Utente:Mizardellorsa/Tiraboschi/note2.2

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67 De Orat. lib. II n. 91.
68 Brut. n. 46.
69 Di Corace ancora (p. 269) ragiona la poc’anzi nominata Imperadrice Eudossia, la quale ricorda innoltre più altri in
questo capo da me nominati, cioè Lisia (p. 281), Gorgia (p. 100), Filisto (p. 422), Diodoro Siculo (p. 128), Temistogene
(p. 233), Ipi ( p. 245), Lico (p. 284), e Polo (p. 355).
70 Histoir. de Sicil. t. I p. 7.
71 Diod. Bibliot. l. XI p. 281.
72 Il Ch. Sig. Ab. Andres non solo non reputa degni di molta lode i primi Scrittori, che ci dieder le leggi dell’Eloquenza,
e ne formarono un’arte, ma anzi gli incolpa della decadenza del buon gusto, perciocché, egli dice (Dell’Origine e
Progresso d’ogni Letter. T. I p. 42 &c.), i Greci cominciarono a vedersi privi di opere eccellenti, quando conobbero i
precetti dell’Arte... E chi non sa, che allora appunto mancarono gli Oratori e i Poeti, quando Aristotile con tanto
ingegno e dottrina dell’arte rettorica scrisse e della poesia? Egli prosegue a sostener con ingegno, e a svolgere con
eloquenza questa sua proposizione. E se a lui basta, che in questo senso essa s’intenda, che i precetti non bastano a
formare un Oratore e un Poeta, e che il tenersi troppo rigorosamente stretto a’ precetti snerva comunemente la forza
dell’Eloquenza e la vivacità della Poesia, io pure me ne dichiaro seguace e sostenitore. Ma se egli intende di sbandire
generalmente i precetti e l’arte, io temo, che la sperienza e la ragione gli si opporranno. Ei ci dice, che le spelonche, le
grotte, le sponde del mare erano le Scuole dell’Arte Rettorica del gran Demostene. Ma è certo, che innanzi a
Demostene erano stati Corace, Tisia, Lisia, e Gorgia tutti Precettor d’Eloquenza, e che per testimonianza di Dionigi
Alicarnasseo (Judic. de Isocrate) Tisia fu precettore d’Isocrate, e che Demostene da Tucidide e da Gorgia apprese la
magnificenza, la gravità, lo splendore del favellare (De admiranda vi dicendi in Demosth.). Il maggior Oratore, che
avesse Roma, viaggiò in Grecia in età già adulta, e frequentò le Scuole de’ Retori più rinnomati; e scrisse poscia egli
medesimo i precetti dell’Arte. Il maggior Poeta Epico, che abbia avuto l’Italia, studiò attentamente la Poetica
d’Aristotile. A me sembra, che forse sarebbe più giusto il dire, che i precetti non bastano a formare un grand’uomo, ma
che senza i precetti un grand’uomo non saprà sfuggir que’ difetti, che ne oscureranno la gloria.
73 Descript. Græc. l. VI c. XVIII.
74 Judic., de Isocr.
75 Loco cit.
76 Brut. seu de Cl. Orat. n. 16.
77 Jud. de Lysia.
78 De Orat. l. III n. 7.
79 De Clar. Orat. n. 9.
80 Cic. lib. I de Orat. Laert. in Vit. Socr. Valer. Max. lib VIII c. IV.
81 Bibl. n. CCLXII.
82 Bibl. Græc. t. I p. 892 ec.
83 Suida afferma, che benché Gorgia dicasi da Porfirio vissuto circa l’Olimpiade LXXX, ei fu nondimeno più antico. Ma
come egli non ce ne arreca alcuna pruova, così l’autorità di esso non basta a farci cambiare di sentimento. Dice ancora,
ch’ei fu figlio di Carmantida scolaro di Empedocle, e Maestro non solo di Isocrate, ma ancor di Polo da Girgenti, di
Pericle, e di Alcidamante Elaita, che gli fu successor nella Scuola.
84 Lib. XII p. 513 ec. Edit. Amstel. 1745.
85 De Vitis Sophist. l. I.
86 Descript. Græc. lib. VI c. XVIII.
87 Judic. de Isocr.
88 De admir. vi dicendi in Demosth.

89 Epist. XIII.
90 Lib. III de Orat. n. 154.
91 L. VIII cap. XV.
92 Vit. Sophist. lib. I.
93 In Gorgia.
94 Hist. Nat. lib. XXXIII c. IV.
95 Descript. Græc. l. X c. XVIII.
96 L. I De Orat. n. 89.
97 In Hippia Majore.
98 De Senect.
99 Vit. Soph. lib. I.
100 L. III c. I.
101 Qualche recente Scrittore ha voluto aggiugnere una nuova gloria alla Magna Grecia, affermando come cosa
indubitabile e certa, che Demostene venne a finire i suoi giorni nella Calabria. Ma io mi maraviglio, che un uomo
erudito abbia potuto prendere un sì solenne equivoco, poiché basta leggere attentamente gli antichi Scrittori Greci per
riconoscere, ch’essi parlano di una picciola Isoletta del mare Egeo detta Calauria, in cui Demostene rifugiossi, quando
vide Atene vicina a cadere sotto il dominio di Antipatro, e ove poscia col veleno si uccise.
