alle sue camere, per potervi andare à suo piacere. Ma il buono Arsenio, come quello che era modestissimo, facendo in tutto il resto offitio di diligentissimo precettore, solo in questa parte del ritener la maggioranza magistrale non osservava il commandamento dello Imperatore; per ciò che portando somma riverenza à i due giovanetti, et honorandogli conforme all’altezza de lo stato loro, et insieme conservando se stesso nella solita humiltà, gli ammaestrava stando in piede, mentre essi sedevano. Avvenne che un giorno Theodosio improvisamente entrò nella scuola et avvedutosi della cosa se ne turbò fortemente et ne riprese con gravi parole Arsenio, ilquale rispondendo riverentemente disse; O Imperatore, egli è conveniente osservar la debita distintione delle cose, et alla giovanezza di questi miei due signori dar la dottrina, et le ammonitioni, et parimente render l’honore all’Imperio. Allhora il Principe più che prima alterato soggiunse: Et chi gli hà fatti Imperatori? et non senza indignatione di sua propria mano levò loro le insegne Imperiali che portavano, come manto di porpora, ò altra cosa tale, et costrinse Arsenio à dover sedere nel seggio regale, et i figliuoli, Arcadio et Honorio, che poi furono Imperatori l’uno dell’Oriente, et l’altro dell’Occidente, fece stare in piedi in atto humile avanti il maestro loro, dicendo di più queste memorabili parole, Se apprendendo il timor di Dio et facendo la sua voluntà si renderanno per mezzo delle virtù degni dell’Imperio, può Iddio dar loro l’Imperio pacifico, et ben constituito, per utilità de’popoli i quali havranno da reggere, altrimenti è meglio che vivano cosi vita privata, che Imperare stoltamente et pericolosamente. Et da quell’hora avanti fù necessario che Arsenio ritenesse in tutto et per tutto il luogo et l’autorità di Maestro. Hò voluto cosi lungamente riferir questo esempio per instruttione d’alcuni che molto inferiori di grandezza à Theodosio, vogliono che i maestri siano più presto servitori de’ loro figliuoli, facendo loro danno in molte maniere, et in questa spetialmente che diventano altieri et insopportabili con i sudditi, la dove per saper ben commandare, è necessario prima haver imparato à ubidire. [p. 145r modifica]

Delle scuole della venerabile compagnia de’ padri giesuiti. Cap. XXXIII.

Lo Spirito santo, del quale si narra ne gli Atti Apostolici, che apparve sopra i primi credenti in forma di lingue di fuoco, ci diede ad intendere con quel segno visibile, che nella santa Chiesa Catholica, laquale è retta et governata dalla sua providenza, et continua assistenza non mancariano giamai lingue di fuoco, cioè huomini ferventi di carità, et copiosi di parole, si come si dice nell’hinno Ecclesiastico di quella festività. Bene è vero che in molti avviene che queste due qualità non sono unite, ma separate et disgiunte, onde alcuni hanno lingua, cioè dottrina et eloquenza, ma non fuoco di carità et zelo grande dell’honor di Dio, et della salute delle anime, altri pusilli, et semplici ardono di fuoco di divino amore, ma non hanno scienza, et eloquenza per insegnar gli altri. Ma cosi come nella santa Chiesa non manca mai lingua, ne fuoco, cioè santità di vita et integrità di dottrina, cosi parimente non mancano mai lingua infocate, che hanno l’una cosa, et l’altra, benche di queste per i peccati nostri vi sia piccola copia. Hora lo Spirito santo artefice mirabile, et ricco di salutifere inventioni, lequali di tempo in tempo hà scoperte à benefitio et ornamento della santa Chiesa, in questi nostri ultimi secoli, essendo molto rilassata la disciplina Ecclesiastica, et lo studio delle sacre lettere nel Clero seculare, suscitò lo spirito di Ignatio di Loiola nato nobilmente nella Biscaglia, huomo veramente secondo il suo nome infocato di amor di Dio, et per mezzo suo, et de suoi compagni, fondò la nobile religione de’ Clerici, chiamati della Compagnia di Giesù, laquale come vite eletta, piantata dal celeste agricoltore, hà come si dice nel salmo, riempita la terra, et coperti con l’ombra sua i monti, et distesi i palmiti, et le propagini sue non solo sino al mare, ma nel nuovo mondo, et ne i paesi remotissimi da questi nostri, havendo apportato in ogni luogo due frutti spetialmente non meno suavi che necessarii, l’uno la frequente predicatione della parola di Dio, et l’altro la frequenza de’ sacramenti della confessione, et della santissima Eucharistia. Hora frà gli altri ottimi instituti, et professioni di questa venerabile compagnia, laquale si affatica per congiunger insieme quelle due cose delle quali dicevamo, cioè fuoco di carità, et lingua di eruditione, uno ve ne è che ci hà dato occasione di far questo ragionamento, cioè l’insegnar à i fanciulli, et alla gioventù, lettere et buoni costumi, laqual cosa trattano non superfitialmente, et per una apparenza, ma con molto studio et cura, per il che hanno schuole publiche, dove non mercenariamente, ma per solo amore, et honor di Dio, si insegnano le lingue, et [p. 145v modifica]le lettere chiamate di humanità, et in alcuni Collegii principali si leggono da loro anchora le scienze Matematiche, et la Filosofia et Theologia per i scolari più provetti, ma sopra tutto procurano che i fanciulli imparino la dottrina christiana, et nella tenera età insieme con le dottrine humane bevano il latte della dottrina celeste, che più importa, cioè del timor santo di Dio, onde si hà da havere loro grande obligatione da i nostri padri di famiglia, i quali dove ne havranno commodità, potranno sicuramente inviare i figliuoli loro alle schuole di questi buoni padri, percioche se bene vi concorrono di molti putti, nondimeno hanno anchor copia di maestri, et di repetenti, et distinguono i scolari in certe classi, ò vogliamo dire squadre, et come corpi separati, secondo l’età, et i progressi varii nelle lettere, applicando à ciascuna classe il suo proprio, et particular maestro, per il qual buono ordine si lieva ogni confusione, et si prohibiscono molti inconvenienti. Hanno anchora in qualche luogo questi padri, cura di alcuni Collegii et seminarii di Clerici, dove anchora si admettono scolari, chiamati convittori, che fuori delle case paterne, vivono continuamente sotto la disciplina de’ medesimi padri, apprendendo lettere et costumi. Ilche non era da tacere in questo nostro discorso, potendo in molti casi tornar commodo al padre di famiglia, di mandarvi uno, ò più figliuoli, oltra che non di rado avviene, che muore il padre, et restano i figlioli piccoli ne può tal’hora la buona madre di famiglia, provedere sufficientemente che insieme siano allevati christianamente et imparino lettere secondo lo stato, et capacità loro, tal che con questa commodità de i convittori governati come è detto dai padri Gesuiti si vengono ad esplicare, et facilitare molte difficultà.

Hor se questa sola compagnia havesse in tutti i luoghi carico d’insegnare i fanciulli, potrei passar con silentio alcune cose, lequali penso ricordare à i maestri, ma perche essi non possono supplire, per tutto, seguitarò à ragionar con gli altri quello che mi occorre. Et il primo ricordo sia questo, che il maestro desideroso di far bene l’offitio suo, s’informi diligentemente et molto in particulare, di tutti i modi, che i padri Gesuiti tengono nell’insegnare i fanciulli, et nello ammaestrarli ne i buoni costumi, percioche questi buoni religiosi per il continuo esercitio, et per la molta esperienza che hanno del governo de’ fanciulli, et perche tra loro vi sono sempre ingegni nobilissimi, et huomini di gran prudenza, hanno fatto notomia tale, per cosi dire, delle cose che à pena vi si può aggiungere, ò levare cosa alcuna. [p. 146r modifica]

Dell’offitio del maestro, circa i buoni et christiani costumi. Cap. XXXIV.

Non para maraviglia ad alcuno, se essendo il mio solito di ragionare co’l padre di famiglia hora entro à ragionare co’l maestro, percioche, come altrove si è toccato, il maestro tien luogo di padre anchor egli et non è solo offitio suo di insegnar nudamente lettere, ma di formare il tenero animo del fanciullo alla virtù, co’l buono esempio, et con le utili ammonitioni, non meno che l’istesso padre; anzi il padre et il maestro si devono così bene intendere insieme, et come si dice per proverbio darsi la mano l’un l’altro, sì che il fanciullo riconosca in casa gli instituti del maestro, et nella schuola quelli del padre. Et in somma una gran parte della buona et christiana educatione, si appoggia sopra la diligenza de’ maestri. Habbiamo in questo proposito un notabile decreto del Concilio Generale Lateranense ultimo, il quale acciò i maestri meglio sappiano l’ogligo loro, mi è parso registrarlo di parola in parola in questo luogo, traducendolo di latino in nostro volgare per osservar il solito stile; dice adunque cosi: Conciosia che ogni età, dalla adolescenza sia inclinata al male et lo assuefarsi da i teneri anni al bene, sia cosa molto importante et efficace, per tanto statuimo, et ordinamo, che i maestri di schuola, et precettori non solo ammaestrino, et instruiscano i loro fanciulli nella Grammatica, et Retorica, et simiglianti, ma anchora debbiano insegnar loro le cose che appertengono alla religione, come sono i divini commandamenti, gli articoli della fede, i sacri hinni, et salmi, et le vite de’ santi. Et ne i giorni di festa non possino loro insegnar altro, se non cose pertinenti alla religione, et buoni costumi, et siano obligati à instruirli nelle sudette cose, et ad eshortarli, et sforzarsi anchora per quanto possono, che vadino alla Chiese, non solo ad udir messa, ma il vespero anchora, et i divini offitii, et parimente gli spingano ad udir le prediche, et sermoni et non sia loro lecito di leggere à i scolari cosa alcuna contra i buoni costumi, ò che induca alla impietà.

Sino à qui sono parole del Decreto. Et quantunque il sacro Concilio di Trento habbia ordinato che ne i giorni di festa si insegnino à i fanciulli in ciascuna parochia i rudimenti cosi chiamati della nostra fede, et la obedienza verso Iddio, et verso il padre, et madre, non è però che à i maestri anchora non resti molto campo, di promovere la medesima impresa et poiche et lo spirituale, et il carnale, et il maestro, tutti nel grado loro, hanno il titolo di padre, tutti devono affaticarsi, et far opra che il fanciullo riesca tale, quale si desidera. Adunque il buon maestro pongasi avanti à gli [p. 146v modifica]occhi non una terrena et corruttibile mercede, ma principalmente l’honor di Dio, et la utilità publica, et non reputi haver alle mani offitio basso, percioche non per sua natura, ma per colpa di alcuni maestri di cattivi costumi, et del tutto mercenarii, et avidi solo del guadagno, et per una tal falsa opinione di molti è avvilito, ma come può essere cosa vile il gettar i fondamenti, che hanno à sostenere poi tutto l’edifitio delle più alte scienze, et la bontà matura di tutto il restante della vita? Sia adunque il nostro maestro di vita incolpata, et esemplare, et si renda tale, che i fanciulli vedano in lui l’imagine d’una vera bontà christiana, et i Cittadini lo habbiano meritamente da stimare, et da riputare padre commune de’ proprii figliuoli.

Come i maestri debbiano esercitar cotidianamente i fanciulli nella pietà christiana. Cap. XXXV.

Dice la divina scrittura, il timor di Dio è il principio della sapienza, però il buon maestro habbia per cura principale di inserire et nutrire questa benedetta pianta, nell’animo tenero del fanciullo. Non è necessario ripeter in questo luogo, le cose che largamente si sono discorse di sopra à i suoi luoghi, da i quali potrà il maestro in parte prendere instruttione, per applicare alla prattica cotidiana, i ricordi che si sono dati. Ma per accennare pure alcuna cosa alquanto più al particulare del quale hora trattiamo, dico che acciò i fanciulli si avvezzino à dar principio à tutte le loro attioni nel nome di Dio, et à racommandarsi à sua divina Maestà in tutti i loro bisogni, doveranno i maestri haver nel mezzo della schuola una veneranda imagine della Beatissima madre di Dio, co’l suo bambino nelle braccia, et quanto sarà più ornata et tenuta con decenza, moverà tanto maggior divotione, et nello entrare ciascun fanciullo gli faccia riverenza, et poi prima che si comincino le lettioni, et gli altri esercitii della scuola, tutti insieme genuflessi la salutino divotamente dicendo l’Ave Maria, ò la salve, non con voci troppo alte, che vengono à fare uno strepito difforme et indivoto, per colpa de’ fanciulli che non sanno cosi accordarsi, ma sia un tuono moderato, et uniforme, et se cosi paresse meglio, pronuntii un solo la oratione con gravità, ascoltando gli altri divotamente. Parimente nel partirsi per ritornare à casa si faccia alcun segno di rendimento di gratie et di licentiarsi dalla Benedetta Vergine madre, non siano però queste attioni molto longhe. Eshorti spesse volte il maestro i fanciulli ad esser divoti della Madonna, madre della purità et à raccomandarsi à lei, et al suo dolcissimo figliuolo, acciò gli faccia buoni, et [p. 147r modifica]dia loro intelletto, et docilità, et memoria, sì che possino bene imparare. Et con questi modi pian piano si avvezzino à far oratione; scrive santo Agostino di se medesimo, ch’essendo piccolo fanciullo et havendo udito dire da huomini divoti, che ci era Iddio, ilquale se bene non si vedea con gli occhi nondimeno era presente et udiva le nostre preghiere, et poteva sovvenirci ne i nostri bisogni, egli soleva con grande affetto raccommandarsegli, acciò non fosse battuto nella schuola. Finalmente il maestro può in molte maniere esercitar il fanciullo nel timor di Dio, et nelle opre della virtù, et se i fanciulli Persiani, quando andavano à scuola, dimandati dove andassero, rispondevano che andavano ad imparar la giustitia, con quanto maggior ragione il fanciullo christiano, dovrebbe rispondere nel primo luogo, che va ad imparare il timor di Dio, et poi la Grammatica? Et non è da disprezzare quello uso commune, et tanto anticho, che non se ne sa forse il principio, et ben che per ventura potesse ad alcuno parer cosa leggiera, non è da credere che fosse introdotta senza grave ragione, cioè, che avanti che il fanciullo pronuntii la prima lettera dell’alfabeto, saluti la santa Croce, laquale si come l’Apostolo dice è la gloria nostra, et la principal dottrina, che il christiano hà da apprendere, et da farne professione.

Come parimente devono esercitarli in ogni maniera di virtù. Cap. XXXVI.

Et perche come altrove si è detto, le cose de’ putti, quantunque piccole rappresentano le grandi de gli huomini, et tra essi fanciulli sono proportionatamnte negotii, commertii, contratti, promesse, patti, differenze, et liti, delle quali il maestro è giudice, procuri che si avvezzino ad esser veridichi, à non giurare, à non dir ingiuria, à non percuotere, à non torre cosa alcuna violentemente, à render à ciascuno il suo, à conservare le cose prestate loro, si che non le guastino, ne peggiorino, à renderne gratie, à osservar le promesse giuste, à non calunniar alcuno ingiustamente, et altre cose tali, lequali il maestro deve difinire, et castigare i delinquenti, quasi con una forma giuditiale, cercando che il fanciullo sia per quanto si può, capace della giusta punitione, et parimente della giustitia della sentenza data dal maestro, et ad essa si acquieti, percioche se gli huomini speculatori delle opre della natura, hanno ritrovato sino ne gli animali, et fra i più piccoli, come api, et formiche, hanno dico ritrovato forma di republica, et di giuditii, quanto più con gli huomini, che sono più sociabili di tutti gli altri animali, et hanno continuamente da contrattare [p. 147v modifica]insieme, conviene dalla prima fanciullezza introdurre una buona forma di republica et assuefarli ad esser giusti? Scrivono i scrittori Greci de’ Persiani, dico di quegli antichissimi, che insegnavano à i fanciulli la modestia, l’obedienza verso i magistrati, et lo esser continenti circa il mangiare et il bere, nella osservanza delle quali cose giovava loro grandemente il buono esempio de’ loro maestri, et de gli altri vecchi, i quali parimente vedevano obedienti, modesti, et temperanti. Insegnavano anchor loro la giustitia, nella maniera che havemo detto di sopra, risedendo i maestri come giudici, et giudicando le querele, et accuse loro, come di furto, di rapina, di violenza, d’inganno, di ingiurie di parole, et altre cose tali, castigando quelli che erano convinti di haver fatto ingiustamente et non meno castigando quelli che calunniosamente havevano accusato. Et in particulare si narra che teneano giuditio tra i fanciulli del peccato della ingratitudine, et se trovavano che alcuno havesse potuto esser grato, et non l’havesse fatto, lo punivano severamente, havendo opinione che gli ingrati sono negligenti, et inconsiderati di far il debito loro verso Iddio, verso i genitori et la patria, et gli amici, et stimavano esser compagna della ingratitudine la imprudenza, et la sfacciataggine, laquale poi è una guida à tutte le cose brutte et inhoneste. Hor se costoro che non conoscevano Iddio, come noi lo conosciamo, havevano tanta sollecitudine d’imparar à i fanciulli la giustitia, tenendo schuole, et esercitii cotidiani di questo, che doverà far il maestro Christiano? per certo troppo grave error saria, insegnar loro à parlar congruamente secondo le leggi della Grammatica, et non insegnar loro à operar giustamente secondo le leggi di Dio, sì come se ne duole cordialmente il glorioso S. Agostino nelle sue confessioni dicendo fra le altre molte queste affettuose parole, Vide Domine Deus, vide quomodo diligere observent filii hominum pacta literarum, et syllabarum, accepta à prioribus locutoribus, et à te accepta aeterna pacta perpetuae salutis negligant? cioè Vedi Signor Iddio, vedi come diligentemente i figliuoli de gli huomini osservano i patti delle lettere, et delle sillabe ricevuti da i primi parlatori, et non curano gli eterni patti della perpetua salute che da te hanno ricevuti? Non è poi necessario ricordar in particulare al maestro, che avvezzi i suoi scolari alle buone creanze, honorando i maggiori, facendo quegli atti di riverenza che à giovanetti costumati si richiede, et stando con tutto il corpo, et massime con gli occhi, et con la bocca composti, osservando silentio, et guardandosi da ogni minima parola non solo inhonesta, ma ne anco indecente, percioche queste, et altre cose simiglianti ciascuno intende, che s’hanno à fare, et di sopra se n’è [p. 148r modifica]ragionato bastantemente co’l padre di famiglia, ma se ne fa un cenno anchor qui, acciò il maestro supplisca dove fosse bisogno, al mancamento, ò quello che più desidero, acciò aiuti et promova la diligenza paterna.

Dell’offitio del maestro circa lo insegnare, et prima se si devono admettere libri de’ gentili. Cap. XXXVII.

Non è piccolo impedimento al fine de’ buoni costumi, che come più volte si è detto, è il principale, et deve andare avanti à tutti gli altri rispetti, che la intelligenza delle lingue, et la eloquenza, et la cognitione di molte cose si hà da apprendere da quegli antichi scrittori, che adorarono i falsi Dei, onde non havendo havuto altro lume, che quello della natura, et questo molto adombrato, sono li scritti loro pieni di false sentenze, circa il viver humano, et molto differenti da quello che la nostra santissima religione ci insegna, come quelli che non conoscevano più alto fine che la gloria di questo vano et fallace mondo, lascio di dire di quelli che hanno scritto cose lascive, et hanno fatte con belle et acconcie parole, tante reti, che tirano gli animi semplici nel vitio. Perilche non mancano huomini giuditiosi, che dannano totalmente il leggere à i fanciulli libri di gentili, certo è che non lievemente si duole santo Agostino che nella sua pueritia, non essendo stato anchora ammaestrato, per qual cagione si deve veramente piagnere, era vanamente indotto à piagnere gli errori d’un certo Enea, et à deplorar la morte di Didone, che come i poeti han finto, uccise se stessa per amore, et in tanto, dice egli, non piagneva gli errori suoi, et la morte dell’anima, il cui morire è il non amar Iddio. Dolevasi anchora il santissimo huomo, di questo impetuoso torrente del costume humano, per il quale si leggevano à i suoi tempi, et piacesse à Dio che anchora a i nostri non si leggessero, gli adulterii, et mille sceleratezze de’ falsi Dei, invitando quasi i miseri giovani à far quelle istesse cose, come se cosi facendo si venisse ad imitare Dei celesti, et non più presto demonii, ò huomini scelerati, quali furono coloro chiamati da la stolta gentilità Dei falsamente. Ma dall’altro canto non si può negare, che la lettione de’ libri de gentili fatta con giuditio, può apportar molta utilità, et non solo Moisè, et Daniele, come si legge nelle sacre lettere furono dottissimi nelle scienze, et discipline de gli Egittii, et de’ Babilonii, ma anchora i nostri santi Dottori, lumi della santa Chiesa, videro i poeti, et gli oratori gentili, lessero gli historici, seppero le retoriche loro, et furono versati nelle loro Filosofie, ma non lessero indistintamente ogni cosa, ne approvorono ogni cosa egualmente, ma seppero distinguere il pretioso dal vile, et essendo essi christiani, cioè seguaci, et discepoli della vera, et [p. 148v modifica]perfetta, et altissima sapienza, non servirono alle dottrine de’ gentili, nè si obligorno à seguitar gli errori loro, anzi fecero servire la acutezza dello argumentare, le vaghezza de i fiori poetici, la copia del dire, et ogni altra cosa bella, et buona de’ gentili, alla religion Christiana, et alla sacra Theologia, per ciò che il lume della ragione naturale, et dello intelletto, è dono di Dio, et ogni verità che i Poeti, i Filosofi, et gli altri scrittori profani hanno scritta, ò sia lodando la virtù, ò biasimando il vitio, ò trattando delle opere mirabili della natura, in somma quanto di vero hanno conosciuto, et detto, tutto è da Dio, et tutto quello potiamo noi appropiarsi come cosa debita à noi, che sopra il lume della natura habbiamo il lume chiarissimo della fede, et ne siamo i più giusti et legitimi possessori. Et come si legge nelle divine historie, che i figliuoli di Israel presero i vasi d’oro, et d’argento, et molte cose pretiose, quasi in prestanza da gli Egittii, et spogliarono l’Egitto, secondo il commandamento di Dio, delquale oro, et argento, et gemme, si fecero poi varii ornamenti, et instrumenti del tempio, ò vero Tabernaculo, per il culto del vero Iddio, cosi noi debbiamo convertir in servitio di Dio, et utilità de’ prossimi, l’oro delle dottrine, et l’argento della eloquenza de’ gentili, et tutto quello, che di bello, et di pretioso à guisa di gemme, è sparso ne i libri loro. Non ha da imparare lo scolare Christiano la retorica per opprimere i poveri, non per commover à seditione i popoli, non per persuadere ne i consigli le deliberationi ingiuste, non ha da esser questa arte nel nostro christianamente educato giovane la spada del furioso, anzi per contrario lo scudo per difesa de i buoni ingiustamente oppressi, et uno instrumento della giustitia, et del ben publico, et dell’honor di Dio. Non apprenderà il nostro fanciullo à far versi per cantar gli amori impudichi, et lascivi, nè per rodere con maledicenze la fama di alcuno, ma per lodar la virtù, et le opere honorate de i buoni Cittadini, et per eccitar più facilmente con l’harmonia, et suavità del verso i cuori humani all’amor di Dio, et alla osservanza della divina legge, per la qual cagione dice S. Basilio, che lo Spirito santo ritrovò i salmi, che il santo David compose, et assimiglia i numeri, et il canto de i salmi al mele, che il savio medico pone attorno all’orlo del vaso, acciò l’infermo beva la medicina amara.

Della scelta, et elettione de’ libri che si devono leggere à i scolari. Cap. XXXVIII.

Concludiamo adunque, come si cominciò à dir di sopra, che i libri de i scrittori Gentili, non si devono del tutto escludere dalle scuole christiane, ma però [p. 149r modifica]è da admetterli con elettione, et con giuditio, questa fu la sentenza del gran Basilio non meno santo che dotto, ilquale sopra questa istessa materia, scrisse un gratioso discorso ad alcuni giovanetti scolari, suoi congiunti, il cui titolo è, Della utilità che si deve cavare dalla lettura de i libri de’ gentili. Dove dice che debbiamo imitar le api, le quali non si pascono d’ogni maniera di fiori, et di quelli istessi, de i quali si pascono, non prendono ogni nutrimento, ma quella parte più pura, che è necessaria all’opera loro, et il resto lasciano; cosi anchor noi, come prudenti, et discreti quello che di vero, et di buono, et di profittevole si ritrova ne i scrittori profani, debbiamo prenderlo, gettando via il resto, come feccia disutile, et cosi come nel coglier le rose ci guardiamo dalle spine, cosi conviene, che da i scritti, et sermoni, de i quali parliamo, sappiamo coglier l’utile, et schifare il nocivo. Adunque ricordisi il buon maestro, che lo scolare cui egli insegna è christiano, il cui fine è la vita eterna, la quale si acquista per la fede, che come l’Apostolo dice, opera per dilettione, et per carità, osservando i divini commandamenti, perilche tutto quello ch’è contrario à questo fine, et in qualunque modo può offendere la integrità della religione, ò la bontà de’ costumi, è da fuggire come peste. Per tanto hanno ad esser banditi del tutto quei poeti, che à bello studio hanno scritto libri amatorii, et lascivi, che corrompono i buoni costumi, si come ricorda san Basilio, et come ordina il Concilio Lateranense nel decreto posto di sopra, et ultimamente il sacro Concilio di Trento nell’Indice Romano de’ libri prohibiti. Dice molto bene santo Agostino che ne i libri, et nelle cose vane, che gli leggevano mentre era fanciullo i suoi maestri, haveva imparate molte parole utili, lequali però si potevano parimente imparare nelle cose non vane, et quella dice egli, saria la via sicura, per laquale dovriano caminar i fanciulli. Et in un’altro luogo si duole d’una impudica narratione del Comico, atta ad accender libidine in un giovane, dicendo che quelle parole latine, con lequali quel fatto è descritto, si sarebbero però anchor sapute se bene tal cosa non si scriveva, et conclude santo Agostino che non riprende le parole, lequali sono come vasi eletti, et pretiosi, ma condanna il vino di errore, et di corruttela, che da gli ebrii maestri si da à bere ne i detti vasi. Perilche non si lasci ingannare il maestro da bellezza di lingua di Greco, ò di Latino scrittore, ne da sale, et acutezze spiritose di epigrammi, et simili, ma faccia scelta di quei scrittori, i quali con buona lingua hanno detto buone cose. Veda come i padri Gesuiti hanno purgato alcuni scrittori da luoghi pericolosi per la gioventù. Non legga libri stravaganti et di duro stile, ma i più approvati, che sono pochi, et frà gli altri Cicerone padre delle eloquenza Romana, scrittor grave, et [p. 149v modifica]che assai sicuramente in molti suoi libri si può leggere, etiandio quanto à i costumi, come ne gli offitii nel libro dell’amicitia, della senettù, nè paradossi, et altri tali, perche i libri chiamati di filosofia non sono da fanciulli, et nondimeno è offitio del savio maestro quando fa bisogno, dimostrar i mancamenti d’un huomo senza lume di fede, benche di grande ingegno et sapere, ilquale gonfio di se medesimo molto spesso si lascia leggiermente levare dal vento di questa vana et caduca gloria del mondo; ma il christiano che conosce, che per se medesimo è polvere, et cenere, non si insuperbisce, ma rende gratie à Dio, da cui è ogni suffitienza nostra, et sapendo che la gloria di questo mondo è un vapore, et un fumo che presto svanisce, non regola le attioni sue da questo vanissimo fine, ma dalla gloria di Dio, à cui solo si deve ogni honore et gloria, ne però è il christiano di angusto, et basso di cuore alle grandi imprese, anzi tutto acceso d’un generoso desiderio di bene operare, et di giovare altrui, sdegna il vitio, et abbraccia la virtù, per vero amore dell’istessa virtù, et per piacere à Dio, nella cui gloria, si contiene con altissimo modo, ogni nostra gloria, et felicità. Con tali modi deve il buon maestro ricorreggere, et supplire i difetti de gli scrittori gentili, i quali guidati dal solo debole lume naturale, hanno inciampato in molte cose et bene spesso, quando pur dicono alcuna cosa buona, non finiscono di arrivare alla perfetta verità.

De lo studio del parlar et scriver latino. Cap. XXXIX.

Temo di non trappassare i termini, di quell’offitio che io ho preso à fare, mentre vado ricordando al maestro diverse cose, pertinenti al modo dell’insegnare, et dubito che alcuno non dica, che questo è un voler fare il maestro, de gli istessi maestri. Tuttavia à me pare che questa consideratione, sia molto congiunta co’l nostro fine principale della educatione, perilche non restarò di soggiungere anchora alcune altre cose nel medesimo proposito.

Sono alcuni maestri che esercitano assai i putti nella poesia, et nel verso et poco nella prosa. Io per me non nego esser giovevole il leggere alcun poeta, massime Virgilio, et pochi altri di quel secolo; rende la poesia et il poetare, l’intelletto più svegliato et vivace; s’impara il numero, et la quantità delle sillabe, che molto giova à pronuntiar rettamente et cose tali; ma questo studio de i versi, hà da esser s’io non m’inganno non come il cibo principale, ma come un condimento del cibo, perche all’ultimo, applicando poi questa cose all’uso della vita humana, à nostri tempi, per non dir sempre, [p. 150r modifica]poco altro si cava della poesia, che il diletto; perilche colui diceva, che i poeti mediocri non si possono patire, la dove nelle cose veramente utili et necessarie si admette facilmente la mediocrità. Ha un’altro incommodo la poesia, che se altrui vi si immerge troppo, è come un vischio che ritiene, et disvia molte volte da i studii più gravi, et troppo i giovani se ne invaghiscono, et si danno à scrivere amori, et cose vanissime; per tanto si ha da attendere principalmente à lo stile con l’imitatione di Cicerone, et de gli altri pochi, più lodati, anzi un valent’huomo solea dire, che non si doveano i putti introdurre subito nel verso, ma nella prosa; percioche, dicea egli, il verseggiare è simile à chi fa salti, et si lieva in aria, dove la prosa è simile à chi và di passo, et camina, il che prima ci vien dato dalla natura, che il saltare. Adunque attenda il maestro ad instruire il fanciullo nella intelligenza delle lingue, che molto servono poi alle scienze, et lo eserciti nella lettione di Cicerone, facciagliene imparare à mente quanto più si può, et nel dare il dettato, ò suggetto che vogliamo dire, à i putti, per spiegarlo in latino, lo prendano dal medesimo Cicerone; onde seguiranno due buoni effetti, l’uno che si fuggiranno certi concetti bassi, et vili, che per il più si sogliono dare da maestri non cosi avveduti, et per contrario s’avvezzaranno i putti à sentenze gravi, che hanno poi à servire loro ne i commertii civili, et ne i maneggi publici, de i quali Cicerone è pieno; l’altra utilità sarà, che si correggerà il latino del giovanetto, con quello di Cicerone medesimo, et comparando l’uno con l’altro, havrà il maestro occasione di meglio dare ad intendere à lo scolare la differenza del numero più dolce, et armonioso, delle parole più latine, delle elocutioni più scelte, et simili. Non è anco da riprendere, per mio parere, qualche studio della nostra lingua volgare, la quale si ha da esercitare cotidianamente quanto ogniun sa, et è gran vergogna veder tal’hora un gentil’huomo, che non sa se non inettamente spiegare i suoi concetti nelle lettere famigliari, et commodamente si può congiungere l’esercitio di queste due lingue, et non senza giovamento, traducendo luoghi di buoni autori, dell’una nell’altra.

Come da alcuni ne lo studio di scriver latinamente si offenda la professione christiana. Cap. XL.

Ma ritornando alla lingua latina, dico che à me piace non poco, che il nostro giovanetto vi faccia buon progresso, ma non vorrei già in modo alcuno, che egli fosse del numero di coloro, che pare che si habbino fatto un Idolo di cotesto suo M. Tullio, et tanto si fanno suoi fideli osservatori, che in un [p. 150v modifica]certo modo si scordano di esser christiani. Et per certo egli è pur cosa strana veder alcuni, che fuggono il dire le voci, et i termini christiani, come se fossero scogli, solo perche Cicerone non gli ha usati, et più presto usano vocaboli improprii, et circonlocutioni tal volta ridicole, che parlar come ha parlato Agostino, Hieronimo, et gli altri Santi nostri maestri, et come parla tutto dì la santa Chiesa. Sopra la qual materia si potria dir molto, et si mostraria, s’io non m’inganno, assai chiaro, che huomini, per altro gravi, hanno scritto con modi inettissimi, et dette delle leggierezze non piccole, per ubidir troppo à questa superstitiosa purità del parlar latino; et si mostraria parimente come santo Ambrosio, et altri huomini santissimi hanno condennato questo costume, ma non voglio esser più lungo. Adunque il nostro maestro giuditioso, et christiano, vada per il mezzo della virtù, et non si oblighi à queste leggi, che sotto il pretesto di fuggire la barbarie, aprono la via al gentilismo. Laudo il parlar latino, pur che le parole si adoprino per quello, per che son trovate, cioè per esprimer le cose, et non per contrario, che le cose habbino ad ubidir alle parole. Laudo lo studio della eloquenza, pur che questa ancilla, insieme con tutte le facultà, et scienze humane, serva, et stia soggetta, come è giusto, alla Regina, cioè alla divina sapienza, et alla religion christiana.

Del congiungere con la lettione de i gentili alcun libro christiano. Cap. XLI.

Acciò il nostro giovanetto, ne gli studi suoi, si ricordi sempre ch’egli è christiano, et che tutto il resto deve ubidir à questa più eminente professione, doverà il maestro con la lettione de i libri gentili, congiungere alcun utile, et lodato libro christiano, et particularmente il Catechismo Romano, scritto elegantissimamente, et in quelle parti, che sono più difficili, potrà egli prenderne il succo, et accommodarlo alla capacità de’ suoi scolari, ma in spetie l’espositione della oratione Dominicale, mi par molto a proposito, et è piena di ottimi ammaestramenti christiani. Et perche come habbiamo veduto di sopra, il Concilio Lateranense vuole che si leggano delle vite de i santi, crederei che per questo effetto, potessero molto ben servire quelle poche che san Hieronimo ci ha lasciate, come di san Paolo primo heremita, et di Hilarione, similmente la vita di san Martino, scritta da Sulpitio Severo, et anco l’historia Ecclesiastica, scrittori ambedue che per mia opinione non faranno danno alla buona lingua, ma ben senza dubbio faranno giovamento a i buoni costumi. Si è adoprato con molta lode, nello istesso studio delle vite de’ santi, benche più brevemente, [p. 151r modifica]il nostro Protonotario Pietro Gallesino, come si vede nel suo copioso Martirologio, uscito ultimamente, il quale è scritto molto latinamente. Ma nelle cose della Retorica, ottimo libro è la Retorica Ecclesiastica di Monsignor Agostino Valerio Vescovo di Verona, nelqual oltra esser scritto pura, et dilucidamente, vi è tutto il buono delle Retoriche di Aristotile, di Cicerone, et de gli altri, posto con bellissimo ordine, et con chiara brevità, ma di più i precetti dell’arte, sono spiegati con esempii christiani, et con sentenze utilissime de padri, perilche eshorto il nostro fanciullo studioso, à farsela molto familiare, et spetialmente i Chierici, per i quali il Signor Cardinale di santa Prassede Arcivescovo di Milano, gliela fece scrivere, procurando quel gran servo di Dio con tutti i modi possibili, di allevar molti buoni operarii nella vigna del Signore. Et perche i maestri sogliono far osservatione di alcune sentenze gravi di Cicerone, in lode della virtù, et biasimo del vitio, et farle imparare a mente à i scolari, ch’è lodevole usanza, mi sovviene che san Basilio nelle sue regole, ricorda al maestro de suoi novitii, che in luogo di favole narrino loro le historie delle cose mirabili fatte da Dio, descritte nelle divine lettere, et gli accendano alla virtù, con sentenze prese da i proverbii di Salomone. Et se bene il santo parlava per quelli che doveano esser monaci, è nondimeno ricordo utile per ogni maniera di fanciulli, massime che da questo seme, et da queste piante, hanno anco ad uscir de i monaci, et de i religiosi, non occorre allegar esempio per dimostrar quanto i detti del Savio siano giovevoli, et con non mediocre acutezza sententiosi, percioche tutto il libro de i Proverbii, et quell’altro anchora chiamato Ecclesiastico, son pieni di utilissime sentenze morali. Cerchi però il maestro se per ventura non fosse esercitato nella intelligenza della santa scrittura, di intenderle egli primieramente molto bene, et penetrare l’intimo del senso, con l’aiuto di alcun buono espositore, acciò meglio possa farne capaci gli scolari, benche ve ne sono molte chiarissime. Et poi che incidentemente citando il sudetto luogo di san Basilio, s’è fatto mentione di favole, delle quali i putti sono molto vaghi, et ve ne sono di quelle, che utilmente si possono dire à fanciulli, cioè quelle che da i Greci sono chiamate Apologi, che le altre veramente favole inutili, devono essere escluse. Mi occorre ricordare, che Gabriel Faerno di buona memoria, ne fece un libretto in versi latini, molto ben detti, et sono per il più di quella maniera di versi, poco dissimili alla prosa, ilqual libro io feci già stampare la prima volta, et mi pare, che il nostro maestro se ne potrà tal volta valere con i suoi fanciulli, che con diletto vi apprenderanno utili ammaestramenti, et buona latinità. [p. 151v modifica]

Della esercitatione della memoria et della pronuntia. Cap. XLII.

Soleva dire uno, che tanto sappiamo, quanto ci ricordiamo, et certo lo haver pronta memoria, et ricordarsi quando fa bisogno, et delle cose et delle parole, è una qualità molto desiderabile, et di non mediocre utilità in molte occorrenze. Bene è vero che la natura vi ha gran parte, et vediamo per esperienza, che secondo la varietà delle complessioni alcuni apprendono con prestezza, ma non ritengono, altri per contrario più tardi nell’apprendere, conservano meglio et più lungamente; è anchor dono di natura la voce chiara, et suave, la pronuntia distinta, il moto del corpo, et l’attione concertata et con dignità; et nondimeno tutte queste conditioni con l’altre, et con la diligenza, si megliorano, se son buone naturalmente, et si correggono in gran parte, se sono difettose, ma spetialmente la memoria, non solo si conserva, et accresce con la esercitatione, ma si aquista anchora. Per tanto anchor che nel fanciullo si veda voce aspra, impedimento di lingua, et simili altre imperfettioni, non deve il maestro mettere subito la cosa per disperata, ma con carità, et patienza, et lunghezza di tempo, et più con dar conforto, et far animo al povero fanciullo, che con violenza di battiture, deve far prova di superar la natura, il che non è impossibile nella tenera età, quando il difetto non hà fatte le radici alte, et non è del tutto habituato. Si legge che Demostene, principe de gli oratori Greci, haveva una tal maniera di balbutie, quale vediamo in molti, che non poteva proferire la prima lettera della sua professione, cioè della Retorica; ma co’l lungo esercitio, et fatica, fece tanto, che la proferiva poi benissimo, onde con ragione disse colui, che la fatica ostinata vince ogni cosa. Hora per aiutare, et acquistare, le qualità che habbiamo detto di sopra, cioè memoria, pronuntia, et attione, buon modo di esercitatione mi par che sarà, che il fanciullo impari à mente alcuna oratione di Cicerone, che ve ne sono delle non molto lunghe, ò parte di qualche oratione, et la reciti con gravità, et con quella compositione, che si faria parlando in un senato, ò al popolo, il che, come si disse di sopra, è anchor utile per conto della lingua, et le orecchie si avvezzano al suono, et al numero Ciceroniano, et à quella mirabile giacitura, et collocatione delle parole. Et perche i versi s’imparano più facilmente si potrà tal’hora far il medesimo esercitio in qualche parte di Virgilio, et è meglio dirne minor quantità compositamente, come chi parla per farsi intendere, che recitar un gran numero di versi, divorando le parole, et dimezzandole per [p. 152r modifica]la fretta, come per il più si suol fare, laqual cosa posto che fosse buona per esercitar la memoria, certo è ella molto nociva per la pronuntia, et per l’attione. Giova anchora questo esercitio à far che i fanciulli prendano una certa sicurezza, di ragionar in conspetto di molti, et à non impaurirsi superchiamente di quel silentio, quando dovendo parlar un solo, tutti gli altri tacciono, et tengono gli occhi affissati nell’oratore, laqual cosa ad alcuni non esercitati, suole apportare non piccolo terrore; di mano in mano poi potrà il nostro scolare comporre egli stesso, et pronuntiar i suoi proprii ragionamenti, et caminando più oltra dalle angustie della scuola uscirà nella larghezza de gli auditorii, et luoghi publici.

Della emulatione tra li fanciulli. Cap. XLIII.

Et perche la emulatione tra giovanetti, che si esercitano ne’ medesimi studii, è uno sprone, che sveglia la negligenza, et fà che altrui opera con ardore, et con tutta la virtù, et non rimessamente, per tanto il maestro farà esercitare hora l’uno, et hora l’altro de’ suoi fanciulli, ponendogli in un certo modo al paragone, et acciò quelli che fanno manco bene, con la imitatione de i megliori possano far profitto, perilche anchora può giovare il proporre loro alcuni premii, si come san Basilio ricorda, parlando in questo istesso proposito della esercitatione della memoria, avvertisca però il maestro, che la modesta emulatione non passi in invidia, et odio tra loro, eshortandoli à esser diligenti, co’l qual modo non saranno inferiori à quelli, che spesse volte confidati nella vivacità dell’ingegno, meno si affaticano; giova anchor tal volta far elettione d’un putto meglio instrutto, et ben costumato, et dargli una certa sopra intendenza d’alquanti putti, onde si accenda in lui un nobil desiderio di portarsi bene nel suo piccolo reggimento, et con altri simili modi è utile andar nutrendo una virtuosa, et generosa emulatione nei fanciulli, come meglio in sul fatto istesso parerà al giuditioso maestro.

Della affettatione, et dell’ordine. Cap. XLIV.

Per ultimo non voglio lasciar di dire, che et nella voce, et ne i gesti del corpo, non solo si deve fuggire la durezza, et deformità, ma anchora ogni gesticulatione, et affettatione, et un certo modo di parlare troppo spiccato, che non ha quel decoro, et quella gravità virile, che si richiede à buon dicitore. Et non solo nella voce, et ne i gesti, come [p. 152v modifica]detto habbiamo, ma molto più ne i concetti, et nelle forme del parlare, deve esser fuggita ogni leggierezza, et affettatione, et seguitata una grave simplicità, non inculta et senza ornamento, ma senza lisci. Che se bene non è mal segno ne i giovanetti ingegnosi, una certa ridondanza, et abondanza di colori, et vaghezze retoriche, è però da desiderare, che il giuditio del maestro vada à poco à poco risecando certe superfluità, si che crescendo poi gli anni maturi, habbia anchora et lo scrivere et il parlare, che si fa pensatamente la sua debita maturità, nel qual proposito disse bene un grande oratore, riprendendo un’altro dell’istessa professione, ilquale essendo già vecchio, riteneva quello istesso modo di orare, che havea tenuto da giovane, Remanebat idem, sed non decebat idem, cioè egli si rimaneva il medesimo, ma non gli stava bene il medesimo.

Et perche habbiamo parlato della memoria non è da lasciar di dire, che l’ordine è una di quelle cose, che aiuta grandemente la memoria, et io ho veduto persona, che naturalmente non ha gran memoria, et nondimeno per mezzo dell’ordine, distinguendo la materia dellaqual dovea trattare, ne i suoi capi principali, et dividendo poi ciascun capo nelle sue parti, et facendo à guisa d’un albero, dal cui tronco si partissero certi rami maggiori, et poi altri minori veniva in questa maniera à far una memoria locale, onde felicemente faceva, et anchor fa lunghi, et gravi ragionamenti. È l’ordine una retta collocatione delle parti, poste ciascuna al luogo suo, onde risulta bellezza, et commodità in ogni cosa, onde alcun filosofo ha detto, che in questa gran machina dell’universo, la più bella, et la miglior cosa è l’ordine; perilche desidero che il nostro giovanetto non solo per aiuto della memoria, ma per mille altri buoni rispetti, sia amico dell’ordine, avvezzandosi da fanciullo à tener i suoi libretti, le sue scritture, il suo camerino bene ordinato, il qual buon’habito di far ogni cosa ordinatamente non si può dir quanto poi giovi nella cura famigliare, nella espedition de i negotii, nella buona dispensatione del tempo, et finalmente in tutte le attioni, si come la confusione, et nel parlare, et nello scrivere, et nel governo privato, et publico apporta gravissimi incommodi, perilche meritamente nel nostro volgare, ogni cosa mal fatta, et dannosa, la chiamiamo disordine.

Se tutti i fanciulli devono imparar lettere. Cap. XLV.

Mi persuado, che il nostro padre di famiglia non havrà havuto per male, che già gran pezzo io non habbia ragionato seco, ma solo con il maestro, [p. 153r modifica]poi che ciò si è fatto da me solo per benefitio de’ suoi figliuoli. Hora potrebbe essere che egli desiderasse sapere, se tutti i fanciulli hanno da apprendere Grammatica, et far progresso nelle lettere, come pare che sino à qui habbiamo presupposto, et se le figliuole femine devono esse anchora imparar lettere nel medesimo modo. Alla quale interrogatione del nostro padre di famiglia rispondendo dico, che la Città è come un corpo composto di varie membra, che hanno varie operationi, et offitii pii, et meno nobili, ma però tutti necessarii al sostentamento del corpo, et se tutto il corpo fosse un membro solo più nobile, come per esempio fusse tutto occhio, già come l’Apostolo dice, non saria più corpo; hor applicando la similitudine al nostro proposito, non ha dubbio che la communità civile per conservarsi, ha bisogno di molte maniere d’huomini, et che faccino differenti esercitii, come sono contadini, artigiani, mercanti et molti altri, perilche tutti non possono, ne debbono esser litterati, se bene di questi anchora vi sia bisogno, mi par però che saria cosa utile et laudabile, che i fanciulli di qual si voglia conditione, etiandio molto humile, imparassero almeno queste tre cose, cioè leggere, scrivere, et numerare, sì perche imparandosi con non molta fatica almeno mediocremente, servono poi tutta in la vita à molti usi, sì anchora perche in quella prima età, per la debolezza del corpo, non si può quasi far altro, et si viene à dare una utile occupatione alla fanciullezza, et si fanno altri buoni effetti circa la educatione, andando il fanciullo alla scuola, si come dalle cose dette di sopra si può raccogliere, anzi crederei essere espediente, che quei figliuoli che devono attendere alla mercatura, et à certe arti maggiori fossero introdotti nella Grammatica, et havessero qualche intelligenza del parlar latino, percioche è conditione, che può giovare spesse volte ne i commertii, con le nationi straniere, et in molti altri modi. Quanto poi à i figliuoli de’ nobili, et ricchi, non ha dubbio, che sta molto bene, che faccino buon progresso nelle lettere humane, et sappiano et parlare, et scrivere latino commodamente, et intendere gli oratori et gli historici, et simiglianti, et intendo etiandio di quelli che non sono per caminar avanti nelle facultà, et scienze, nè farsi dottori, percioche le lettere sono un grande ornamento d’un gentil’huomo, et ne i magistrati della patria, et ne i consigli, et congregationi che si fanno per luoghi pii, et altre cose publiche, dove si hanno spesso à sentir avvocati, et nel farsi elettione di Ambasciatori per mandar fuori, et in molte altre occasioni, che saria lungo à dire, maggior vantaggio havrà sempre un gentil’huomo intendente, che un’altro suo pari idiota. Oltra di questo, per mezzo delle lettere, s’imparano molte cose utili alla prudenza [p. 153v modifica]humana, nè basta dire, che vi sia gran copia di libri tradotti in volgare; percioche uno che non sà se non leggere, non arriva ad intendere perfettamente i concetti dell’autore, et bene spesso gli riusciranno poco meno oscuri, che se fossero latini. Ma come si sia, la cognitione è cosa eccellente, et come meglio può impiegar il tempo un giovanetto nobile, et ricco, sino al quintodecimo, ò diciottesimo anno? Lascio di dire, che le lettere sono una dolce compagnia in tutti i luoghi, et in tutti i tempi, et sono un salutifero disviamento da molte maniere di trattenimenti poco honesti, et spetialmente nella vecchiezza sono le lettere una gran conforto, quando già ogni altra maniera di lecito diletto in gran parte, non è gustevole come soleva, et sopravengono tal volta delle infirmità, che lungamente tengono in casa, et non impediscono però lo studiare, cosa che rende assai meno molesta, et noiosa quella indispositione. Aggiungi, che quando il nostro giovanetto sarà pervenuto ad esser anchor egli padre di famiglia, potrà per mezzo di questa qualità far tanto maggiore giovamento à i suoi figliuoli; et finalmente con la lettione di libri pii, et santi, si accende, et si mantiene l’amor di Dio, et si trova non mediocre consolatione, nelle afflittioni di questa misera vita, se bene non si nega, che ci sono anchora di molti buoni et divoti libri scritti nella nostra volgar lingua, che si possono, et debbono leggere da i meno intendenti. Et questo sia detto quanto à i figliuoli maschi.

Se alle figliuole femine si devono far imparar lettere. Cap. XLVI.

Quanto poi alle femine, à me pare che generalmente parlando, si habbia con esso loro à proceder del tutto diversamente; et quanto à quelle di humile, et povero stato, non fa bisogno che sappino ne anco leggere; à quelle che sono di mezzana conditione, certo non disdice il saper leggere; ma quanto alle nobili, che devono poi essere madri di famiglia di case maggiori, in ogni modo lodarei, che come si disse di sopra, apprendessero à leggere et scrivere, et numerare mediocremente. Ma che insieme con i figliuoli et sotto la disciplina de i medesimi maestri, imparino le lingue, et sappino orare, et poetare, io per me non lo approvo, ne so vedere che utilità ne possa seguire, ne al ben publico, ne al particulare delle medesime zitelle, anzi io temo, che essendo il sesso feminile vano per natura, non ne diventi tanto più superbo, et vogliano le donne far del maestro, contra i precetti dello Apostolo Paolo, oltra che suole avvenire che havendovi il padre, et la madre una certa ambitione, per la rarità [p. 154r modifica]della cosa, hanno caro che si sappia, et le fanno parlare con huomini litterati, onde nascono occasioni di prendere affettione ad alcuno, più che non conviene, massime per mezzo di componimenti vaghi, et dove è certa conformità d’ingegni, et di studii s’inteneriscono gli animi, et si nutriscono nel petto le fiamme occulte, che fanno poi non di rado miserabili incendii; però il buon padre di famiglia si contenti che la sua figliuola sappia dir l’offito della Santissima Vergine, et leggere vite de’ Santi, et alcun libro spirituale, et nel resto attenda à filare, et cucire, et à far gli altri esercitii donneschi, de i quali vediamo che la santa scrittura loda la donna virile, et forte, nella cui diligenza, et solleciutdine, et buon governo delle cose domestiche, si riposa il cuor del marito suo, et di lei dice la scrittura santa nell’ultimo. de’ proverbii, Quaesivit lanam, et linum, et operata est consilio manuum suarum, nelle quali parole loda il Savio la donna diligente che prontamente si adopra ne gli esercitii convenienti al sesso suo, come ne i lavori di lana, et di lino, et in queste tali materie con l’artifitio delle proprie mani si affatica; et molte altre cose simiglianti dice il Savio in quel luogo, descrivendo una ottima madre di famiglia. Perilche concludendo hormai questa parte, se ben non si nega, che ogni regola possa patire qualche eccettione, diciamo però che il miglior consiglio è communemente parlando, che le donne stiano contente à gli offitii proprii del sesso muliebre, et lascino à gli huomini quelli del sesso virile.

De la necessità et utilità della recreatione. Cap. XLVII.

È uno antico proverbio, et molto vero, che l’arco che sempre sta teso si rallenta, et diviene manco atto à tirare. Non è possibile affaticarsi continuamente, però fà bisogno di riposo, et di ricreatione, laqual presa opportunamente, et con la debita misura, non solo non noce, ma apporta molto giovamento, percioche come l’istesso nome di ricreatione ci da ad intendere, le forze del corpo, et dell’animo vengono à rinovarsi et in un certo modo à rinascer di nuovo, onde ritorniamo più vivaci, et più vigorosi alle consuete operationi; però disse il filosofo, che la requie, et il gioco, ilquale alla requie et al riposo si rassomiglia, sono delle cose necessarie della vita; et un’altro Filosofo dicea, che il giocare per fine di studiare era anchora molto ben fatto, onde non solo à gli huomini secolari, ma à i religiosi anchora, è non solo lecita, ma tal volta necessaria qualche honesta ricreatione, et è mancamento di giuditio lo scandalizzarsene, come alcuni laici fanno; il che si potria provar facilmente con esempii di santi [p. 154v modifica]di altissima perfettione, che tal’hora riposavano alquanto scherzando con uccelli, et in altre maniere tali; et non è molto che io sentì dire una accomodata similitudine in questa materia ad un gran religioso, che da gravissimi negotii si era ritirato per alcuni pochi giorni alla villa; che non è perder tempo quando si arruota il cortello, perche possa tagliar meglio; ma che piu? habbiamo l’esempio del maestro de i maestri Christo nostro Redentore, del quale scrive San Marco Evangelista, che essendo ritornati gli Apostoli dalla predicatione per i luoghi circonvicini, et da far altre cose, secondo che il Salvatore haveva imposto loro, et narrando al benignissimo maestro quanto havevano operato, egli con quelle viscere di amore, più tenere che di madre verso il piccolo figliuolo, disse loro queste dolci parole: Venite ritiriamoci in disparte in luogo solitario, et riposatevi alquanto. Dimostrandoci da un lato la necessità, et dall’altro la moderatione, con laqual si deve usar questa medicina della ricreatione, percioche la ricreatione non è fine, ne si deve eleggere per se medesima, ma per cagione dell’operare, la onde quelli che s’immergono talmente ne i giuochi, et trattenimenti, che pare che non pensino ad altro, sono inutili, et stolti, et peggiori che putti.

Delle recreationi et giuochi de i putti. Cap. XLVIII.

S’egli è adunque come s’è detto, necessaria la ricreatione à gli huomini maturi, quanto maggiormente la doveremo noi permettere à i putti che per natura vi sono grandemente inclinati, et non hanno anchor tanto senno, et maturità perfetta, che gli renda stabili, et per la tenerezza del corpo, instrumento dell’anima, non possono tanto lungamente perseverare nella medesima operatione, et come quelli che hanno li spiriti vivaci et sottili, sono amicissimi del moto, et non pare che possino stare fermi. Et senza dubbio il moto, et agitatione del corpo giova loro mirabilmente; percioche il calor naturale si risveglia, et dilatandosi per tutto, dà accrescimento et perfettione alle membra, lequali co’l salto, co’l corso, et con varii movimenti vengono à consolidarsi, et ad acquistar maggior agilità, et robustezza, perilche i giuochi de i putti, et de i giovanetti, non dovrebbono farsi a sedere ne otiosamente, ma con esercitationi del corpo, come si è detto del saltare, et del correre, et si può dire del giuoco della palla, che da i medici è molto lodato, se bene à me pare che vi si faccia troppo continuo moto, et presto commova il sudore, onde quello che chiamano il trucco, mi par migliore, et altri simili, che sono contemperati di moto, et di quiete, dovendosi haver riguardo, che per [p. 155r modifica]troppo esercitio, le forze non si dissolvano, ò non s’incorra in altra maniera alcun pericolo della salute. Per il che bene è giusto che i padri di famiglia, et i maestri, diano facultà à i figliuoli, et scolari loro di ricrearsi, ma ciò non deve essere ad arbitrio et satietà loro, ma limitatamente secondo la discretione del superiore, à i suoi debiti tempi et anchora in luoghi opportuni, percioche à me piaceria molto, che i fanciulli si avvezzassero ad haver una certa verecundia à i luoghi publici, et frequentati, percioche giocando, si depongono le vesti di sopra, si danno tal volta voci, et alcuni gridi, et si fanno altre cose, che la natura del giuoco comporta, che se bene non escono de i termini della modestia, et della honestà, tuttavia nelle vie publiche sono alquanto disdicevoli, et se ne acquista un certo habito à non curar poi che altri ci veda dire, ò fare palesemente quel che si sia. La dove à me pare che i putti già alquanto grandi, si dovriano assuefar ad haver un certo rispetto, à i luoghi dove tutti conversano, come chi considera che le parole et le attioni sue sono vedute, et notate da molti, et però non si hà à far cosa se non grave, et compostamente, il che si richiede maggiormente in quelli che sono nati più nobilmente. Et per tanto dove nelle case proprie si hà commodità di alcuna sala remota, overo di giardini et simili luoghi aperti, giudico che i nostri figliuoli di famiglia molto commodamente vi si potranno ricreare, et meno havranno occasione di mescolarsi con altri fanciulli, che forse potrebbono non essere allevati con la medesima disciplina, alla qual cosa, come ad altri propositi si è ricordato, si deve haver sempre non mediocre riguardo. Et perche giova alla complessione spetialmente per rispetto della testa, lo avvezzarsi al sole et all’aria liberi, è espediente condurre tal volta i fanciulli alle vigne, et à i prati, et sopra alcuni colli, dove il solo prospetto, et vaghezza della veduta ricrea mirabilmente, et dove la solitudine, et remotezza del luogo, dà maggior facultà à i giovanetti di far i suoi honesti giuochi, senza pregiuditio della modestia.

Della assistenza di alcuno mentre i putti giuocano. Cap. XLIX.

Il giuoco è una maniera di combattimento, et di contentione, dove ciascuno se non è d’ingegno tardissimo aspira alla vittoria, laquale per natura è cosa dolce et desiderabile, et però gli affetti, et passioni dello animo si commovono variamente, onde ne seguono atti conformi, che ne i fanciulli sono come certe dispositioni, et per la virtù, et per il suo contrario, percioche alcuni giocando sono fraudulenti, altri iracondi et riscaldandosi nelle [p. 155v modifica]contese, et contraddittioni, dicono villanie et ingiuriose parole a i compagni, et tal volta percuotono, et si pigliano odii, et fanno i putti tra loro, come fattioni, et sette contrarie, altri giurano, et spergiurano, altri dicono motti inhonesti, ò ridono, et gridano stranamente, et fanno altre cose molto licentiosa et dissolutamente, che non fa bisogno discendere à maggiori particulari, massime che ogni hora si veggono di queste esperienze per le piazze, et per le contrade, dove i putti giuocano alla mescolata, et fanno, et dicono tutto quello che piace loro, et che il senso et la passione suggerisce, senza freno, ne rispetto alcuno, talche in cambio di ricrearsi, per attendere poi con maggior studio à bene operare, ne segue che imparano mille male creanze, et diventano insolenti, et licentiosi, et si odono poi dalla bocche di fanciulli che à pena sono, come si dice per proverbio, rasciutte dal latte, parole di bestemmie, et inhonestà, che sariano troppo gravi ne gli huomini ben barbuti. Cosi avviene che la medicina della ricreatione diventa veneno, mentre non è chi prenda cura alcuna dalla povera fanciullezza, che par quasi, che siamo una gente senza legge, senza ordine, et disciplina alcuna, et che si viva à caso, et non meno che si soglia liberamente andare per le vie della Città, così in quello che appertiene à i costumi, sia lecito à ciascuno caminare dove gli piace. Si legge nelle historie Greche, che era costume de i Lacedemoni, che i vecchi assistevano à i giuochi de i putti, osservando con diligenza da i dibattimenti, et querele loro, qual fosse la natura di ciascuno, et facendo di la giuditii, qual riuscita fossero poi per fare. Et passando dalla pueritia alla adolescenza, havevano maggiormente i vecchi l’occhio sopra di loro, et più ordinariamente si ritrovavano à i luoghi dove facevano loro esercitii, hora in foggia di combattimenti, atteso che la forma di quella Republica era molto indrizzata al guerreggiare, et hora in altre maniere di giuochi, et ricreationi. Et scrivono gli historici, che i vecchi usavano di fare quanto si è detto, non per un certo passa tempo solamente, ma con tal diligenza, et affettione, come se fossero stati padri, maestri, et governatori di tutti quei giovanetti, di maniera che come dicono i medesimi scrittori, non vi era già mai ne tempo, ne luogo dove non fusse alcuno presente d’autorità, che potesse ammonire, riprendere, et castigare i putti se havessero commesso fallo alcuno. Et oltra tutto questo vi era un’huomo principale, che haveva titolo di governatore, et carico particulare della cura loro. Hora chi dicesse, che quando i fanciulli prendono loro ricreationi, vi doverebbe essere presente alcun padre di famiglia, per la riverenza delquale, et ne i gesti, et nelle parole si deportasserro con ogni modestia, et al cui giuditio [p. 156r modifica]nelle querele, et dispareri loro tutti si rimanessero, et il medesimo proportionatamente si osservasse con quelli di maggiore età, mentre à certi tempi fanno à guisa di compagnie, et fanno alcune publiche ricreationi, si che etiandio nel giuoco, et ne gli esercitii rilucesse una certa honestà, et disciplina; chi dico volesse a nostri tempi introdurre per cosa ordinaria una simile usanza, saria riputato huomo inventore di cose strane, per non dir ridicole, et che fosse cosa impossibile il metterle in prattica. Per tanto acciò alcuno non dica che io ho preso troppo gran carica, et certo non dalle mie spalle, à voler rifare il mondo, pregarò almeno quei pochi padri di famiglia, che desiderano reggere i loro figliuoli con alquanto maggior cura dell’uso commune, et parimente i buoni maestri, che se le cose dette di sopra hanno qualche probabilità di ragione, non lascino senza custodia i loro giovanetti, mentre fanno lor giuochi, acciò per poca cautela la ricreatione non distrugga quello che si va con studio, et fatica edificando nel restante della buona educatione.

Delle representationi. Cap. L.

È utile, et dilettevole maniera di ricreatione, maggiormente per i giovanetti studiosi, quella che molti religiosi usano di fare, cioè che alcuna attione humana si imiti, et rappresenti da i medesimi fanciulli, come se fossero quelle istesse persone, che altre volte veramente furono, ò si presuppone che fossero operatori di quella attione, et senza dubbio questa è una maniera di comedia, ma accomodata à materie più gravi, et più fruttuose, come sono delle vite de’ santi, et altre simili, che possano dare esempio, et instruttione di vera virtù; perilche i ridicoli impuri, benche sotto coperta, devono essere del tutto banditi, et solo vi possono haver luogo alcuni piacevoli, et honesti sali. Et io crederei che fosse ben fatto, che la attione che si prende à rappresentare fosse di huomini totalmente, et non vi fosse parte di donna alcuna, se non forse di alcuna matrona vecchia, di esemplare santità, et si ha da haver molto l’occhio da colui che ordina simili rappresentationi, che non vi siano narrationi amatorie, ne altra cosa, che possa effeminar gli animi de i giovanetti, che nel resto per mio giuditio non fa molto mestieri, di obligarsi alle leggi della Comedia, ne quanto al numero de gli atii, ne altre si fatte osservationi, percioche questo non è se non un giuoco, il cui fine è ricreare la gioventù, con qualche frutto dell’animo; deve però ò sia detta in lingua volgare, ò latina, esser composta giuditiosamente et con eleganza tale, che anchor in questa parte se ne possa far profitto, si come anchora [p. 156v modifica]se ne trahe utilità per esercitar la memoria, la pronuntia et l’attione, et s’acquista da’ fanciulli facilità, et prontezza di poter ragionare nel cospetto d’altri, et vengono à vestirsi una certa persona virile, et altri buoni effetti simiglianti ne seguono. È però da haver riguardo, che si fatte ricreationi non apportino distrattione da gli studii principali, et non vi si perda troppo tempo. Et quando poi si fa la rappresentatione è da fuggir ogni tumulto, come quasi di necessità avviene, dove è molto popolo, che ve ne sono sempre di tali, che non osservano la debita honestà, et modestia, et però è meglio che queste cose si faccino ritiratamente, tra i medesimi condiscipuli, alla presenza de’ maestri, et di buoni padri di famiglia, et di alcune poche persone gravi, et costumate, rimosse però totalmente le donne.

Dell’honesto motteggiare. Cap. LI.

Tra le honeste ricreationi, che gli huomini ben creati, et civili sogliono tal’hora pigliarsi tra di loro, cessando alquanto da i negotii, et occupationi gravi, una ve ne è, laquale consiste in una certa piacevolezza di ragionare, motteggiando dolcemente, et sapendo, come si suol dire, dare, et ricevere con giuditio, et destrezza, senza dire motti inhonesti, et non pugnere al vivo l’amico, co’l quale si motteggia; ilche non si fa cosi facilmente da ogni uno, anzi come bene i Filosofi morali hanno considerato, bene spesso si esce da molti dalla via del mezzo, nel quale consiste questa virtù della piacevolezza, overo urbanità, che dir vogliamo, percioche alcuni abondano più che non conviene di motti ridicoli, et falsi, et non hanno riguardo d’offendere altrui, et ne anco perdonano à se stessi, pur che muovano riso, il quale eccesso è vitioso, et più presto merita nome di buffoneria; ma per contrario si trovano alcuni altri cosi zotichi, et duri, che ritrovandosi nelle honeste compagnie, non solo non dicono motto alcuno arguto, et gentile, ma se altri ne dice, non vi hanno gusto alcuno, anzi più presto se ne attristano, ilquale eccesso contrario al primo si può chiamar rusticità, et simili huomini spiacevoli, sono inetti alle conversationi d’amici, che per diletto si fanno. Hor come noi vediamo che vi sono gli estremi vitiosi del troppo, et del poco, cosi per conseguenza intendiamo, che vi sia il mezzo virtuoso, quando uno scherza et motteggia con moderatione, et destrezza, tale, quale à huomo modesto, et discreto si conviene, perilche le sue facetie, et piacevolezze sono d’altra sorte, che quelle de i buffoni, et de gli huomini vili, et plebei, et vi si scorge dentro un certo che di gentile, et spiritoso senza ingiuriar [p. 157r modifica]alcuno, et senza offesa della sua propria gravità, et decoro. Per tanto è espediente, che questa maniera di burlare modestamente, sia tal volta una delle recreationi de i nostri fanciulli, massime alla presenza del maestro, il quale vada ricorreggendo hora la troppa acutezza d’alcuni, et hora la troppa severità, et rozzezza d’alcuni altri, che non hanno punto di sale. Havevano i Lacedemoni per usanza di mangiar insieme, et vi facevano venir i lor fanciulli, come à una scuola di temperanza, et quivi fra le altre cose imparavano con l’esempio de maggiori anchor questa virtù, di motteggiarsi l’un l’altro piacevolmente, senza però pungersi aspramente, et senza corrucciarsi, onde era cosa propriissima di quella natione, per questo habito fatto da fanciullezza, che molto facilmente sapevano sopportare una puntura faceta, et un tiro burlesco. La qual cosa è necessaria di fare con alcuni fanciulli dispettosetti, per romperli, et renderli più trattabili, si come si ricordò altrove al padre di famiglia, parlando delle piacevolezze che si dicono à tavola, però che se bene è vero, che non si deve scherzar in modo che trafigga, et faccia dolore, è anco vero, che non si deve esser tanto sensitivo, che per ogni leggier puntura si habbia à venir alle mani, et romper l’amicitia, conciosia che nella vita, et conversatione humana, non tutti parlano sempre con quel peso, et con quella misura, che saria conveniente, benche per dir anco il vero non si hanno à imporre ne i commertii humani, cosi strette leggi che si habbia sempre mai a pesare ogni paroluzza, onde è gran prudenza saper disissimular et sopportar con dolcezza et prendere anco gusto, quando avvengono di si fatte cose, et à questo come si è detto lo assuefarsi da fanciullo giova assai. Avviene anchora che i motti fatti a tempo, et prudentemente sono come medicine di alcuni difetti non molto gravi. Et tra alcune persone religiose, si usa, benche di rado, questa maniera di ricreatione per utilità de i giovani che uno di loro più atto à saper far il giuoco, si lieva à ragionare, et con alcuna inventione, che da principio par lontana, và artifitiosamente tratteggiando, et pizzicando hor questo hor quello sopra alcuni difettuzzi, et lo fa con tal piacevolezza, che ridendo gli altri, ride quello istesso, che si sente pungere, et ha cagione di emendarsi, et i suoi compagni di esser più cauti. In somma un’huomo di natura dolce, et piacevole, è il condimento delle compagnie, et hanno questi tali efficacia di attrarre à se gli animi altrui, la onde s’egli sarà un’huomo dolce, et da bene, et che cerchi l’honor di Dio, come principalmente si deve cercare da tutti, gli verrà fatto con la divina gratia, di tirar molti alla via della virtù, si come io ne potrei allegar esempio d’huomini religiosi, et di grande spirito, ilche non deve parer maraviglia, [p. 157v modifica]essendo l’huomo animal mansueto, et però molto atto à esser tirato dove altri vuole, dall’amore, et dalla piacevolezza.

Della musica. Cap. LII.

Mi pare che nel medesimo numero delle honeste ricreationi si possa connumerar la musica, dellaquale gli antichi Filosofi fecero grandissima stima riputando che la musica importasse molto per i costumi, et secondo la varietà di quella, variamente si alterassero gli animi et ne divenissero più disposti, et inclinati alla virtù, ò al vitio, et si raccontano anchora da gli historici Greci, et Latini esempii memorabili della efficacia della musica, et se bene a nostri tempi non pare, che si vedano effetti cosi notabili, tuttavia non si può negare che i canti lascivi et molli, et per contrario i canti gravi, et pieni di honestà, massime quando la parole, et l’harmonia si congiungono, imprimono ne gli animi nostri certa qualità conforme à quel suono. Onde non senza gran ragione la santa Chiesa usa ne i sacri Tempii il canto, come quello che muove à divotione, indolcisse l’anima, et la sollieva più facilmente alla contemplatione delle cose celesti, si come la autorità di gravissimi, et santissimi Dottori, et la esperienza stessa ci dimostra. Per tanto non mi par se non bene, che il nostro fanciullo apprenda alquanto di musica, quanto basta per un poco di honesto diletto, et non per divenir musico, dico parlando generalmente che non si nega che alcuni devono andar avanti in questa arte, si che possano riuscir eccellenti musichi. Avverta però il savio padre di famiglia, come sempre si và ricordando, che questa ricreatione si ha da intendere senza pregiuditio de i buoni costumi, perilche si deve haver riguardo alla conditione del maestro, et che con questa occasione non si introducano in casa persone non sicure, ma si faccia la musica tra gli istessi famigliari di casa, non come cosa di grande apparato, ma per un giuoco, et trattenimento breve, non si cantino compositioni tali, ne rime, che possino accender l’animo di fuoco carnale, ma più presto salmi, et alcune divote canzonette, quali per opra de i padri della Congregatione dello Oratorio di Roma, si stamparono non è gran tempo, che vi sono cose affettuose, et morali, che nutriscono lo spirito, et l’amor di Dio, et si possono cantar da pochi, et con mediocre intelligenza, et tali canzonette molto meglio, et più utilmente si possono imparare à mente da fanciulli, et domestici di casa, et anco dalle figliuole femine, per ricrearsi mentre fanno loro lavori, che le vane rime di romanzi, et altri componimenti amorosi, che nel resto, quanto alla figliuole femine io non sono d’opinione [p. 158r modifica]che debbiano imparar altra musica, che quella che la istessa natura insegna loro, percioche la honestà feminile non comporta che venghino in concerto con huomini, et le voci et canti più facilmente possono dissolvere in loro il vigor dell’animo, et per l’istesse ragioni non laudo l’imparar à suonar, non essendo senza pericolo l’apprendere ciò che si sia da huomini. Et finalmente non sono da negare alle figliuole anchora le honeste ricreationi proportionate al sesso loro, ma più di rado, et senza intervento d’huomini, sotto la buona custodia della madre, et con tutta quella cautela che si richiede alla castità, et verecundia feminile.

De i pericoli della adolescenza. Cap. LIII.

Non è piccola impresa l’allevare un’huomo tale, che viva per gloria di Dio, per benefitio commune de gli altri huomini, et salute di se medesimo, non si possono raccorre i frutti cosi suavi senza molta fatica, però è necessario, che la industria del nostro padre di famiglia non si rallenti, ma confidata principalmente nella divina gratia, proceda avanti andando vigorosamente incontro à i pericoli che di mano in mano, et di età in età succedono. Piange santo Agostino amarissimamente i peccati della sua adolescenza, ch’è quella età che succede alla pueritia, cominciando dopo ’l quattordecimo anno, et continuando sino al ventunesimo, ò quivi intorno, et si duole, che i suoi non hebbero cura di sostenerlo, che non precipitasse nella voragine della libidine, procurando solo ch’egli imparasse à ben parlare, et riuscisse valent’huomo ne gli studii dell’eloquenza. Non cosi il nostro padre di famiglia, ma oltra l’haver preveduto di lontano le tempeste di questa età, et applicati molti rimedii, et aiuti si come à i suoi luoghi si è ricordato, non abandonarà nello istesso pericolo il timone della cura del figliuolo anzi vegliarà più che mai. È questa età pericolosissima non altrimenti che ne gli alberi lo sfiorire et legare il frutto, della quale parlando i poeti et savii del mondo hanno detto che gli adolescenti sono vogliosi, et cupidi, et arditi à tentar le cose desiderate, se bene le cupidità loro sono veloci, et spesso contrarie fra loro medesime, et si mutano da un’hora all’altra, surgendo in loro novi desiderii et satiandosi presto de i primi. Onde li assomigliano alla sete cagionata per l’ardore della febre, sono dediti à i piaceri della caccia, et à i cavalli, non tengono cura di danari, poco pensano alle cose utili, et necessarie, non odono volentieri chi gli ammonisce, et riprende, sono facili ad esser ingannati, et come molle cera si piegano al vitio, stanno volentieri in compagnia d’altri della istessa età, et facilmente contraheno amicitia per occasione di piaceri, et [p. 158v modifica]solazzi, essendo amici del riso, et de’ giuochi, et molte altre cose si dicono, et possono dire della natura de i giovanetti adolescenti, ma il più grave nemico loro, si come anchora i Filosofi hanno conosciuto, è la incontinenza della carne, dalla quale maggiormente sono infestati, et gli fanno per ordinario minor resistenza, et questo è lo scoglio dove per lo più i miseri giovani, fanno naufragio, come si vede tutto giorno per esperienza, et maggiormente in quelli che restano senza governo, ò sia per morte ò pure per poca cura del padre, o d’altri attinenti. Et certo se innanzi à questa età non è preceduta una buona educatione, et se il timor di Dio, et l’amor della virtù, non hà fatto qualche radice nell’animo del giovanetto, è cosa sopra modo difficile per non dir impossibile, ch’egli resti vincitore, nel maggior et più vehemente bollore del sangue, di questo domestico avversario, con il quale come alcun santo dice, si hà continua pugna et rara vittoria. Et ben si può applicare à questo proposito il detto di san Paolo, cioè quello che altrui havrà seminato, quello istesso meterà, et chi havrà seminato nella carne, dalla carne meterà corruttione, voglio dire che se la pueritia non sarà stata avvezza à portar il giogo della disciplina, quando il senso era meno gagliardo, non altro si può aspettar nell’età seguente, quando il medesimo senso è più robusto, et è stimolato da obietti più potenti, se non licenza et dissolutione, onde se bene i peccati della adolescenza sono maggiori, et più evidenti, hanno però più alto principio, cioè dalla istessa pueritia male educata, si come altrove si è detto abondantemente. Ma il nostro padre di famiglia, ilquale cominciando per maniera di dire, mentre anchora il figliuolo era nelle fasce et continuando poi per lunga successione d’anni come habbiamo veduto sin qui havrà con ogni sollecitudine atteso à questa nobile cultura, hà da stare di miglior voglia, et sperare in Dio, che gran parte delle difficultà sono già superate; non si ponga però à dormire, acciò l’huomo nimico nel mezzo del suo buon grano, secondo la parabola evangelica non soprasemini la zizania, ma vigili sollecitamente, come si è già detto, continuando lo stile delle usate diligenze, et aggiungendone delle nove, secondo il maggior bisogno richiede, di che mi apparecchio à ragionare alquanto più distintamente.

Della continuatione de gli esercitii christiani, et della riverenza verso del padre. Cap. LIV.

Sia adunque il primo ricordo, che gli esercitii virtuosi, et christiani, ne i quali il nostro giovanetto da i primi anni, è stato allevato non si [p. 159r modifica]intermettano anzi più tosto si accrescano, essendo giusto che hora che hà maggior giuditio, et conosce più chiaramente Iddio, et i suoi innumerabili benefitii nella persona di se medesimo, tanto più lo ami et tanto più sia diligente osservatore de i suoi santi commandamenti, per tanto stiano fermi, et saldi i santi instituti di frequentar i sacramenti, che ci tengono uniti con Dio, che ci conferiscono gratia et virtù di resistere alle tentationi, et danno all’anima una spiritual refettione, onde ella è meno avida di andar mendicando i falsi diletti per le cisterne dissipate di questi sensi. In questo tempo i consigli, et conforti del savio confessore, sono più che mai utili, et necessarii, à cui narrando il giovanetto humilmente le sue lutte et combattimenti riceve mille salutiferi avvertimenti, non altrimenti che un soldato novello ad uno esperto, et veterano, et questa istessa obedienza, et summissione fatta al padre spirituale non solo per via di confessione, dove senza dubbio è efficacissima, ma fuori anchora del sacramento per via di conferire, et chiedere aiuto, et consiglio, et raccomandarsi alla sue orationi, è gratissima à Dio, et sempre si partirà il giovanetto da i colloqui del suo padre spirituale confortato, et rinovato di spirito. Et però è necessario che il tempo prescritto di rappresentarsi al confessore, al meno una volta la settimana non si preterisca, ilqual buon confessore, havendo già cognitione del giovanetto di molto tempo, andarà come prattico nocchiero reggendo questa barchetta, tra i flutti di varie tentationi, secondo vederà esser espediente., et secondo il suo consiglio frequentarà il giovane la santissima Eucharistia, arme fortissima contra tutti i colpi del diavolo, et spetialmente contra la carne. Il medesimo diciamo della conservatione de gli altri buoni instituti christiani, cioè della frequenza de i divini offitii, dell’udir spesso la parola di Dio, de lo studio utilissimo della oratione, della lettione, de i buoni, et divoti libri, che sono à guisa d’olio, nel vaso del nostro cuore, et mantengono accesa la divotione, et il fuoco dell’amor di Dio, et di altre cose tali, delle quali l’anima hà non manco bisogno per mantenersi nella vita et vigorosità spirituale, che si habbia necessità il corpo del cibo materiale per mantenersi nella vita temporale,. Avverta anchora il padre di famiglia à ritener co’l figliuolo la solita autorità, et riverenza paterna, si che lo istesso figliuolo non si accorga in un certo modo, in questa parte, di esser uscito di putto, se bene il padre non hà però da trattarlo in tutto come se fosse anchor fanciullo, ilche hà bisogno di gran prudenza, percioche conviene caminare per un certo mezzo, non aspreggiando il giovanetto, acciò non si pregiudichi all’amore, ne meno trattandolo troppo indulgentemente acciò non si pregiudichi al timore, ma ritenendo un tenor grave, et [p. 159v modifica]moderato, non lasciando la briglia del governo, ma rallentandola alquanto à luogo et tempo, in modo però che si conservi sempre viva nel figliuolo la dispositione di ubidire il padre, et la estimatione de i suoi commandamenti, et finalmente tutta via si mantenga in lui il timor filiale, che gli sia sempre come un freno di non far cosa, che possa offendere, ò dar disgusto à suo padre, anzi per contrario si compiaccia di dargli contentezza et satisfattione.

Quanto spetialmente nella adolescenza siano pericolose le male prattiche. Cap. LV.

Quantunque di sopra in più d’un luogo, à varii propositi si sia ragionato delle prattiche, et conversationi, nondimeno per la molta importanza della cosa, et perche in questa età spetialmente della adolescenza, se ne corre gran pericolo, non hò potuto mancare di ricordare espressamente in questo luogo al nostro padre di famiglia, che vi habbia l’occhio aperto. Et perche come si è detto, questa età è disposta à fare amicitie, et ama le compagnie, è da stare bene avvertito, che qualche giovane dissoluto, ò per voler compagno nelle sue licenze, ò per speranza d’haver occultamente per mezzo del giovanetto, delle sostanze del padre di famiglia, ò per altri fini poco honesti, non si vada insinuando, et intromettendo nella benivolenza, et domestichezza del nostro semplice et credulo figliuolo; percioche questi tali sogliono sottilmente osservare le nature, et gli appetiti de’ giovanetti, ò siano di gìuochi, ò di cavalli, ò altre cose tali, et propongono loro quella esca che maggiormente gli può attrarre, et in spetie i diletti carnali, che sono la rete, che più facilmente gli prende, et più fortemente gli ritiene. Con questi adunque et altri artifitii, havendo allacciato il misero giovanetto, lo conducono poi gli infideli compagni, et falsi amici dove vogliono in ogni prencipio di peccato, non facendo egli resistenza alcuna. Scrive santo Agostino lungamente ne i libri delle sue humilissime confessioni, scritte come si può credere, da quel gran santo per particular providenza de lo Spirito santo, à maggior corona della sua humiltà, et per ammaestramento, et cautela di molti, scrive dico et piange diversi gravi incommodi dell’anima sua, ch’egli ricevè nella età della quale hora parliamo, dal commertio di cattivi et vitiosi compagni suoi, et fra le altre cose dice, ch’era venuto à tanta cecità, che si recava à vergogna di far cose manco vergognose de gli altri suoi coetanei, i quali udiva vantarsi delle dishonestà commesse et tanto più gloriarsi quanto più erano colpevoli, onde egli per non parer da manco di loro desiderava peccare, non solo per gusto del peccato, ma per [p. 160r modifica]appetito d’esserne lodato, et dal vitio che solo è vituperabile, cercava la lode, et quando realmente non haveva con che agguagliarsi alle dissolutioni loro, fingeva di haver commesso, quello che commesso non haveva, riputando essere stimato tanto più abietto, et vile quanto più fosse innocente, et casto. Narra anchora che guidato da i medesimi compagni, si condusse di notte tempo in un giardino, à rubbare de i frutti, non per altro, che per licenza giovanile di far del male, abondando essi di frutti, et migliori che quelli non erano, et va il benedetto santo con lunga et sottile inquisitione investigando, qual cagione lo havesse indotto à commetter quel furto, et dopo tanti anni essendo già vecchio, esclama per maraviglia; Misero me, qual cosa fù quella che io amai in te, ò furto mio, ò misfatto mio notturno, dell’anno sestodecimo della mia età? et finalmente conclude non havervi havuto altro diletto, che il consortio de’ suoi compagni, et complici nello istesso peccato, affermando più volte quel tanto humile confitente, et replicando avanti à Dio stesso, ch’egli solo non havria commesso quel furto. Ecco come ben si vede quanto perniciosa cosa siano le male compagnie, et come leggiermente si attacchi la scabbia del peccato, et quanto sia vero il detto della scrittura, che di sopra in simil proposito fu allegato; Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea. Et soggiunge; Et qui communicaverit superbo, induet superbiam. Volendo dire, che come la pece s’attacca facilmente, et imbratta chi la tocca; cosi il peccato s’attacca all’anima per la communicatione, et per il commercio de gli huomini peccatori. Adunque grandissima cura, et vigilanza deve havere il nostro padre di famiglia, che compagnie sospette, et pericolose non si ristringano co’l figliuolo. Et di quanta importanza sia questo punto nella buona educatione, ce lo diede assai manifestamente ad intendere il Savio ne i suoi Proverbii, libro raccolto in gran parte per ammaestramento de i giovani, dove parlando con esso loro, come padre co’l figliuolo, il primo precetto, et ricordo che egli dia nel primo. è questo de i compagni, dicendo: Figliuol mio, se huomini peccatori, et di mala vita ti lusingaranno non acconsentire d’esser nel numero loro. Et per mostrare, che non è sceleratezza alcuna, nella quale finalmente il misero giovane non trabocchi, se una volta si lascia desviare da i mali consiglieri; percioche, come più volte s’è detto, dalle cose piccole si perviene alle massime, et gravissime, introduce che huomini scelerati, rubbatori, et assassini di strade, tentino di persuadere al misero giovane, che si accompagni con esso loro nelle rapine, et misfatti sopradetti, proponendogli con varie ragioni il guadagno facile, et grande, et che se lo partiranno [p. 160v modifica]in commune, come buoni compagni. Le quali ragioni il Savio, in persona loro, va spiegando leggiadra, et diffusamente; et soggiunge dipoi il suo salutifero consiglio con queste parole: Figliuol mio non caminar con loro, prohibisci, et volgi à dietro i tuoi piedi da i loro sentieri; percioche i piedi loro corrono à far male, et sono veloci per spargere il sangue: il che quanto sia vero, et come per la seduttione de i tristi siano desviati molti giovani, et come dalle impudicitie, et da i furti occulti si venga alle questioni, et à gli homicidii; et come finalmente fuggendo il publico castigo, si diano i miseri giovani alle strade, alle rapine, et à gli assassinii, incrudeliti, et accanniti più che fiere nel sangue de gli innocenti, quanto dico questo sia vero, ciascuno nel libro della esperienza cotidiana pur troppo apertamente lo legge.

Della utilità delle buone prattiche, et amicitie. Cap. LVI.

La medesima scrittura santa, la qual, come si disse di sopra, afferma che il pratticare con l’iniquo, et tristo è occasione di cadere nella istessa iniquità, et malitia; la medesima scrittura dico in più d’un luogo asserisce che per contrario, il conversare con l’huomo innocente, et santo è un mezzo molto efficace per disporre altrui allo acquisto della innocenza, et della santità. Onde diceva Salomone; Qui cum sapientibus graditur, sapiens erit. Chi camina con i savii sarà savio anchor egli; dandoci ad intendere , che tali diventiamo, quali sono quelli con i quali conversiamo famigliarmente. Et si suol dire, come per un proverbio, vuoi tu conoscere quale altrui sia, vedi con chi egli conversa. Et perche niuno è sufficiente à se medesimo, ma ciascuno ha bisogno et di amici, et di servitori, et di consiglio, et di aiuto de i prossimi, et famigliari, è giusta cosa che si procuri con ogni studio di havergli buoni, et timorati di Dio. Felice et avventurata casa è quella dove conversano, et ministrano i buoni, de i quali diceva David; Ambulans in via immaculata, hic mihi ministrabat, cioè, Io volevo servitori, et ministri la vita et conversatione de i quali fosse incolpata, et senza macchia. Onde leggiamo che Iddio per rispetto di Gioseppe quantunque schiavo in paese straniero, benedisse, et multiplicò le sustanze del padrone infidele. Felice la Città dove sono molti huomini veramente buoni, et temente Iddio, poco li conosce il mondo, et poco li stima nel tempo della prosperità, ma permette Iddio per giusto giuditio suo, che venghino calamità gravissime, et alla hora si conoscano i servi di Dio. La conservatione de i quali è tanto utile in una Città, che saria espediente andarli cercando per remotissimi paesi, [p. 161r modifica]spendendo per parlar in questa guisa ogni prezzo, et ogni gran tesoro per condurvegli; et per confirmatione di questo non occorre altro esempio che quello di Sodoma, et Gomorra, et delle altre infelici Città, dove se si fossero trovati solo dieci huomini giusti, non sariano state sommerse dall’horribile diluvio del fuoco. Felici finalmente sono, et benedette le amicitie che si fanno con i buoni, che hanno per fondamento la virtù, et non il vitio, et sono colligate dal vincolo della carità, et da un sincero amore, et non dallo interesse, ò da un breve, et caduco diletto; di questi dice il Savio; Lo amico fidele è una protettione forte, chi lo ritrova, ha trovato un tesoro; non è cosa che si possa paragonare all’amico fidele, et non ci è peso d’oro ne di argento, che sia degno d’essere agguagliato alla integrità della sua fede. L’amico fidele è come una medicina salutifera, et per la vita temporale, et per la eterna, et chi teme Iddio lo ritrovarà. Sino a qui sono parole del Savio, lequali ci dimostrano quanti beni, et temporali, et spirituali ci apporti un vero, et buon amico, con gli aiuti, con i conforti, et con i consigli salubri, et parimente ci insegnano, che una cosa tanto rara, et pretiosa è dono di Dio, ilquale concede questo singular benefitio à gli amici suoi, et à quelli che hanno il suo santo timore, et però molto sogliono ingannarsi gli huomini in questo particulare, persuadendosi di haver amici assai, et massime i ricchi, et non si accorgono che sono amici simulati, adulatori, che amano le mense, et le altre utilità che hanno di presente, ò sperano di poter havere, et sono amici del tempo lieto, et non stanno saldi nel tempo della tribulatione, si come nel luogo sudetto il Savio medesimo gli dipigne con i loro proprii colori.

Della conversatione del figliuolo di famiglia con gli amici paterni. Cap. LVII.

Hora di questi veri, et sinceri amici se alcuno ne haverà il nostro buon padre di famiglia, si come per la bontà, et diligenza sua senza dubbio ne doverà havere, procurarà di lasciarlo al figliuolo non altrimenti che una heredità. La onde operarà, che il figliuolo conosca et prenda amore dell’amico paterno, et goda tal volta della sua conversatione ricreandosi seco et allargandosi con alquanto più di libertà, che non conviene di fare co’l proprio padre, dallaqual cosa se ne cavaranno molti commodi, percioche intendendosi bene il padre di famiglia, con l’amico fidele, circa la educatione del figliuolo, occorrerà non di rado, che un consiglio, una correttione, et altre cose tali, verranno meglio fatte dallo amico che dall’istesso padre; quindi anchora avverrà che il giovane si curarà [p. 161v modifica]meno delle prattiche de’ suoi compagni, che se bene è vero, che il simile si diletta del suo simile, et per conseguenza i giovani de i giovani, nondimeno si truovano huomini non solo di mezzane età, ma anchor vecchi, che hanno una certa suavità, che attrahe mirabilmente etiandio i giovanetii; sanno i vecchi per lunga vita molte cose, molto han letto, molto ha veduto, molto hanno udito, et hanno gravità, et copia di dire, et raccontano le cose passate con una certa autorità che concilia attentione, et perche per natura si desidera sapere, et il giovanetto per la sua novella età sa poche cose, è necessario che habbia diletto d’ascoltare chi le racconta acconciamente, che alla fine conversando con i suoi compagni, et coetanei, un giovanetto poco altro ne riporta che un piacer superfitiale, che concilia quella similitudine della età, la dove dal colloquio d’un vecchio giuditioso, quale si descrive, ritornerà sempre con guadagno, havendo imparato hora qualche notabile historia, hora qualche cosa pertinente al governo della Città, hora qualche bel ricordo circa il viver commune, hora della cura famigliare, et altre cose tali, et se il vecchio sarà litterato, tanto maggior sarà la dilettatione, discorrendosi hora de gli studii della eloquenza, et delle lingue, hora di varie materie morali, et hora d’alcun passo difficile d’alcun grave scrittore, dal gusto dellequali cose allettato il giovanetto, massime bene educato et di bello ingegno, havrà gran satisfattione di ritrovarsi con simili vecchi, et io ho conosciuto tale che essendo giovanetto à studio molto più volentieri andava à trattenersi con un’huomo letterato, et eloquente, benche molto attempato, et quasi decrepito, che non faceva con altri giovani suoi eguali, ilche non è maraviglia, perche i piaceri dello intelletto come sono più nobili, sono anchora maggiori, et più attrattivi, et più dolci à chi non ha il palato dell’anima infetto de’ vitii, che prohibiscano il gustar il sapor loro. Ma sopra tutto si presuppone, che questo buono amico paterno, essendo egli giusto, et retto, et temente Iddio, debbia eshortar ad ogni buon proposito il giovane et confirmarlo nello amore della virtù, et della pietà christiana, si come anchora il padre medesimo ne lo deve pregare.

Della conversatione con i giovani eguali. Cap. LVIII.

Tuttavia non si può negare esser vero quello che di sopra si disse, che la simiglianza è dilettevole, et la gioventù è propensa à far amicitie, le quali cominciate ne gli anni più verdi, et continuando lungo [p. 162r modifica]tempo, si stringono maggiormente co’l nodo di varii offitii et di reciproco et scambievole amore, et sono le amicitie di questa sorte anchor più stabili et ferme, perilche non è da prohibire al nostro giovanetto lo haver conversatione con suoi coetanei, ma non con molti, ne con tutti indistintamente, che se bene nella prattica larga, et commune che si ha con i Cittadini, si deve esser affabile con ciascheduno, però una certa communicatione ristretta quale è quella della vera amicitia, in ogni tempo, ha da essere con pochi, si come anchor pochi sono i veri amici, ma nella giovanezza maggiormente, laquale età è meno atta à discernere le conditioni de gli huomini, et il vero amico dal falso. Adunque alcuni di quei medesimi giovanetti che nella pueritia saranno stati compagni del nostro figliuolo di famiglia, et già si havrà qualche esperienza di loro, che sono di buoni costumi, et caminano per le istesse vie del timor di Dio, et vivono anchor essi ritiratamente, et non con ogni sorte di compagnia, questi tali continuaranno anchora in questa, et nelle seguenti età, mentre non mutino stile, et forma di vita, à poter conversar co’l nostro giovanetto, et se alcun’altro ne verrà di novo, dalla cui amicitia si veda evidentemente che il nostro figliuolo possa ricevere giovamento, non è da vietargli il fare anchora delle amicitie nove, voglia però il padre di famiglia saper ogni cosa, et tocchi ben prima il fondo del guado, come si suol dire, et habbia molte buone conietture di poter permettere al figliuolo di conversar con questo, ò con quello, et nondimeno l’occhio paterno non perda mai di vista il figliuolo che camina per la via lubrica della adolescenza, et non lo lasci per quanto può allontanar molto dal suo lato, o di alcun’altra fidata persona. Vada in oltra osservando come il giovanetto conserva lo spirito, et il gusto delle cose spirituali, come ritiene la solita modestia, et riverenza verso il padre, se nel vestire, et cose tali dimostra vanità, et curiosità più dell’ordinario, et voglia conto particular di tutto quello che il giovanetto fa, mostrando quasi di farlo più per volernelo lodare, che per una certa rigorosa, et, per cosi dire, giuditiale interrogatione, ne meno entri il discreto padre in una troppa diffidenza, ne si adombri leggiermente, ne sgridi à tutte le hore il giovanetto, anzi mostri di haver buona opinione di lui dove chiaramente egli non fusse disubidiente, ma proceda però il savio padre in modo, che il figliuolo s’accorga, et sia certo, che gli occhi della diligenza paterna vegliano sopra di lui. [p. 162v modifica]

Della conditione de gli amici, et offitii dell’amicitia. Cap. LIX.

Per occasione di trattare delle buone, et male compagnie, et conversationi de’ giovani, consideratione molto necessaria alla nostra principal materia, come in parte si è dimostrato, ci siamo condotti dietro il filo del discorso, à ragionare dell’amicitia, come di cosa congiunta, percioche le compagnie etiandio quelle che accidentalmente si fanno, come ne i viaggi, et simili, sono spetie d’amicitia, et principio delle ferme et durabili amicitie. Hora il trattare dell’amicitia, è un campo cosi largo che à volerne parlare à pieno saria mestieri un lungo volume, ilche à me non si conviene di fare, non havendo havuto per fine di trasportare in questo libro tutta la materia de i costumi, et delle virtù, et de i vitii, dellaquale in ogni lingua è stato scritto abondantemente, ma solo di mostrare alcune vie principali, et dar certi ricordi al padre di famiglia di professione christiano, acciò secondo la medesima professione possa allevar i suoi figliuoli christianamente, et delle conversationi, et delle amicitie, in tanto si è ragionato, et si ragiona, in quanto possono aiutare, ò impedire questa intentione, et proponimento. La onde rimettendomi a i Filosofi Greci, et Latini, i quali molto perfettamente hanno trattato questo luogo dell’amicitia, dirò solo, che nella elettione de gli amici più congiunti, et ristretti, dico amici ristretti, perche secondo una congiuntione civile tutti debbiamo essere amici, et tanto più come christiani. Di tali amici adunque, et di quelle amicitie che tra pochi si fanno, il fondamento principale ha da essere l’honestà, et la virtù, et l’amore, et carità christiana, percioche le altre amicitie, che alla sola utilità, et al diletto s’appoggiano, non meritano assolutamente questo honorato nome, ma più presto sono una simiglianza della vera amicitia, et sono in quelle amicitie spesse volte molte querele et peccati et poco durano, ma il vero amico, ama principalmente l’amico per l’amico medesimo, et in ordine al vero, et perfetto bene, cioè à Dio, onde veramente ottima cosa è il buono amico, che non solo è sollecito de i nostri commodi temporali, ma molto più de gli eterni. Nel resto conciosia che l’amicitia è una egualità, per tanto dove più ragioni concorrono di eguaglianza, tanto più facilmente si fanno et tanto più felicemente si conservano le amicitie; onde dove è molta disparità di stato, et diversità di costumi, et di professioni, et altre tali disugualità, non si stringono amicitie, ò si dissolvono in breve. Ma quelle sono suavissime amicitie, dove i costumi sono simili, gli studii conformi, et i medesimi fini, et dove finalmente è uno istesso volere et disvolere. Quali poi [p. 163r modifica]debbiano essere gli offitii del vero amico, verso l’amico suo, quanta constanza in amarlo, non meno nelle adversità, che nelle prosperità, quanta prontezza in procurare ogni suo bene, come i piaceri e i dispiaceri siano communi, quanta debbia essere la communicatione delle cose proprie, come sia cosa gioconda lo spesso ritrovarsi insieme, quanta dimestichezza, et sicurtà convenga essere tra cari amici nel conferire le cose pertinenti à lo stato loro, quanta fede, quanta sincerità si richieda ne i consigli, di questi dico, et di mille altri giovevoli, et buoni effetti, che nascono da vera virtù, et da perfetto amore, non devo parlare più lungamente, perche la carità christiana ne instruirà à bastanza il nostro virtuoso figliuolo. Et se il Salvatore ci ha commandato che amiamo ogni prossimo come noi medesimi, che dovremo dir dello amico? di cui anchora i Filosofi hanno detto, che l’amico è un’altro me stesso, oltra che il buon padre di famiglia non solo con i ricordi, ma con l’esempio proprio, mostrarà in fatti al figliuolo come si fanno, et con quali offitii si conservano, et di quanto fruttto sono, et quanta suavità ci apportano in ogni tempo, le vere et christiane amicitie.

Del fuggir la vita otiosa, et scioperata. Cap. LX.

Hora ritornando là onde ci siamo partiti, la nostra materia era parlar de i pericoli della giovanezza, sotto il qual nome comprendo quella che i Latini chiamano adolescenza. et acciò la fabrica della buona education christiana, tirata con la divina gratia molto avanti, non ruini queste età giovanili, anzi cresca di bene in meglio, sino alla sua perfettione, si è ricordato la continuazione de i buoni esercitii christiani, il mantenimento et perseveranza cosi della autorità, come della vigilanza paterna, il fuggire il dannosissimo commertio, et la contagione de i mali compagni, et per contrario si è mostrato il camino, di haver delle buone conversationi et amicitie, acciò il nostro guiovanetto non resti privo di quel piacere, che per natura si desidera dall’huomo et che usato prudentemente può arrecare non mediocre utilità. Hora continuando tuttavia à removere gli impedimenti, che attraversano il corso delle virtù, dico che uno de i maggiori inimici de i giovani, è l’otio, di che si parlò qualche cosa in altra parte, discorrendo de i rimedii contra il vitio della lussuria, et un’altra volta parlando della cura famigliare, ma in questo luogo di necessità si torna à detestare l’otio, più in generale, come esca et fomento di tutti i vitii, et di tutti i mali. Dice la scrittura santa che l’otio è il maestro del peccare, et che l’otioso è pieno di desiderii, cioè di appetiti, et [p. 163v modifica]cupidità inhoneste; et cosi l’esperienza ci dimostra giornalmente che questa maniera d’huomini scioperati, sono come la sentina delle Città, et di loro non si cava commodo alcuno, come quelli che non vogliono far nulla, onde i più poveri più presto che lavorare, si recano à mendicare, quantunque siano validi, et vanno vagabondi per varii paesi, i quali è offitio publico di castigare secondo l’autorità delle leggi civili, altri dissipano i loro piccoli patrimonii ne i giuochi, et su per le taverne, et in mille impudicitie, et non havendo come supplire à bastanza del loro proprio, insidiano non solo all’honore, ma all’havere de gli altri. Questo appunto è il seminario de gli huomini rissosi, inquieti, seditiosi, nemici d’ogni buon ordine et disciplina publica, et finalmente nella schiera de gli otiosi et scioperati si raccoglie tutta la feccia di coloro, che non hanno altro negotio che corrompere la gioventù, et esser ministri et impulsori di mille maniere di vitii, et peccati, alla licenza de’ quali è necessario che la potestà de i magistrati metta qualche freno, poi che si vede che questa gramigna abbonda troppo in ogni parte; et piaccia à Dio che i padri naturali, et i padri politichi, pensino una volta da dovero à rimediarvi à buon’hora, atteso che quando il vitio è profondato, non ci basta ne ferro, ne fuoco per diradicarlo. Hor quanto poi tocca à quelli che sono nati nobilmente et sono ricchi, se bene di loro non si deve leggiermente credere, che faccino cose tanto indegne della nobiltà loro, come quegli altri, de i quali habbiamo parlato, nondimeno è pur cosa disdicevole veder un gentil’huomo dotato da Dio, et dalla natura di molti beni, viver otiosamente et non pensar ad altro che à vestir riccamente, mangiar delicatamente, et consumar tutti i giorni in festeggiare, e in piaceri del senso, come se l’huomo fosse nato solo per mangiare, à guisa d’un bruto, et non per operar virtuosamente, et giovar à gli altri, si come il lume naturale, et molto più il lume sopranaturale della fede ci insegna, et per certo è cosa molto difficile, per non dir impossibile che vivendo una vita tutta sensuale, et voluttuosa, si possa pervenire à quella gloria, et à quella corona della quale è scritto: Non sarà coronato se non colui, ilquale havrà combattuto legitimamente. Ma lasciando questo per hora da parte, mi volgo al nostro padre di famiglia et à lui ricordo quale egli si sia ò di basso, ò di mediocre, ò di alto stato, che non permetta in modo alcuno che i suoi figliuoli vivano vita otiosa. Non è in tutta la natura cosa alcuna otiosa, i Cieli, il Sole, gli elementi, et tutte le creature sono in continuo moto, tutte le membra del corpo nostro fanno le lor operationi, et quelle parti maggiormente sono operose che meno appariscono. L’huomo dice la divina scrittura, nasce alla fatica si come l’uccello [p. 164r modifica]al volo, la onde non merita nome d’huomo colui il qual non vuol faticare, et non è giusto, che goda delle fatiche altrui, le quali egli non vuol sollevare in parte alcuna, per il che san Paolo dicea, chi non s’affatica non mangi. Però il buon padre deliberi hora che l’età del figliuolo ne lo ammonisce di applicarlo à qualche honesto stato di vivere, co’l quale possa honestamente sostentarsi, et vivendo nel grado suo, come huomo da bene et come buon christiano, aiuti la patria, alla quale tutti come à madre commune siamo debitori, et insieme negotiando fidelmente il suo talento, sia admesso dal supremo padrone alla partecipatione de gli eterni gaudii.

Della custodia delle figliuole femine et come devono fuggir l’otio. Cap. LXI.

Prima che io entri à ragionare alquanto più in particulare della elettione di varii stati, di vita lodevole, et christiani, mi par à proposito dir qualche cosa della custodia delle figliuole femine, et come anchor esse debbiano fuggir l’otio, non meno che i maschi. Et ben che sia vero che gli avvertimenti che si danno per i figliuoli hanno ad intendersi proportionatamente anchora delle figliuole, si come più d’una volta si è ricordato, nondimeno io mi muovo non senza cagione, si come à me pare, à darne in spetie qualche avviso. Et prima quanto alla custodia della castità loro si appertiene, mi movo per due ragioni principali, l’una perche il candor della pudicitia nelle donne, è cosa di troppa importanza, et per molti rispetti humani, tira seco più gravi, et più dannose conseguenze, che ne gli huomini istessi, et ogni suspitione, ogni neo nella fama loro, è di grandissimo pregiuditio; la seconda ragione è, perche havendo parlato assai di sopra del pericolo delle male prattiche, altrui non si persuadesse, non doversi prender cura, ne sollecitudine alcuna delle figliuole femine, lequali per ordinario non conversano fuori di casa, prima che siano maritate, ne anco all’hora, se non di rado. Nel secondo luogo per quello che tocca al fuggir l’otio, et all’occuparsi bene, mi è parso ricordarlo separatamente; percioche gli esercitii et le varie occupationi, et maniere di vivere, delle quali si dirà più à basso, sono per il più proprie de gli huomini, et non accommodate al sesso feminile. Dico adunque che il padre et la madre di famiglia hanno à ricordarsi sempre quel detto del savio, delquale hò fatto mentione in un’altro luogo, ilqual dice cosi: Hai tu figliuole? custodisci il corpo loro, et parlando propriamente co’l padre, soggiunse, et non mostrar loro il viso allegro, et la cagione di questo detto del savio [p. 164v modifica]può essere doppia, primamente acciò per la indulgenza del padre, la figliuola non divenghi troppo ardita, et baldanzosa, et si assicuri di far alcune cose, lequali per il timor paterno non havria ardir di fare; secondariamente acciò le carezze del padre, non avvezzino la figliuola ad una certa dimestichezza verso gli huomini, per la quale perda à poco à poco quella verecundia, che è à guisa d’un riparo della honestà muliebre; adunque l’intentione del sapiente non è di persuadere al padre una certa rigidezza, et che sia di continuo co’l viso cruccioso verso la figliuola, ma che ritenga la sua gravità, et non scuopra una certa tenerezza d’amore, pericolosa particularmente alle figliuole per i rispetti che detto habbiamo. Avverta anchora la prudente madre di famiglia, che donne non conosciute non parlino alla figliuola, sotto pretesto del filato, et di lavori, et altre cose tali, ma sia la madre istessa quella che le espedisca, percioche molte sono le astutie di Satana, et in cosa tanto importante, è lecito essere alquanto sospettoso, etiandio de i famigliari, et de i vicini, non per far giuditio temerario, ne per condannare alcuno, ma per osservare quella cautela, che à i superiori si appertiene, sapendo quanto sia la simplicità, et fragilità di quel sesso, et quante ne siano state ingannate da gli astuti insidiatori, sotto l’honesto et santo nome del matrimonio, ilquale à i nostri tempi dopo i decreti del sacro Concilio Tridentino non hà più luogo alcuno, et non è vero matrimonio, ma abominevole corruttione, quando si fà occultamente et senza le debite solennità, si come si è detto nel suo proprio luogo. In oltra vada osservando la savia madre se la figliuola persevera, ò se pure è meno assidua ne gli esercitii sprirituali, se è vaga di adornarsi più che la solita modestia non comporta, et destramente vada chiudendo i passi à i pericoli che possono succedere; non sia lecito alla zitella costumata, andar à tutte le finestre, ne affacciarsi quando à lei piace, ne veder ogni cosa, che si fà per la strade, che il porsi le semplici verginelle scopertamente in veduta della gioventù piena di fuoco di lussuria, et render il saluto, come forse si usa in alcuni luoghi, è abuso cosi grave, che à me non par degno doversene pur parlare, benche alcuni sotto la medesima speranza del matrimonio, vanno escusando questi poco honesti amori. Appresso non è prudente, ne lodevole usanza il menar le zitelle alle feste, ne à i spettacoli, et per i corsi, dove i giovani licentiosi vanno vagheggiando. Et perche le confessioni, et divini offitii à suoi debiti tempi non si hanno à lasciare, ricordo che si vada à quelle Chiese dove si osserva maggior disciplina, et riverenza, et sotto buona custodia de gli occhi materni, allontanandosi da casa il meno che si può, et ritornando il più presto che si può. Non senza cagione per avvertimento nostro [p. 165r modifica]ha voluto lo Spirito santo che nelle divine scritture sia registrata l’historia di Dina figliuola di Giacob, laquale essendo in Città forestiera, co’l padre et con i fratelli, dice il testo, che uscì fuori di casa per veder le donne di quel paese et havendola per caso rincontrata il figliuolo del Principe di quella Terra, restò preso dall’amor di lei, et la rapì, et per forza la violò, onde seguirono poi gravi inconvenienti; dando instruttione à tutte le donne, ma spetialmente alle vergini da marito, quale Dina era, di non andare vagando, et non voler vedere molte cose curiosamente, per che il demonio hà teso le sue reti, dove altri non pensa.

Ma sopra tutto la valente madre di famiglia tenga le sue figliuole bene occupate, et lontane dall’otio, maestro come tante volte s’è detto di molti peccati. Et non perche siano nate di padre nobile, et ricco, hanno à sdegnarsi dell’aco, et del fuso, et de gli altri esercitii convenienti à quel sesso, si come non si sdegnavano le donne Romane nobilissime, et nelle sacre lettere, di questo sono lodate le donne nobili, et virtuose, come si toccò di sopra. Et quella che di eccellenza et virtù avanzava gli angeli, non che le donne, Maria madre di Dio, trattò stando in terra gli artifitii donneschi, per tacere di Anna madre di Samuele, et altre molte. Lavorino adunque le nobili zitelle, rallegrinsi di vestire con le mani loro i padri, et i fratelli, imparino à saper custodir la roba, prendano cura della education santa de i piccolini fratelli, ò sorelle, in somma non si permetta loro, ne di occuparsi in cose vane, ne di stare in otio, percioche l’otio è nimico et dell’animo, et del corpo. Havevano i Lacedemoni per costume di far fare alle vergini esercitii di corpo gagliardi, riputando che in questa maniera, quando poi fossero maritate, sariano i parti loro più robusti, et partoriano con minor dolore; et quantunque noi non debbiamo approvare, che le femine facciano cosa di movimento troppo violento, et virile, indecente alla modestia loro, non si può però negare esser vero che la vita troppo languida, et otiosa, fà nocumento al vigor del corpo et alla procreatione de i figliuioli. Concludo che il padre, et madre di famiglia, tengano le figliuole proprie con buona custodia, et più presto si facciano temere che altrimenti, perche il sesso feminino è lubrico, et leggiero naturalmente et quella età è poco considerata; et nel resto è da sperare che la buona educatione precedente et il timor di Dio, et il santo esempio della madre, conservaranno la nostra figliuola di famiglia tale, che vivendo santamente nella casa paterna, possa poi esser degna et felice madre di molti buoni figliuoli e figliuole, che à gloria di Dio doveranno educarsi da lei, con la medesima forma di casta, et christiana educatione. [p. 165v modifica]

Della necessità che si hà de gli agricoltori, et artefici. Cap. LXII.

Si è detto di sopra, che la Città è à guisa d’un corpo, composto di varie membra più et meno nobili, et ciascuno fa l’offitio suo pacificamente senza scisma ne dissensione alcuna, periclhe il corpo si mantiene in vita, et fa le sue operationi, bene et felicemente. Non altrimenti per conservatione della Città, sono necessarii non solo magistrati, et ministri del governo publico, ma anchora gli agricultori, et i pastori d’armenti, et di greggie, et pescatori et altri simili, che preparino per loro stessi et per tutti gli altri Cittadini, parte de i frutti della terra, parte de gli animali, varie sorti di cibi, et di nutrimenti, senza i quali non si può vivere; oltra che la cura de gli animali etiandio per altri rispetti fà di bisogno, cioè per il vestire, et per molti aiuti della vita humana; sono parimente necessarii gli artefici di molte maniere d’arti, altre dellequali fabricano gli instrumenti dell’altre arti, altre formano le vesti, altre edificano le case, altre i cibi dati da gli agricultori, et pastori acconciano più da vicino per l’uso dell’huomo, altre finalmente fanno altri offitii che saria cosa lunghissima à dire et non necessaria al nostro proposito, tanto basta che le arti che si chiamano mechaniche sono necessarie per poter vivere naturalmente et civilmente, et per difenderci dalle ingiurie, et del Cielo, et delle fiere et de gli huomini anchora, che sono violenti, et hanno del bestiale. Hor se cosi è, egli è anco vero, esser necessario, che i padri di famiglia somministrino alla Città huomini atti à questi esercitii, quantunque siano reputati bassi, et vili, poiche nel grado loro, hanno à concorrere alla conservatione et mantenimento della Città, non meno di quelli che si stimano nobili, et communemente sono esercitati da persone di più alto stato.

Che i poveri non devono attristarsi della loro conditione. Cap. LXIII.

Per tanto devono i poveri contentarsi della conditione loro, et non havere invidia à i ricchi, percioche come dice San Gregorio Nazianzeno Dottor gravissimo, et altri padri, à chi bene vuol considerare, megliore nelle cose di questa vita è la conditione de i poveri, che de i ricchi, imperoche delle cose più eccellenti della natura, come della luce del Sole, della respiratione, et salubrità dell’aria, della vita, della sanità, della robustezza, et altre cose tali godono non meno, anzi molto più i poveri, che i ricchi; ma quello che più importa, i doni celesti della gratia di [p. 166r modifica]Dio, appresso alquale non ci è accettatione di persone, sono communi à tutti, ne altrimenti è battezzato il ricco, che il povero, ne meno è adottato da Dio per suo figliuolo, et herede del paradiso, il povero, che il ricco, anzi dicono i santi, che la povertà è un istrumento commodissimo per acquistar le virtù, et per conseguenza la eterna beatitudine. Adunque consolinsi i poveri, et pensino, che Iddio con somma sapienza ha voluto nelle sue creature ragionevoli, questa tanta varietà che noi vediamo di ricchi et di poveri, di litterati et di idioti, di più robusti, secondo il corpo, et meno acuti nello intelletto, et altri per contrario, acciò queste, et altre diversità fossero come tanti vincoli d’amore, che strettamente ci ligassero insieme, etiandio naturalmente parlando, mentre vediamo che niuno è sufficiente per se medesimo, ma ciascuno ha bisogno dello aiuto de gli altri. È vero che i poveri fanno di molte fatiche, ma non si diano ad intendere, che quelle de i nobili et ricchi siano minori, a i quali appertiene conservar la pace publica, mantener la giustitia, difendere i poveri che non siano oppressi da i più potenti, aiutargli con danari, et dar loro occasione et materia di poter esercitar gli artifitii loro et adoprar le forze del corpo per guadagnare il vivere, benefitii senza dubbio grandissimi de i ricchi verso i poveri, de iquali i poveri devono essere grati, et ricordevoli, rendendo amore, et osservanza, et fideltà à i ricchi, et buona cura, et diligenza nella cultura de i campi, et nella custodia delle cose loro. Così come all’incontro i ricchi devono tener protettione de i poveri, et havergli in luogo di figliuoli, tanto più per debito della carità christiana, poi che tutti siamo una cosa in Christo, et è ben giusto che apparisca à gli effetti che siamo membra insieme, et come il piede porta il capo, cosi il capo regge il piede, et si abbassa per dargli rimedio, quando è infermo. La onde molta riprensione meritano alcuni giovani discoli della Città, che con burle, et scherni contristano i poveri, et semplici huomini di contado, che ci danno tanto prontamente il lor sudore, et le continue fatiche.

Della cura paterna circa il fare apprendere da i figliuoli le arti mecaniche. Cap. LXIV.

Pervenuto il fanciullo poveramente nato, à età di poter tanto quanto affaticare, non havrà da stare in otio, ma conforme all’antica sentenza, si disporrà à mangiar il pan suo, nel sudore del volto suo, però secondo la conditione del povero padre, et secondo la robustezza del corpo et la sua maggior inclinatione, doverà essere impiegato in qualche arte, ò [p. 166v modifica]sia di quelle, che fuori nella coltura de i campi, et altre cose della villa si travagliano, ò pur sia delle arti mecaniche, che ordinariamente si esercitano nella Città, lequali havendo bisogno di più studio per apprenderle, sarà obligo del padre non tardar troppo à mandarvi il figliuolo, et far elettione di buon maestro, et per buono intendo non solo perito di quell’arte, ma di buoni costumi, et di buona fama, nella cui bottega conversando il figliuolo di famiglia non impari a bestemmiare et non cada in altri gravi peccati, ma conservi intera la paterna educatione christiana, perilche quando commodamente si possa, crederei essere espediente che il giovanetto ritornasse la sera dall’opera, alla casa propria, fuggendo per questa via molti pericoli, et havendo più spesso occasione di sentire i ricordi del padre. A cui si appertiene di ammonire spesse volte il figliuolo à temere Iddio, et far la sua voluntà et guardarsi di non offenderlo, sapendo certo che in ogni stato, et in qual si voglia esercitio, benche vilissimo, pur che non contradichi alla legge christiana, et che giustamente si eserciti, si può piacere à Dio; però lo eshorti principalmente à due cose, l’una che non intermetta mai i buoni esercitii christiani, cioè di far alquanto di oratione la mattina, dedicando à Dio quella giornata, et tutte le sue fatiche, et chiedendo aiuto dal padre di tutte le gratie, per ogni bisogno suo, cosi spirituale, come corporale, et che fra giorno spesse volte con un sospiro, con una elevatione di mente si ricordi di Dio; habbia in particular divotione la Beatissima madre di Dio, et alcun Santo, come suo spetiale avvocato, et sopra tutto dispensi christianamente il giorno della festa, riducendosi spesso al padre spirituale, et restringendosi con qualche buona compagnia, secondo il suo consiglio; et in somma non tralasciando, nè ritornando à dietro da quella forma di vivere, che si presuppone ch’egli havrà osservata nella sua pueritia, si come di sopra à i suoi luoghi lungamente se n’è ragionato. La seconda cosa della quale il padre deve molto spesso avvertire il figliuolo si è, che faccia l’arte, et l’esercitio suo fidelmente, et senza fraude, et non habbia invidia à coloro, i quali con mali modi guadagnano; percioche provocano Dio à sdegno, il quale benche alcun tempo dissimuli aspettandoci à penitenza, non lasciarà al fine i peccati senza castigo, non solo nell’altra vita, che di questo non ci ha dubbio; ma bene spesso nella vita presente, perdendo il misero artegiano in un punto, quello che in molti anni stentatamente haveva acquistato; la dove uno artefice conosciuto per huomo da bene nell’arte sua è amato da tutti i buoni, et molti più si servono dell’opera sua, et Iddio gli benedice ogni cosa, come di sopra ad altro proposito mi ricorda haver detto, et se [p. 167r modifica]l’artegiano non sarà taverniere, nè giocatore, nè per altre vie otiose dissiparà i suoi piccoli honesti guadagni, havrà senza dubbio bastantemente da potersi sostentare. Ma quello che più importa finita questa breve peregrinatione, al capo della giornata havrà parte nel regno di Dio. Et però ben diceva il santo Tobia confortando il figliuolo: Figliuol mio lo stato nostro è povero, et poveramente viviamo; ma sta di buon animo, et sappi che se temeremo Iddio, havremo molti beni.

Della mercatura. Cap. LXV.

Ha la mercatura i suoi principii nella natura istessa, conciosia che delle cose che sono necessarie al sostentamento della vita de gli huomini, non tutte le Città sono dalla natura proviste à bastanza, ma di alcune cose hanno nel paese proprio maggior copia del bisogno, et di altre mancano, onde da principio nacque la permutatione cambiandosi l’una cosa con l’altra et sollevando gli huomini scambievolmente con la copia, la inopia gli uni de gli altri, benche dapoi per maggior commodità fu ritrovato il danaro, come misura commune et più certa del valore di ciascuna cosa; per tanto sono necessarii nella Republica i mercanti, che portino fuori le merci delle quali il paese abonda, et procaccino da altre parti quelle delle quali ci è mancamento. Ci è poi un’altra maniera di mercatura meno naturale, et più artifitiosa, che consiste nel trafficare l’istesso danaro, et multiplicarlo con cambii, et varii modi, de i quali non ci appertiene di parlare sottilmente. Ma cosi come si è ricordato all’artegiano di vivere in modo che non pregiudichi alla legge di Dio, ne al fine della sua salute, che deve andare avanti à tutti i rispetti, cosi parimente, et molto più si ricorda al mercante, dico molto più perche le occasioni di prevaricare sono maggiori, et non pare che si voglia metter fine, ne termine alcuno allo acquisto dela pecunia, dal quale presupposito di arricchire senza fine, è necessario che seguano infiniti inconvenienti. Sia adunque il mercante istrumento utile della sua Republica, si contenti de gli honesti guadagni, non converta in publica calamità, quello che deve essere sollevamento publico, mentre fa monopolii, mentre procura le carestie, et vende a prezzi immoderati, et merci mal conditionate, et fa altre cose tali, non come agiutore, ma come depredatore de suoi Cittadini, succhiando il sangue de i poveri con varii modi, il pessimo de i quali è l’usura, come altrove s’è detto. Guai à i ricchi mercanti illecitamente arricchiti, guai à i cambiatori secchi, et aridi d’ogni humore di carità, i quali per [p. 167v modifica]l’oro corruttibile, hanno cambiata l’anima loro co’l diavolo, contra quello che il Salvator dice; Qual cambio farà l’huomo per l’anima sua? guai à gli inventori di artifitiosi, et palliati contratti, per i quali si cuoprono le mal coperte usure, scopertissime à gli occhi di Dio. Voglio far fine, havendo forse troppo esclamato, concludo esser lecito al padre i famiglia, applicar il figliuolo alla mercatura, avverta però bene di ammaestrarlo in modo che egli intenda, et sia persuaso, che la prima mercantia del christiano è mercantare il Cielo, et l’oro della carità, delquale Iddio stesso dice: Io ti ammonisco che tu compri da me, l’oro infocato, acciò tu sia veramente ricco.

Della professione delle scienze, et facultà. Cap. LXVI.

Il fine del presente ragionamento, ilquale ne i capi precedenti habbiamo incominciato, et tuttavia si va tessendo, è di occupare il nostro figliuolo di famiglia, già divenuto di età habile à questo, in qualche honesto, et lodevole esercitio, proportionato alla conditione sua, alla dispositione del corpo, et à quella dello intelletto anchora, et questa consideratione si fa per due rispetti principali, l’uno per fuggir nel tempo maggior pericolo, l’otio pernitiosissimo à i giovani, l’altro acciò il nostro medesimo figliuolo habbia in tutta la vita esercitio, et professione, con laquale possa sostentar se stesso, et la sua famigliuola, et vivere honoratamente tra suoi Cittadini, non come scioperato, et disutile, ma come operoso, et profittevole per la parte sua alla communità, et questo viene à essere il terzo rispetto non meno principale, percioche à i padri di famiglia si appertiene proveder alla Città di operarii, et di ministri per supplire à varii bisogni, acciò il corpo di questa cittadinanza si conservi intero, non tronco, nE difettuoso di parte alcuna necessaria. Hora havendo sino à qui parlato de gli agricoltori, de gli artefici, et de i mercanti, mi par tempo di ragionar anchora alquanto della professione delle lettere, il che non è fare la istessa cosa, che si fece di sopra, quando si parlò de i maestri di scuola, ne dire il medesimo due volte; però che lasciando da parte, che di sopra si trattò solamente delle schuole private, dove si apprende la Grammatica, et la Retorica, et la cognitione delle lingue, la dove hora si entra à dire propriamente delle scienze et facultà, che si apprendono ne gli studii publici, ma altra di questo diciamo, che alcuni danno opera alle lettere, solo per amor della cognitione, et per uno ornamento di loro stessi, et per privata vanità, et altri fini simiglianti, et però per ordinario si contentano di far in esse mediocre progresso; altri aspirano alla perfettione, et à diventar maestri, et [p. 168r modifica]à farne aperta professione per benefitio commune di tutti che ne haveranno bisogno, perilche con publica autorità, et con riti solenni si dà loro grado, et titolo di esercitar alcuna professione, et sono chiamati Dottori. Et perche in questa parte anchora mi occorre dare alcun ricordo al nostro padre di famiglia, per tanto non sia chi prenda maraviglia, se alquanto mi trattengo in questa consideratione.

Come alcuni poveri giovanetti ingeniosi dovriano essere aiutati. Cap. LXVII.

Se bene di sopra habbiamo detto che i padri poveri, devono applicare i figliuoli loro alle arti manuali, contentandosi della cognitione delle prime lettere, ò d’una sola tintura della Grammatica, sì perche i padri non hanno il modo di far la spesa per tirargli avanti nelle scienze, sì perche si presuppone, che i medesimi figliuoli siano più gagliardi del corpo, che acuti d’intelletto, et per conseguenza più idonei alle fatiche corporali, che à quelle della mente, nondimeno quello che si disse di sopra non è da intendere così indistintamente, ma con qualche limitatione, conciosia che si vede per esperienza non di rado, di luogo molto basso surgere, à guisa d’un fiore da terreno arido, alcuno ingegno pellegrino, dotato dalla natura di gratie straordinarie, onde si comprende, che se fosse cultivato con la disciplina, saria per fare mirabile riuscita. Per tanto deve il padre di famiglia andar considerato, havendo prima per lungo tempo osservato la natura, et gli andamenti del fanciullo. Et cosi come nelle istesse arti mecaniche, potrà essere che il putto habbia naturale inclinatione ad alcuna più nobile, onde non si deve inconsideratamente condurlo al primo artifice che venga tra piedi, cosi parimente dove si scorga nel fanciullo eccellenza d’ingegno, et habilità notabile alle lettere, non è da abbandonarlo per quanto si può, ne à sepelire la gioia nel fango. Et non sarà difficile etiandio al padre idiota far coniettura di quanto si dice, conciosia che uno ingegno vivace manda fuori certe faville, che danno ad intendere, dove più la natura lo chiami. Sogliono questi tali, essendo piccoli fanciulli, andar più volentieri à la scuola, apprendere velocemente quanto si insegna loro, amano i libri, vorriano sempre studiare, stanno attenti quando qualche persona dotta ragiona, imitando con gratia i predicatori, et maestri, et vogliono scrivere, et componere, et per contrario non amano li artifitii vili, et con altri tali [p. 168v modifica]segni si manifestano à buon conoscitore, et quello che il padre non vedrà per se stesso, lo vedrà il maestro della scuola, et alcuno amico intendente, et caritativo, co’l consiglio de i quali farà deliberatione della maniera di impiegare il figliuolo più à questa, che à quella professione, atteso che qui non parliamo se non d’ingegno eccellente. Nè deve spaventare il padre la sua povertà, ma sperare in Dio, et andarsi anchora aiutando quanto si può. Sono à nostri tempi restituiti gli antichi Seminarii de’ Clerici, dove per la sola carità si allevano Clerici figliuoli di poveri, et si ammaestrano nelle lettere, benche non in ogni maniera di lettere; basta però che facilmente potrà avvenire, che il fanciullo habbia animo di esser Clerico, et da questi principii, quali nel Seminario può conseguire, proceda, ò con altra occasione, ò con la propria industria à maggiori effetti. Vi sono anchora in alcune Città di studio Collegii instituiti da huomini veramente degni di lode à questo fine, per che poveri giovani habbiano senza dispendio commodità di studiare, un certo determinato numero d’anni. Si potrà tal volta collocare il giovane, già bene introdotto nelle lettere, che si chiamano d’humanità, appresso qualche gentil’huomo ricco, per maestro de suoi figliuoli, dove conosciuta non meno la sua bontà, che l’ingegno, potrà per ventura succedere che il padre di famiglia, lo mandi in loro compagnia à studio. Et con questi et altri simili modi sollevato da un nobile spirito si allevarà per la patria uno utilissimo Cittadino, che essendo abandonato del tutto, forse volgeria la bellezza dell’ingegno à fare male, ò pure posto in basso esercitio apportaria al publico piccolo et non considerabile servitio.

Delli studii publici, et loro pericoli. Cap. LXVIII.

L’uso de gli studii publici in alcune nobili, et principali Città, dove à spese del Principe, ò della Republica si conducono huomini di eccellente dottrina in ogni facultà, per insegnar la gioventù che da ogni parte vi concorre, è antichissimo, e i sommi Pontefici, e gli Imperatori hanno sempre molto prontamente favorito questo nobilissimo instituto, privilegiando amplamente le Città, dove questi studii sono, che altrimenti alcuni chiamano Università, et anco i professori et gli istessi scolari, come si vede in molti decreti, et leggi. Et certo niuna cosa è più lodevole, ne più degna della magnificenza Regia, che allevarà molti huomini virtuosi, et litterati in ogni professione, et si potrebbe non senza ragione affermare, che gli studii, et Academie universali, sono una maniera di educatione publica della gioventù, se però vi si usasse tutta quella cura, et diligenza che [p. 169r modifica]saria conveniente, circa i costumi de i giovani, ma non so per qual disventura di questo nostro calamitoso secolo, poco si pensa à questa parte, al meno in Italia, dove per altro sono di molti, et honorati studii, anzi par quasi, che lo studio sia un luogo di libertà, et non si convenga più ritenere quella modestia che nelle scuole private, et nelle case paterne si osservava, talche li scolari per il più vivono, et vestono à guisa di soldati, con grande licenza, et molti studiano pochissimo, et si danno à far prattiche per i loro Dottori, et per altre concorrenze, et vi nascono molto spesso risse, et questioni fra loro, et nelle istesse scuole poco si ha riguardo all’autorità del maestro, et non di rado pochi discoli inquietano tutto l’auditorio con gridi, et con strepiti. Et ben che molti si ridano di questa licenza giovanile, anzi per ventura la approvino, et la reputino necessaria, come per una purgatione per dir così, et uno sfogamento del caldo, et dell’impeto di quell’età, tuttavia non hà dubbio alcuno, et l’esperienza cotidiana lo dimostra, che per la porta della libertà si passa à molti peccati, et chi può dubitare che trovandosi molti giovani congregati insieme, co’l sangue bogliente, con le occasioni pronte, lontani da i padri, et da i custodi, invitati dalla compagnia d’altri, et dalla licenza, et impunità, commetteranno ogni maniera di vitio, et di dissolutione? perilche molti ritornano dallo studio alla patria più dotti, et più svegliati, et più astuti, ma manco buoni, gonfi di ambitione, et di estimatione di loro medesimi senza timor di Dio, et spetialmente infangati nella carne. Scrive il glorioso santo Agostino nelle sue confessioni, lequali già molte volte ci hanno somministrato utili ammaestramenti, per la nostra materia, che il padre suo desideroso che il figliuolo facesse gran progresso nella eloquenza, professione à quei tempi grandemente stimata, lo mandò lontano dalla patria, et con spesa maggiore che la sua conditione non comportava, à Cartagine Città principale dell’Africa, dove gli studii fiorivano, et si lamenta il buon santo, che il padre suo non curava, ne si prendeva sollicitudine quale il figliuolo crescesse per servitio di Dio, ne quanto casto fosse per essere, pur che fosse dotto et eloquente. Pervenuto adunque in Cartagine, libero da ogni custodia, andava cercando egli stesso come potesse essere invischiato da gli impudichi amori, il che assai presto gli riuscì, restando immerso nella voragine infernale della libidine. In oltre restò sopramodo preso da gli spettacoli che ne i theatri si facevano, pieni, come egli dice, di imagini, et simiglianze delle sue miserie, et di fomento del suo fuoco; narra anchora come andava osservando le frodi litigiose, et cavillose del foro, et come già era nominato nelle schuole della Retorica, nella quale gonfiato già di vento di superbia, desiderava essere [p. 169v modifica]eccellente per fine dannabile, della alterezza et vanità humana, dal qual gonfiamento seguitò poi, che ponendosi à leggere le scritture sante, le disprezzò, come cosa bassa et indegna di stare à paragone con la grandezza del dire Tulliano, si come à lui, che non haveva anchor gli occhi de lo spirito, all’hora parea, ma quello che fù più grave, et pernitioso, stando à studio in questa dispositione, s’intoppò in alcuni huomini i quali egli descrive molto bene, superbamente frenetici, carnali, et loquaci, nella bocca de i quali erano i lacci del diavolo, et un vischio fatto et composto di parole dolci, et sante, et pietose in apparenza, havendo sempre Christo in bocca, et verità, ingannando i simplici con questi modi. Questi furono i Manichei heretici pessimi, da i lacci de i quali il buono Agostino restò lungamente preso, sino à tanto che piacque à Dio farlo, come un’altro Paolo, di persecutore, difensore fortissimo della sua Chiesa. Tali adunque sono i frutti, che sotto pretesto di eruditione la misera gioventù, spesse volte raccoglie, dalla peregrinatione delle grandi Città et famosi studii, mentre à guisa di polledri fuggiti frescamente di sotto la mano del domatore, vanno i poveri giovani licentiosamente vagando, dove l’appetito sensuale, et il torrente della mala consuetudine di loro compagni li trasporta.

Della cura publica circa la disciplina de gli studii generali. Cap. LXIX.

Temo di parere forse pù ardito, che à me non si conviene, s’io ricordo à coloro che hanno potestà, et reggimento publico, à pensare di alcun rimedio opportuno, per rifrenar la troppa licenza scolaresca in alcuni studii. Certo vi pensarono gli antichi Imperatori, percioche questo non è mal novo, essendo la giovanezza la medesima sempre, se da buona disciplina non è regolata. Narra santo Agostino nel quinto libro delle sue confessioni molto copiosamente la impudenza et sfrenata audacia de gli scholari nello studio di Cartagine, dove egli già divenuto maestro leggeva publicamente, et scrive che facevano cose ingiuriose con grande sfacciataggine degne d’esser castigate dalla severità delle leggi, se non che la mala consuetudine era avvocata, et difensora della licenza; per il che Agostino deliberò partirsi di là et venir à Roma, dove intendeva che i giovani studiavano più quietamente, essendo tenuti a freno con migliore, et più ordinata disciplina, il che forse come si può conietturare, era frutto d’una notabile legge di Valentiniano Imperatore et suoi Consorti, scritta ad Olibrio nobilissimo Senatore et Prefetto della Città, laquale anchora si conserva registrata da Theodosio Imperatore nel suo Codice, dove [p. 170r modifica]fra le altre cose, dicono gli Imperatori che quelli che hanno desiderio d’imparare non habbiano famigliarità con genti infami, et di vita inhonesta la compagnia de i quali affermano esser vicina à gli istessi peccati. Di più ammoniscono gli scolari, che non vadano à i spettacoli, et à i conviti, et finalmente danno potestà al magistrato, che i discoli, et licentiosi, et che non vivono conforme alla dignità, et gravità delle arti liberali, siano publicamente battuti, et scacciati con infamia dalla Città. Da i quali ordini si può comprendere qual modestia et bontà di vita ricercassero quei Principi ne i giovani studenti. Onde non senza cagione à questi nostri tempi, il sacro Concilio di Trento vuole, che le Università. et studii generali siano con molta diligenza visitati, et tutto quello che hà bisogno di correttione , et di riforma, si emendi, et riordini da coloro à i quali s’appertiene per augumento della religione, et disciplina ecclesiastica. Della qual materia tanto ci basti haver ragionato, quasi per via di incidenti, et digressione.

Della providenza paterna circa il mandar i figluoli à studio. Cap. LXX.

Ritornando à ragionare co’l padre di famiglia, come più è offitio nostro dico, che il prudente padre deve considerare dall’un canto la utilità de gli studii publici, dove sono maestri di eccellente dottrina, et dove la frequenza delle disputationi, la facilità del conferire, la concorrenza, et emulatione di tanti nobili ingegni, rende più facile la via faticosa delle scienze, et dove finalmente lo stimolo dell’honore, per ritornar alla patria co’l grado del Dottorato, risveglia spesse volte dal sonno lo scolare, ilquale ha qualche giudicio, et consideratione di se medesimo; deve parimente dall’altro lato, considerare i pericoli, che secondo il commune uso di vivere, può correre il figliuolo, ilquale con un legno fragile, cioè con la sua giovanezza propria, entra in un tempestoso pelago, et pieno di molti scogli, et dopo questo bilanciando bene ogni cosa, proceda il buon padre con tale temperamento, et maturità in questa deliberatione, che i commodi dello andare à studio non si perdano, et gli incommodi si schifino per quanto è possibile. Primieramente importa molto, come in tutte le altre cose la buona educatione precedente, et lo essere il giovane avvezzo sino à questo tempo al timor di Dio, percioche un cuore che quasi co’l latte hà bevuto questo salutifero antidoto, et molti, et molti anni se n’è nutrito, non cosi facilmente è avvelenato dal peccato, ne con tanta impudenza pecca, ne cosi altamente si profonda [p. 170v modifica]nella voragine del vitio, restandogli sempre uno acuto rimordimento di conscienza, che lo richiama alla vita virtuosa di prima. Presupposto adunque questo fondamento, deve nel secondo luogo il padre di famiglia non correre à furia, ne far questa risolutione inconsideratamente, ma havervi pensato più tempo prima, prendendone consiglio da huomini prudenti, amorevoli, et tementi Iddio, et informandosi delle qualità de gli studii, secondo lo stato presente, acciò possa far elettione d’uno studio più quieto, et meno esposto à i pericoli che detti habbiamo, et dove nella patria propria ci sia studio generale, non di leggiero si deve mandare il giovane in altra parte, almeno ne i primi anni, percioche non è di piccola importanza l’occhio, et il rispetto paterno; ma quando pure convenga mandarlo fuori, è da haver particulare consideratione, dove lo scolare si conduca ad habitare, et convivere, perche l’occasione presente et continua è un gran laccio, et ci vuole più che ordinaria virtù à poter resistere alle cotidiane battaglie; per tanto se il Dottore, et maestro fosse di vita veramente christiana, bene starebbe il nostro giovane appresso di lui, et per la sicurtà de i costumi, et per il profitto de gli studii, ma quando questo non si possa, è da far ogni diligenza per haver un’hospite huomo da bene, et dove almeno non vi sia pericolo di ruina. Et in questi casi è ben giusto valersi de gli amici, ad alcuno de i quali maturo d’anni, et di autorità, et potendosi al Vescovo medesimo si raccommandi il giovane, et in somma si faccia ogni diligenza, acciò qualch’occhio amorevole gli vegli sopra, et osservi gli andamenti suoi. Non è da tacere in questo proposito, d’una honorata compagnia, overo congregatione, chiamata della Perseveranza, laquale si come io ho veduto per una relatione, non sono anchora molt’anni fu eretta nel nobile studio di Bologna, à fine di aiutare i giovani studenti, affaticandosi alcune persone nobili, et letterate, per solo zelo dell’honor di Dio, con carità, et destrezza, acciò i giovani scolari fuggano le male prattiche, habbino honeste conversationi, spendano virtuosamente il tempo, et con profitto de i loro studii, et finalmente congiungano, con la cognitione delle scienze, il timor di Dio, et la pietà christiana, per i quali effetti, hanno ordinate alcune utili constitutioni, et s’intende che per la divina gratia l’opera procede felicemente sotto la tutela della Beatissima madre di Dio, et sotto la protettione di Mons. Illustriss. Cardinal Paleotto Arcivescovo di quella Città, Signore grandemente disposto à favorire, et promovere simiglianti imprese. Per tanto se per ventura il nostro padre di famiglia mandarà il figliuolo à quello studio, non lasci di valersi di questa buona occasione, procurando ch’egli entri in detta compagnia, laquale è da sperare che s’introdurrà [p. 171r modifica]anchora ne gli altri studii. Ma ritornando a i ricordi che s’erano cominciati à dare al padre di famiglia, utile anchora saria il mandar da casa un maestro fidele, et provato, compagno de i medesimi studii, et custode non soverchiamente fastidioso, ma discreto. Tal’hora potrebbe tornar bene, che due gentil’huomini amici, ò parenti, mandassero à studio insieme i figliuoli loro, allevati per prima sotto la medesima disciplina, et buona educatione christiana, i quali vivendo unitamente con alcun buon servitore appresso, pareria loro quasi d’essere nelle case paterne, et più facilmente riterriano gli antichi instituti, et meno haveriano necessità, di conversar strettamente con altri giovani. Et perche il nostro scolare, nella patria havrà havuto il suo padre spirituale, è da far ogni opera, che lo ritenga al medesimo modo mentre è in studio, ilche non sarà difficile per mezzo del primo padre, et de i superiori di quella medesima, ò di altra religione, tanto è, che’egli deve haver il suo proprio et ordinario confessore alquale doverà il giovane rappresentarsi spesse volte, et co’l medesimo padre spirituale, et con altri amici confidenti procurarà il padre di famiglia di haver commertio di lettere, et buona intelligenza, acciò sia spesso avvisato da più bande delle cose del figliuolo. Tutto però si faccia con suavità, et non con scoperta diffidenza.

Come il padre deve voler essere avisato del progresso del figliuolo nelli studii. Cap. LXXI.

È espediente anchora per quello che tocca al progresso de gli studii, volerne dal figliuolo una, et più volte l’anno, particular relatione, la quale se il padre non è intelligente, potrà conferire con persona esperta, facendolo venire destramente à notita dell’istesso figliuolo, acciò sia più avvertito, et si apparecchi à dover di tempo in tempo mandar al padre qualche degno testimonio delle sue fatiche. Dovrebbe anchora il vestire de lo scolare non variare da quella modestia ch’era solito di ritenere nella propria patria, et come l’habito grave è un freno delle leggierezze giovanili, cosi per contrario le piume, et la spada à lato, et altri simili cose sono non solo il fomento della vanità, ma occasione di mescolarsi nelle brighe scolaresche, et far altri disordini. In somma quando il padre mandarà il figliuolo à studio, ve lo mandi bene instrutto de suoi ricordi, et per lettere poi, et altri modi opportuni, rinovi in lui di tempo in tempo la memoria delle eshortationi paterne. Et sopra tutto gli commandi à non entrar nelle sette, et fattioni che ne i studii spesse volte si fanno, non per fine di studiare, ma di soverchiare una natione [p. 171v modifica]l’altra, con troppo grave perdimento del tempo, et con dannosa conseguenza di mille altri inconvenienti, ma che per contrario attenda a se stesso, et conversi strettamente con pochi, et studiosi, et buoni, perche le male compagnie sono pericolose in ogni luogo, come si è detto, ma maggiormente nello studio dove è più libertà, et non si curi il nostro savio scolare d’esser per ventura chiamato, per la sua ritiratezza, bue muto, come di san Tomaso d’Aquino altrove si disse, ne faccia conto di scherni, et motti di scolari, ma ripensi ogni giorno perche sia andato à lo studio, che non è altro se non un mercato di scienze, onde ritornar vacuo è grandissima vergogna, et non di minor danno. Perilche essendo lo studio uno hospitio di passaggieri et uno albergo di brevi giorni, poca stima si ha da fare delle derisioni de i compagni discoli, poi che il vero giuditio si farà non dopo molto tempo nella patria et ne gli altri luoghi, dove il valente scolare già Dottore spiegarà publicamente et con molta sua lode le nobili merci della dottrina acquistata.

Esempio di due nobilissimi scholari di cappadocia, gregorio et basilio santi. Cap. LXXII.

Per sigillo di questo nostro discorso, nelquale havrei desiderato di dare utili avvertimenti al nostro padre di famiglia, reputando che la importanza della cosa gli richieda non poco, per sigillo dico, et concluso ne hò pensato di trascrivere una parte di quella eloquentissima oratione, laquale san Gregorio Nazianzeno scrisse in lode di san Basilio già morto, suo cordialissimo amico, et compagno di studio nella Città di Athene, chiamata madre, et maestra delle arti, et discipline. Certo dovria ogni scholare, che va à studio, leggere quella oratione et considerare attentamente tutto quello che si narra, de gli studii di questa rarissima coppia di due amici, et scholari, che furono poi quei due gran Vescovi et lumi dello oriente di santità, et di dottrina. Ma io per brevità lasciando molte cose mi contentarò di riferirne come hò detto solo una parte. Dice adunque così:

Pari speranza di dottrina, cioè di cosa sopramodo atta à commovere invidia, ci conduceva. Et nondimeno era bandita da noi la invidia ardendo solo di emulatione, la contesa nostra era, non quale di noi riportasse l’honore del primo luogo, ma quale lo cedesse al compagno, percioche ambedue riputavamo per propria, la gloria dell’altro. Pareva che una anima sola fosse in ambedue,, et portasse due corpi. Un solo pensiero era il nostro, di acquistar la virtù, et di accomodare le ragioni, et il modo [p. 172r modifica]del nostro vivere alle future speranze, già avanti la morte, partendoci dalla terra. Il che proponendoci innanzi à gli occhi dirizzavamo la vita et le attioni nostre, parte seguitando la guida della divina legge, parte stimulandoci l’un l’altro à lo studio della virtù, et se non è arroganza il dire, eravamo tra di noi scambievoilmente l’uno all’altro come regola, et norma di conoscere et distinguere il retto dal suo contrario, percioche la conversatione nostra non era con i più licentiosi, et più dissoluti de i nostri compagni, ma con i migliori et più costumati, ne meno pratticavamo con i più contentiosi, et inquieti, ma con i più tranquilli, et pacifici, et finalmente con quelli, la consuetudine de i quali grandissimi frutti, et giovamento ci apportava, havendo per cosa certa che molto più facilmente si piglia il vitio, che non si communica la virtù, cosi come più facilmente si casca nella malatia, che non si conferisce la sanità. Quanto poi alle discipline il gusto nostro era non delle più dilettevoli, ma delle più eccellenti, però che quindi anchora la gioventù prende forma, et qualità, ò de la virtù, ò del vitio. Due vie ci erano note l’una più principale, et più degna, cioè quella che conduceva alla santa casa di Dio, et à i sacri Dottori; l’altra secondaria, et non dell’istesso honore, et stima, quella dico che à i professori delle dottrine seculari menava, tutte le altre che guidavano alle feste, à i spettacoli, à i luoghi frequenti, et à i conviti publici, la havevamo lasciate à chi le voleva, percioche niuna cosa per mio parere è molto da apprezzare, la quale non apporta aiuto al bene, et honestamente vivere, et non rende migliori coloro che di lei sono studiosi. Sino à qui sono parole del gran Theologo, descrivendo l’imagine d’un ottimo et christiano scholare, nel tempo ch’egli era ottimo maestro.

De i dottori di ragione et di medicina. Cap. LXXIII.

Saria da desiderare, che tra i christiani vi fosse tanto amore et carità come si converria à veri discepoli di Christo, che tra loro non vi fosse giamai ne lite, ne dissensione alcuna, essendo noi tutti fratelli nel Signore, si come ci dava ad intendere san Paolo, quando scrivendo a i Corinthii, et dolendosi delle risse, et contentioni loro, diceva non senza senso di dolore; Fratre cum fratrem iuditio contendit, cioè il fratello co’l fratello, che tanto è à dire come un christiano con l’altro contende et litiga in giuditio, ma poi che noi siamo in questa valle di lagrime mescolatamente buoni et mali, onde è di necessità che secondo il detto dello Evangelio, vengano di molti scandali, sono anchora necessarii i Giudici che gli prohibiscano, et rendano il suo diritto à ciascuno. Et per tanto è da pregare [p. 172v modifica]Dio che almeno quelli che hanno grado, et titolo di maestri di ragione, et di Giudici per difinire quello che sia giusto, siano tali che faccino veramente con gli effetti quello che à un tanto offitio, et à cosi honorata professione si conviene. Ma più assolutamente considerata la naturale fragilità del nostro corpo sono necessarii i medici, l’opra de i quali dataci da Dio per conservatione dalla sanità, è senza dubbio da stimare grandemente, percioche guasta la buona dispositione del corpo, come dello instrumento al fabro, l’anima non può operare molte operationi utilissime et per l’huomo particulare, et per il ben commune. Et generalmente parlando non pare che in questa vita ci sia cosa alcuna dolce ne gioconda senza la sanità. Et però de i Medici parimente è da desiderare, che con carità esercitino la facultà, et arte loro à gloria di Dio, et benefitio de i prossimi. Et queste sono due delle principali professioni che si apprendono ne i studii, che della sacra Theologia Regina di tutte le altre non occorre ragionar per hora.

Come queste nobili professioni si devono esercitare christianamente. Cap. LXXIV.

Ritornato adunque alla patria, et alla presenza paterna il desiderato figliuolo, il quale non havendo consumato inutilmente il tempo come molti fanno, ma studiato da dovero, riporta non solo i privilegii di Dottore, ma il merito et la cognitione, ricordisi che la scienza è un talento datogli da Dio per negotiarlo come servo fidele, conforme all’intentione del padrone, cioè à gloria di sua divina Maestà et benefitio de i prossimi. Per tanto non sia il nostro novello Giurisconsulto, una facella, che subito accenda, nelle dissensioni offerendosi per istrumento d’huomini perversi à suscitar liti, et ad opprimere i poveri, ma per contrario pensi che sia detto per lui quel versetto del salmo, Tibi derelictus est pauper, orphano tu eris adiutor, cioè à te è raccomandato il povero, et tu sarai adiutorio dell’orfano; non habbia per principal fine il guadagno, ne lo arricchire per ogni via, ma l’amore de i suoi Cittadini, et la buona opinione di tutti, di esser huomo retto et giusto, et incorruttibile, non abandoni le giuste cause delle povere vedove, et pupilli, se bene non hanno di che pagarlo, ma faccia loro elemosina della dottrina et patrocinio suo, et questi pregaranno per lui et saranno esauditi, et veranno le ricchezze con la benedittione di Dio, et con approbatione de gli huomini, et ne goderanno i suoi figliuoli in terza et quarta generatione. In somma nel consigliare, nel giudicare, et nel governare, habbia sempre avanti gli [p. 173r modifica]occhi Iddio, et quel tremendo tribunale, dove come l’Apostolo dice, tutti necessariamente habbiamo à presentarsi. Guardi Iddio che il nostro Dottore allevato dalle mammelle della madre, nel timor di Dio con tanta cura, sia poi uno di coloro, de i quali si lamenta Dio appresso Isaia profeta, parlando con Gerusalemme, et dicendo, i tuoi magistrati sono infideli, compagni di ladri. Tutti amano i presenti, et vanno dietro al guadagno, non fanno giustitia al pupillo, et non ascoltano la causa della vedova, non sia del numero di questi il nostro buon Dottore, et Giudice, non si lasci abbagliare gli occhi dell’intelletto da lo splendore dell’oro, non sia accettatore di persone, ma sia difensore della giustitia, et conservatore della pace, et concordia, et privata et publica. Queste cose si ricordano à i medesimi Dottori poi che sono per se stessi capaci d’intenderle, et nondimeno il savio padre di famiglia il quale in ogni tempo hà da ritener autorità co’l figliuolo deve à buoni propositi dolcemente ammonirlo, moderando un certo ardor giovanile, che è à guisa d’un vino nuovo, che bolle et non hà anchor la sua maturità. La scienza dice san Paolo gonfia et la carità edifica. Ritornano per lo più i giovani da lo studio con grande opinione di se medesimi par loro saper ogni cosa, disprezzano gli altri, sono freschi dalle dispute, et dallo argumentare, giunti nella patria, vogliono farsi nominare, prendono imprese difficili, et nove et perturbano spesse volte la quiete commune, et acquistano nomi di troppo arditi, et di cavillosi, et si pregiudicano non poco per il restante della vita, et delle attioni loro; però il buon padre ammonisca il figliuolo che sia humile, et affabile, che faccia stima de gli altri, che reputi, che anchor molto gli resta che imparare, percioche la prattica, et la esperienza delle cose, et la prudenza si acquista dopo molti anni, et l’ottima via di saper assai è il riputarsi di saper poco. Le medesime cose si dicono proportionatamente anchora à i professori di medicina, che non habbiano per fine principale il guadagno corruttibile, che presto ci lascia et presto è lasciato da noi, che medichino con carità, non meno i poveri che i ricchi, che non faccino macello de gli huomini, che studiino con diligenza, percioche è grave peccato far publica professione d’un arte che altrui non sà, et esercitarla con tanto pregiuditio ò dell’havere, ò della vita de i prossimi. Perilche attendino et medici, et giudici, et altri simiglianti à portarsi in modo, che con una istessa scienza sovvengano à i bisogni della patria, si sotentino modestamente et con moderati acquisti nella vita civile, et quello che più importa dirizzando ogni cosa à gloria di Dio, ne riportino da lui la eterna mercede del paradiso. [p. 173v modifica]

Della disciplina militare, et della cavalleria. Cap. LXXV.

Quelli che di proposito hanno preso à trattare della natura della Città et delle sue parti necessarie, hanno dimostrato sufficientemente che non solo in essa sono dibisogno quelle arti, senza lequali gli huomini non possono vivere, ò non bene, et commodamente vivere, come gli agricoltori, gli artefici mecanici, et simili, et che non solo fa di mestieri che vi siano governatori, et magistrati, et giudici, et consultori, che rendano ragione et mantenghino giustitia, et conservino la pace privata tra Cittadini, ma che non meno egli è anchor necessario che vi siano magistrati militari, et soldati, et difensori, iquali difendano la libertà, et la pace della patria, contra la violenza di chi ingiustamente volesse perturbarla; onde apparisce che lo studio delle cose militari è buono, et laudabile, se bene la militia et la guerra non sono cose elggibili per loro stesse, perche il guerreggiare per la istessa guerra, cioè solo per vincere, et per opprimere i manco potenti, è cosa da fiere senza humanità; ma la guerra legitima è per cagione della pace, per propulsare le ingiurie, et violenze, et per difensione della pace, della giustitia, et dell’honor di Dio. La onde vediamo nelle divine lettere non essere condennata la professione militare, non solo al tempo dello antico Testamento, ma ne anco sotto lo Evangelio, onde Giovanni Battista, et precursore del Salvatore, venendo à lui varie maniere et conditioni di persone, predicava loro la penitenza, et dava salutiferi consigli, secondo lo stato di ciascuno, et fra gli altri vedendo venire à se alcuni soldati, non gli rigittò, ne riprese la professione che facevano, anzi essendo richiesto da loro, che doveano fare rispose, si come riferisce san Luca, in questa guisa: Non fate violenza ne ingiuria ad alcuno, et contentatevi de i vostri stipendii. Perilche non si prohibisce al padre di famiglia di educare il figliuolo con questa intentione, perche sia Cavaliere, et soldato, se però vedrà che il giovanetto, et per la dispositione del corpo, et per una certa inclinatione naturale vi sia chiamato, osservando di lontano, come più volte si è ricordato, i suoi modi, nella fanciullezza, et nella pueritia. Ma bene deve il buon padre affaticarsi di allevar in modo il figliuolo, che veramente sia difensore, et non perturbatore della patria, et che con l’arte militare serva à Dio, et non che vivendo con ogni licenza come da molti si usa condanni l’anima sua, ilche non è difetto della militia ma della nostra mala voluntà, come hora dirò alquanto più in particulare. [p. 174r modifica]

Che a i cavalieri grandemente si appertiene esser timorati di dio. Cap. LXXVI.

Egli è, s’io non m’inganno, cosa degna di consideratione à chi legge il santo Evangelio, et le historie ecclesiastiche, et spetialmente quelle che si chiamano Martirologii, dove brevemente sono registrate le morti, ò per meglio dire i trionfi de i fortissimi martiri di Giesù Christo, quanto gran numero vi si ritrovi di soldati, et di Cavalieri. Et quanto allo Evangelio, crediamo noi forse che sia cosa fatta à caso, et non più presto per particular dispositione de lo Spirito santo, che di tre Centurioni, overo Capitani che dir vogliamo, vi si faccia da gli Evangelisti honoratissima mentione? Il primo de i quali riputandosi indegno di ricevere nella casa sua l’autor della vita, meritò che di lui si dicesse dal Salvatore quel gran testimonio, In verità, vi dico, non ho ritrovato tanta fede in Israele. Le cui parole sono state cosi ammirate da la santa Chiesa, et tanto desidera che ciascuno de suoi fideli imiti quella grande humiltà, et fede del Centurione, che ci ha insegnato à dirle, sempre che prendendo la santissima Eucharistia riceviamo il Rè della gloria in questo nostro basso hospitio. Il secondo Centurione stando al piede della Croce, mentre l’agnello immaculato si coceva nel fuoco della sua ardentissima carità, et della sua acerbissima passione, lo confessò, essendo egli gentile, per vero figliuolo di Dio, quando li scribi, et farisei, et sommi Pontefici, et Sacerdoti, lo negavano, lo schernivano, et lo riputavano huomo iniquo, et scelerato. Del terzo, che fu il buon Cornelio, si ragiona lungamente ne gli atti Apostolici scritti da Luca Evangelista, le cui orationi et elemosine furono cosi accette à Dio, che gli mandò un Angelo, ilquale visibilmente apparendogli, gli notificò che Iddio lo haveva esaudito, et lo ammonì che mandasse à chiamar san Pietro, ilquale mosso da particulare et misteriosa visione vi andò, et predicando Pietro l’Evangelio à Cornelio, et à suoi domestici quivi presenti, cadde sopra di loro lo Spirito santo, facendo quelli istessi mirabili effetti, che fece da principio sopra i santi Apostoli, et primi credenti, onde il buon Pietro, senza più dimora battezzò Cornelio, et gli altri suoi, talche un Capitano, et soldati, furono le primitie della gentilità, venuta al battesimo, dopo l’Ascensione di Christo nostro Signore. Ma passando alle historie Ecclesiastiche non si può credere quanto numero di santi, et di martiri, siano usciti dalla professione militare, non dico solo à uno, à due, à tre, ma le legioni intiere, come fu à tempi di Marco Antonio, quella nobilissima legione, che poi fu chiamata fulminatrice, percioche in un grandissimo bisogno, [p. 174v modifica]impetrò con le sue orationi da Dio pioggia tale, che ricreava mirabilmente la sete dello esercito de’ Romani, et contra gli inimici faceva effetto di acqua bogliente, et di folgori. Come fu anchora quell’altra de i soldati Thebei, à tempo di Massimiano Imperatore chiarissima non solo per la santità, come la prima, ma anchora per la effusione del sangue, sparso per la confessione del nome di Christo, infiammata spetialmente da i conforti del fortissimo martire Mauritio. Non sia adunque alcuno che si dia ad intendere che la religione, la devotione, le orationi et lo spirito christiano, sia cosa da monaci, et da chierici solamente, et non da Cavalieri, ecco tutti questi erano soldati, et soldati d’Imperatori pagani, persecutori de christiani, et nondimeno con gente infidele, erano fideli, et sotto il cingolo militare dello Imperatore terreno militavano principalmente all’Imperator celeste. Et perch’ è usanza de lo Spirito santo adoperar gli istrumenti humani secondo una certa dispositione, che in essi si ritrova, et con la sua gratia dar perfettione alla natura, di quà si vede, chi ben considera, che appunto de i soldati, et Cavalieri che sono di cuor generoso, robusti di corpo, et cupidi di gloria, et di honore, et per questo disprezzatori della morte, di questi dico è proprio amare con maggiore amore Iddio, applicando lo Spirito santo quel fervore del sangue, et quella fortezza militare, et volgendolo ad amar Iddio, forte et ferventemente, et à far per suo amore opere grandi, et heroiche, quale è il martirio. Et se i soldati sono, come detto habbiamo, difensori della libertà della patria, et delle leggi, et della religone, chi è che non intenda per se medesimo, che à i soldati si appertiene principalmete non far violenze, nè ingiustitie, anzi ad essere i primi osservatori delle leggi humane, et divine?

Della disciplina militare publica, et della privata cura paterna. Cap. LXXVII.

Quanta cura, et diligenza usassero gli antichi Romani, et molte altre nationi nella disciplina militare, si legge anchora nelle historie Latine, et Greche, et si conosce da molte constitutioni de gli Imperatori, che hoggi tuttavia si vedono ne i volumi, et Codichi di ragione, non si può dir à bastanza con quanto studio si esercitassero i soldati novelli, chiamati con voce Latina Tironi, come si avvezzassero ad ogni maniera di fatica, come fossero sobrii nel mangiare, come obedienti à i suoi Capitani, et come severamente [p. 175r modifica]si castigasse la licenza de i soldati, la quale disciplina è poco meno che perduta à i nostri tempi, mancando cosi in questa come in molte altre cose la providenza, et educatione publica, essendo per il più i nostri soldati gente collettitia, et rammassata tumultuariamente ne i bisogni, tal che gli eserciti per ordinario sono una ragunanza d’huomini licentiosi, condotti dall’avidità delle prede, difficili à lasciarsi reggere da’ suoi Capitani, i quali per questa cagione sono quasi forzati à dissimular con loro, et tolerar molte cose in modo tale, che bene spesso avviene, che più gravi sono i proprii amici, et difensori, che gli inimici istessi. Ma lasciando questa parte à chi tocca, et continuando il nostro solito stile, ricordo una et più volte al nostro padre di famiglia, che ogni edifitio di qual si voglia professione, à cui egli deliberi applicare il figliuolo, ha da havere per fondamento il timor di Dio, et talmente havrà da essere buon soldato, che sia principalmete buon christiano, et per congiungere queste due cose insieme, le quali, come si mostrò di sopra, ottimamente si compatiscono, sia soldato, et Cavaliere christiano. Adunque tutto quello che si è detto di sopra della buona et christiana educatione, si presuppone in questo casi etiandio de lo studio delle lettere latine, e di humanità, che sono, come à suo luogo si è detto ornamento grande d’un gentil’huomo, et disviamento honesto, et lodevole in ogni età, da gli inhonesti trattenimenti, et in particulare apportano utilità a i soldati, per la cognitione delle historie, et per molti altri buoni effetti, et in spetie la cognitione delle scienze matematiche è riputata molto necessaria in coloro, che vogliono far professione di guerra, et pretendono andar innanzi ne i gradi più honorati, et è studio molto proportionato à i giovanetti. Ma ritornando alla bontà dalla vita è cosa certa che tutti nel santo battesimo habbiamo fatto solenne professione di essere soldati di Christo, alla cui militia siamo stati ascritti, et del cui segno siamo stati segnati nel sacramento della confirmatione, come altrove si disse, periclhe ogni christiano è obligato à combatter legitimamente contra i vitii, et peccati, et à mettere anchora la propria vita, quando fosse bisogno per l’honor di Dio, et della sua santa fede, ma i soldati et Cavalieri, per particular ragione de lo stato loro hanno obligo di esser difensori della santa Chiesa, et de suoi fideli, contra gli inimici del nome christiano, et contra quelli che sotto falso nome di fede, sono oppugnatori della vera fede, come gli heretici, et scismatici, oltra di questo devono i Cavalieri essere protettori della giustitia, rifrenando gli iniqui, et sollevando i buoni et particularmente prestando aiuto alle vedove, à i pupilli, et à gli orfani,, et [p. 175v modifica]finalmente il Cavaliere non ha mai da offendere alcuno ingiustamente con la sua spada, i quali oblighi ci dichiara la santa Chiesa madre nostra, nelle sue sacre, et misteriose cerimonie, quando benedice per le mani Episcopali gli Imperatori, i Rè, et i novelli Cavalieri, dando loro la spada benedetta in mano. Per tanto niuna cosa è più mostruosa, et horribile, che il veder i soldati, et Cavalieri christiani violar le Chiese, profanar i vivi tempii di Dio, che sono le vergini sacre, et commettere mille maniere d’ingiustitia, di rapine, et di barbara crudeltà, et libidine, di che molte vecchie historie son piene per non entrar hora à parlare de i nostri tempi, et tanto più sono astretti à questi oblighi i Cavalieri regulari, che hanno voti, et professioni, secondo i varii instituti delle loro religioni. Adunque il nostro padre di famiglia allievi il figliuolo talmente che sia un vero Cavaliere, cioè giusto, et religioso, di che niuna cosa più bella, et tanto più bella, quanto più rara; lo ammonisca anchora à servar somma fede al suo principe, si che per quanto oro ha il mondo, non macchi giamai il candore della sua lealtà. È anchora da avvertire molto alle prattiche, poi che anchor la militia è una maniera di studio, et vi sono molti che si cingono la spada, et sono indegni dell’honorato nome di Cavaliere, gente otiosa, rissosa, inquieta, piena di vitii, insopportabile nel tempo della pace, timida nella guerra. La dove il vero forte, et valoroso, quale si desidera che sia il nostro figliuolo di famiglia, fuori delle fattioni è dolce, mansueto, affabile, non contentioso, non vantatore, non pare che sempre spiri sangue et morte, come alcuni vanissimi Trasoni fanno, ma come è detto fuori del fatto è modestissimo, et nella battaglia ardente, et coraggioso. Et non consiste la vera fortezza in una certa pazza bravura, et in uno ardire temerario, ma ci vuol giuditio, et prudenza et vuol essere adoperata per giusto fine, et con i debiti modi, si come quelli che scrivono delle virtù morali, hanno trattato à pieno, onde molti s’ingannano, et par loro esser forti, quando più presto sono audaci, et brigosi, non discernendo il vero valore dal falso, ne il vitio dalla virtù. Sopra tutto sia il nostro Cavaliere nimicissimo della bestemmia, et di questo faccia à gloria di Dio aperta professione, et procuri quanto può di estirpare questo maledetto abuso, che deturpa in molti la nobiltà della Cavalleria. Della qual materia, degna di ogni amplificatione et copia di parole, per detestarla, non dirò altro havendone ragionato di sopra nel suo proprio luogo. [p. 176r modifica]

Delle esercitationi militari, et della caccia. Cap. LXXVIII.

Poco è quello, che io posso ricordare circa le esercitationi militari non havendone io intelligenza alcuna, basta dire che il nostro padre di famiglia havrà cura, che il giovanetto sia di corpo robusto, atto à supportar le fatiche, non molle, et effeminato, onde ne i soldati particularmente sono da fuggire le soverchie delicatezze, anzi conviene che si assuefaccino à i caldi, à i freddi, à i venti, al sole, et alle altre incommodità, fuggendo l’otio, et la crapula, et altre cose che snervano le forze. Appertiene à questa professione il sapere ben cavalcare, cosa che per ordinario come diceva un scrittor Greco, sola fanno perfettamente i principi, et i nobili, percioche il cavallo non sa adulare, parimente lo armeggiare con varie sorti d’arme, il saltare, et cose simili, et oltra gli esercitii privati non disconverria che vi fossero nelle Città, à guisa di schuole, dove à certi tempi, et in luoghi separati, ò si facessero alcune recreationi della gioventù militare alla presenza di huomini esperimentati, et di autorità, si che ogni cosa passasse con buono ordine, et senza pericolo, et senza apparato di molta spesa. Essendo ragionevole che le ricreationi, siano ricreationi, et i giuochi giuochi, et non si faccia come si suol fare ne i publici spettacoli delle giostre, et torneamenti, spendendosi inutilmente nelle cose da scherzo, quello che si dovrebbe riservare per spendere nelle cose da dovero, et restando spesse volte alcuni feriti, storpiati, et morti, come se i giuochi, et le esercitationi fossero battaglie sanguinose, cosa abhorrita da gli istessi barbari, et con molta ragione condennata da i sacri Canoni.

È connumerata anchora tra gli esercitii convenienti à soldati la caccia, come una imagine di guerra, dove i corpi si assuefanno alla fatica, et à gli incommodi, et varietà dell’aria si riconoscono i siti de i luoghi, et ne seguono altre si fatte utilità, che conferiscono allo studio militare. Però non è da negarla al nostro figliuolo di famiglia, che havrà eletto quella sorte di vita. Desiderarei però che vi fosse moderatione in molte cose, prima che la spesa non eccedesse la misura debita, come da alcuni si fa per una vana ostentatione, potendosi ricrear l’animo, et essercitare il corpo con poco apparecchio. Secondariamente non è da lasciarsi trasportare tanto dall’amor del cacciare, che vi si occupi la maggior parte del tempo con pregiuditio di più nobili, più fruttuose, et più necessarie operationi. In ultimo ricordo, che questa ricreatione si deve pigliare con tal modo, che non s’incorra il pericolo di ammalarsi, ò per troppo freddo, e caldo, ò per altri accidenti, à i quali si espongono coloro che ne i [p. 176v modifica]piaceri loro corrono senza freno, non essendo cosa ragionevole, ne laudabile che per un vano diletto si getti la vita d’un gentil’huomo, la quale si deve spendere con giuditio utilmente, et virtuosamente per servitio di Dio, et della patria.

Come i soldati et cavalieri in tempo di pace devono bene occuparsi. Cap. LXXIX.

Ma egli è cosa grandemente necessaria che il nostro soldato, sappia spendere lodevolmente et christianamente il tempo, quando è lungi da gli eserciti, nella quiete della pace, essendo pur cosa troppo disdicevole, veder un Cavaliere tutto ’l giorno con carte, et dadi in mano, ò starsi ne i balli et conviti ò cavalcare mattina, et sera spensieratamente per i corsi vagheggiando con offesa di Dio et malo esempio de suoi Cittadini. Sia adunque il nostro Cavaliere come à christiano nimico dell’otio, et del peccato si appertiene, buon padre di familgia, poi che come è probabile, doverà prender moglie, attenda ad educar bene, et christianamente i suoi figliuoli, riveda il governo domestico, dilettisi della agricultura et delle cose rustiche, nella Città eserciti alcun carico ò magistrato secondo il grado suo, prenda cura di qualche luogo pio, et promova con carità le opere di pietà, non si sdegni, anzi si reputi honore di servire gli infermi ne gli hospitali, et di ricever i peregrini, ricordandosi che queste appunto sono inprese Cavalleresche, come anticamente facevano i Cavalieri del tempio, et dell’hospitale di san Gio. in Gierusalemme tanto celebrati nelle historie. In somma non sia del numero di coloro che per solo portar la spada, et vestir bene et viver in ogni delitia otiosamente par loro essere Cavalieri, inutili nella guerra, et inquieti nella pace. Et quanto a i soldati di minor conditione, non ha dubbio che dopo le fattioni della guerra, devono ritornare a i soliti artifitii, et occuparsi utilmente, non aggravando con l’otio loro, anzi sollevando con la fatica i bisogni della patria. Ma sopra tutto il nostro buon Cavaliere à viso apperto, si scuopra per servo di Dio, nella frequenza de i santi sacramenti et in tutti gli esercitii christiani, vincendo il timor mondano, et desiderando più di assomigliarsi à Cornelio, à Mauritio, et à gli altri Cavalieri che congiunsero co’l valore la religione et bontà, che à questi derisori le burle et derisioni de i quali son degne d’esser disprezzate, et derise, et per questo anchora giova molto l’haver cominciato à buon’hora, et fatto fermo proponimento nel cuor suo di voler più piacere à Dio che à gli huomini. [p. 177r modifica]

De la eccellenza de lo stato clericale, et religioso. Cap. LXXX.

Dopo la militia terrena et carnale è conveniente dire alcuna cosa della militia spirituale, della quale sono soldati coloro, ch’eleggono lo stato Clericale, i quali con particulare obligatione et con più stretto nodo che gli altri communemente non fanno, si dedicano, et consacrano à Dio et vogliono essere della parte et heredità del Signore et vogliono parimente che Iddio sia la parte et heredità loro nella eterna vita, alla quale se bene tutti di qualunque stato, et conditione, con la divina gratia aspiriamo, poi che tutti siamo figliuoli del celeste padre, tuttavia i Clerici eleggendo uno stato di maggior perfettione, et caminando per più erto, ma più espedito sentiero, vi hanno ragione, et titolo spetiale per la spetiale offerta et dedicatione, come è detto, di loro medesimi al culto divino, et al ministerio del santo altare nel tempio del Signore, si come anticamente era fra gli Hebrei la tribù Levitica segregata, et separata dalla moltitudine, et deputata in particulare al servitio di Dio, et del santuario, et però i Clerici hanno habito distinto da i laici, et portano il segno della corona nel mezzo del capo, per la quale si da ad intendere, oltra le altre significationi la eccellenza del sacerdotio reale, al quale tutto l’ordine de i Clerici più et meno secondo varii gradi appertiene, et sono riconosciuti fra gli altri del popolo come intimi famigliari, et servi di colui à cui sevire, è regnare. Alto adunque et nobile stato è quello dei Clerici et degno di grande honore, percioche ci rapresentano la persona, et la autorità del sommo Rè, et sacerdote Christo Giesù, ilquale ha dato loro potestà sopra il suo vero, et reale corpo et sangue, cioè sopra il tremendo sacrifitio dell’altare, il quale offeriscono per se stessi et per tutto il popolo, et similmente hà dato loro potestà sopra il suo corpo chiamato mistico et spirituale, cioè sopra i suoi fideli, de i quali sono Rettori, et Governatori secondo lo spirito indirizzandoli, et promovendoli con la dottrina, con i sacramenti, et con l’autorità delle chiavi ecclesiastiche, nella via della salute, e nello acquisto del paradiso. Ma quanto più grande et più eccellente è lo stato clericale, tanto all’incontro maggior virtù, et maggior perfettione si richiede in coloro che ne fanno professione, et per tanto se nella elettione de gli altri stati, deve il padre di famiglia andar considerato, certo in questo deve andare consideratissimo et non torcere come dice colui alla religione tale, che più presto era nato per portare la spada, et non si movere solo per fini humani, et per lo interesse temporale di perpetuare i benefitii nelle case, ò di mettervene de i nuovi, sete [p. 177v modifica]commune de i nostri calamitosi tempi, ne i quali molti padri poco amorevoli de i loro figliuoli procurano etiandio per vie illegitime di far loro havere di buoni benefitii, poco curandosi di far buoni gli istessi figliuoli. Et si scandalizzano poi i laici, et mormorano della vita de i Clerici, et della non buona dispensatione delle entrate ecclesiastiche, non considerando quanta parte della colpa tocchi à loro, che non allevano bene i figliuoli et li volgono à quella professione alla quale per loro stessi non erano inclinati, senza pur mai dir loro parola de i grandi oblighi che tengono, senza fargli instruire in quegli esercitii che sono proprii di quella vocatione et finalmente senza far ogni opra perche habbiano et dottrina, et costumi degni di ministri di Christo, come se per essere buon Clerico, et prete bastasse una veste lunga che tal volta anchor non si porta, et un titolo spetioso di Abbate, et di Canonico, vivendo nel resto con maggior licenza che i secolari impinguando il corpo miserabile di quelle rendite, che sono voti et oblationi de i fideli, prezzo de i peccati, et patrimonio de i poveri, con eterna condennatione del corpo, et dell’anima.

Della cura circa la elettione de lo stato clericale et religioso. Cap. LXXXI.

Adunque il padre, à cui è cara l’anima propria, et l’anima del figliuolo propongasi principalmente avanti à gli occhi l’honore di Dio, et il bene del figliuolo, osservi con diligenza dalla più tenera età i modi, et le inclinationi del fanciullo, l’habitudine del corpo, et molte circonstanze tali, percioche come altrove s’è detto, la natura et simplicità puerile scuopre se medesima à chi vi pone attentione, onde spuntano da principio alcuni raggi, di amor di Dio, di gusto et diletto delle cose spirituali, una modestia, una mansuetudine, et altre cose talì, che sono come tacite voci, che ammoniscono il padre qual riuscita sia per fare il figliuolo, se alla buona natura non manca la buona et proportionata educatione. Ma perche tutti i padri non odono queste voci quando è il tempo, avviene che fatto il figliuolo grande et grosso, accorgendosi già ciascuno quale egli sia, et come poco gli quadri lo stato dove si trova, si dice da tutti, quando già non vi è rimedio, costui dovea esser prete, et quest’altro dovea esser laico, et soldato. Et è questo uno abuso miserabile, et uno de i più gravi disordini nel popolo christiano, et piacesse à Dio che più di rado avvenisse, che non avviene, percioche da questa mala elettione de lo stato, delquale et secondo ilquale alcuni devono vivere, et non vive, segue poi cosi lunga catena d’inconveniente, che non bastavano poche parole per raccontarlo. Ma non per questo si [p. 178r modifica]prohibisce, che il padre, et la madre, non possano offerire i figliuoli loro à Dio, et far proponimento che siano Clerici, ò monaci, anzi è questo pensiero santo, et lodevole, et grato al Signore pur che come è detto, si faccia veramente con intentione, et mira di piacer à Dio, facendone particulare oratione et prendendone consiglio da huomini religiosi, et prudenti, et maturando la deliberatione co’l tempo, acciò il fanciullo sia alquanto grandetto, et possa tanto quanto render testimonio della sua propria voluntà. In tanto per meglio accertarsi di quello che più sia espediente, crederei dover essere utile, che i figliuoli destinati al servitio di Dio si mettessero in qualche seminario, o Collegio ò congregatione d’huomini religiosi, tra i quali sia disciplina, et fervore di spirito. Anzi con questa occasione dirò una cosa più oltra, che quando bene il fanciullo, et per desiderio de i parenti, et per elettione propria debbia restarsi nel secolo, nondimeno ottima cosa è lo essere stato allevato con buoni servi di Dio, perilche non saprei se non lodare quei padri, iquali etiandio per sola educatione, et sino à certo tempo, pongono le figliuole femine ne i monasterii di monache, dove però sia spirito, et timor di Dio, et pace, et vera osservanza.

Et se tal’hora avvenisse, che fuori dell’opinione del padre di famiglia, chiamasse Iddio il giovanetto, ò la verginella al suo servitio, non si perturbi, et non riempia ogni cosa di querele, come alcuni fanno, ma habbiala per bonissima nova. Di Dio siamo noi, et di Dio sono i nostri figliuoli, et con una piccola febricciuola, quando cosi gli piaccia, ce gli può togliere; adunque riconosca il padre, et la madre la gratia singulare che fa loro, non un Rè, et Principe terreno, ma il sommo Rè della gloria, eleggendo i figliuoli, et figliuole loro per suoi intimi servitori, et per dilette spose sue. Et per tanto guardinsi, per quanto hanno cara la gratia et temono la indignatione del gran Rè de i Rè, di non impedire in niuna maniera il santo proposito de i figliuoli che vogliono essere religiosi, anchor che sia figliuolo maschio, et figliuolo unico, offerischalo prontamente à Dio in holocausto, in odore di suavità, come del suo amato Isac fece il buono Abramo. Et come nel sesso più tenero, fece Anna madre di Samuele, laquale con tanta letitia, et esultatione di spirito, offerì al Tempio di Dio, et al culto divino il suo primogenito figliuolo. Onde ne fu benedetta dal sommo sacerdote Helì, et hebbe da Dio per la sua preonta oblatione, larga mercede di fecondità. Ne mancano nel tempo della legge evangelica, infiniti esempii memorabili di questa sorte, come ciascuno leggendo le vite de i santi può osservare. Non si vieta però, ne si dice che il discreto padre non possa procedere [p. 178v modifica]con maturità, et consiglio, provando lo spirito giovanile se è da Dio, et spetialmente con la pietra del paragone, cioè co’l giuditio de i buoni padri spirituali. Ma quando la vocatione è certa, et manifesta, benedicalo con ogni benedittione, et sia egli il primo à vestir con le sue mani al figliuolo, il santo habito della religione, che più accetto sacrifitio non potrebbe fare.

Come sia grave peccato il costrignere i figliuoli à entrar in religione, ò ritirarneli contra lor voglia. Cap. LXXXII.

Quantunque lo stato religioso, sia come si è detto accettissimo à Dio, nondimeno guardisi ogni padre, et madre, di far giamai per qual si voglia humano rispetto, forza ne violenza alcuna al figliuolo overo alla figliuola, ne ardisca constringerli con minaccie, con battiture, ò con altri modi tali, à entrare in religione contra il lor volere. Et per dire in particulare delle figliuole femine, dove più spesso si fa questo grave peccato, non si dedichi à Dio nella religione, et nel Monastero contra sua voglia in perpetua virginità, la povera zitella perche sia nata deforme, ò storpiata, non perche il padre è gravato, et vi sono dell’altre figliuole da maritare, non per fine che i fratelli restino più ricchi, ne per altre simili cagioni di carne, et sangue, dove all’incontro, come poco fa si disse de i maschi, se lo Spirito santo spira nel cuor suo, sia pur bellissima, sia unica, sia desiderata per moglie da chi si vuole, niuno sia tanto ardito che la tolga al suo celeste sposo.

Et perche questi de i quali hora si parla, sono casi importantissimi, et assai communi, sappia ciascuno, che il sacro Concilio di Trento, con un gravissimo, et formidabile decreto ha detestato, et scommunicato tutti coloro, i quali constringono alcuna vergine,. ò altra donna, à entrar in religione, ò per contrario la impediscono contra sua voluntà.

Ma ritornando al nostro padre di famiglia, non si reputi sventurato per vedersi carico de figliuoli, et povero, ne gli cada in pensiero di ricorrere à mezzi tali, che sono con offesa di Dio, per nutrirli; ricordisi che i molti figliuoli Iddio glieli ha dati, et l’istesso Iddio è bastante à proveder loro abondantemente, per mille modi, dove la prudenza humana con i suoi discorsi non penetrarebbe giamai; raccomandisi à Dio, dilati il cuore con buona confidenza, et faccia dal canto suo quello che può, et che deve, et principalmente, attenda ad allevar bene et christianamente i figliuoli, et à farli ricchi di virtù, et quanti più ne havrà, più [p. 179r modifica]se ne rallegri, percioche non ci è cosa più pretiosa d’un buon figliuolo, et sino à i filosofi gentili, hanno posto tra le felicità humane, et di questa vita, lo haver molti, et buoni figliuoli.

Come in particulare si debbiano allevare i figliuoli che haveranno a esser clerici et religiosi. Cap. LXXXIII.

Concludendo adunque diciamo, che il buon padre non ha da impedire, ne meno à forzare il figliuolo di eleggere lo stato altissimo della religione, et della perpetua castità, ilquale stato, Christo nostro Signore non ha voluto da principio, mettere sotto obligatione, ma ha detto chi può prendere prenda, acciò chi vuole, resti poi giustamente per sempre obligato co’l ligame della sua libera voluntà, et del suo proprio voto. Non piacciono à Dio i sacrifitii, et le offerte che non vengono dal cuore, ma sforzatamente, et molto meglio è esser buon laico nella vita seculare, che tristo religioso, ò Clerico, et generalmente parlando, chiunque desidera edificare questa alta torre, deve prima secondo l’avvertimento dell’evangelio, sedendo, cioè con matura deliberatione, far bene il conto, se ha danari suffitienti per condurla con la divina gratia à perfettione, la onde non è da correre in cosa di tanta importanza, precipitosamente, ma di tal maniera si ha da mettere la mano all’aratro, che altri non si rivolga più indietro, ma perseveri sino alla fine acciò sia salvo. Hor perche potrà essere, che Iddio faccia particular gratia, al nostro padre di famiglia, di chiamare alcuno de i suoi figliuoli, à questa sublime vocatione, per tanto si ricorda che quel figliuolo, ilquale il pietoso desiderio paterno, va disegnando di dedicare à Dio in religione, mosso da probabili conietture della inclinatione del fanciullo, et con retto et santo proponimento, et con prudente deliberatione, quel figliuolo dico doverà esser allevato con maggior cura, et maggiormente doverà andarsi esercitando nelle cose pertinenti à huomo religioso, come per esempio, sia più assiduo nella frequenza de i sacramenti, nella lettione della vita dei santi, che sono come esemplari di perfetti religiosi, nello studio de i libri spirituali, et devoti. Attenda maggiormente alla cognitione delle lettere, et massime quando sarà il tempo, a i sacri Canoni, et alla sacrosanta Theologia. Convenirà anchora che si avvezzi à servire nelle Chiese alle messe, et divini offitii, dilettandosi quasi novello soldato, di conversare ne i castri del suo signore. Frequenti più spesso le opere di pietà, habbia meno conversatione con i laici, et più assiduamente con preti, et altri huomini religiosi, fugga tutte le vanità del secolo, et in somma impari à buon’hora, et