102 Lib. XII p. 322.
103 Lib. XV pag. 507.
104 Ib. pag. 476.
105 Di Callia parla più a lungo Diodoro ne’ frammenti pubblicatine dal Valesio, e ne parla anche Suida narrando, che
poco buon nome ottenne colla sua Storia, perciocché avendogli il Tiranno Agatocle fatti copiosi doni, pe’ quali avea
radunate grandi ricchezze, prostituì vilmente la Storica sincerità, e ricolmò di non meritate lodi un Principe, che a tutti i
sudditi era per la sua crudeltà odiosissimo.
106 Eclog. ex lib. XXI.
107 Vol. I in Marcian p. 63. Vol. II in Scymn. p. 7.
108 Epist. ad Pomp. de præcip. historicis.
109 Lib. V sub init.
110 Oltre gli Scrittori di Storia qui indicati alcuni altri ne troviam rammentati in Suida, e singolarmente un Ipi da Reggio,
che a’ tempi, dice egli, delle guerre Persiane (e volle forse dire di quelle contro di Perseo), fu il primo a illustrare le cose
Siciliane, e cinque libri di Storia ne scrisse, e ci lasciò innoltre altri libri sulle origini, ossia su’ primi abitatori d’Italia,
sulla Cronologia, sulle Storie de’ Greci ec., un Lico, detto ancor Butera, parimenti da Reggio, padre del Tragico
Licofrone (che però in altro luogo dicesi da Suida figlio solo adottivo di Lico), che visse a’ tempi d’Alessandro il
Grande, e scrisse le Storie della Libia e della Sicilia, e un Polo da Girgenti, che ci diede una Genealogia di tutti i
Capitani, ch’erano stati alla Guerra di Troja, e la Storia delle loro vicende.
111 Hist. de Sicil. T. I p. 25.
112 T. IV p. 400.
113 Bibl. n. LXX.
114 Bibl. Græc. t. II p. 772.
115 De fals. Relig. lib. I c. XI.
116 Intorno a tutti questi e più altri Scrittori, che nella Magna Grecia e nella Sicilia fiorirono in questi tempi, molte
notizie ci ha date Costantino Lascari nel suo Opuscolo: De Scriptoribus Græcis patria Siculis pubblicato già dal
Maurolico, poi dal Fabricio, e più recentemente dall’Ab. Zaccaria (Bibliot. di Stor. Letter. T. III Sem. II p. 408 ec.) con
un altro più compendioso sullo stesso argomento de’ Greci Siciliani, che era già stato pubblicato nelle Memorie per
servire alla Storia Letteraria di Sicilia (Tom. I Art. XIV). Di alcuni però di essi io non trovo menzione presso i più
antichi Scrittori, e non so su quale autorità abbiane il Lascari favellato.
117 Dissert. II de Præstant. & usu Numism.
118 Su questo argomento veggansi ancora le Riflessioni del Winckelmann sulle monete e sulle altre antichità Siciliane e
della Magna Grecia (Storia dell’Arti T. II p. 275 &c. Ediz. Rom.).
119 Antiche Iscriz. di Palermo p. 248.
120 Lib. XI n. 255.
121 De’ Monumenti antichissimi, che nelle Provincie della Magna Grecia o furono una volta, o tuttor vi sussistono, belle
notizie ci ha date il Sig. D. Pietro Napoli Signorelli, il quale ricorda singolarmente i due colossi, uno di Giove, l’altro di
Ercole, che vedevansi in Taranto; e rammenta alcuni altri famosi Scultori natii di quelle Provincie (Vicende della
Coltura delle due Sicilie T. I p. 36 &c.).
122 Lib. XIII n. 175.
123 Intorno alle rovine del tempio di Giove Olimpico di Girgenti, che tuttor vi si veggono, a quello della Concordia nella
stessa Città, di cui conservasi ancora la parte esteriore, e a que’ di Pesto son degne d’esser lette le osservazioni del
celebre Winckelmann inserite nel T. III dell’Edizione Romana della Storia dell’Arte (p. 4, 107 &c.). Riguardo però al
tempio di Giove Olimpico voglionsi leggere ancora le Memorie per le Belle Arti stampate in Roma pel Maggio del
1786, nelle quali si osserva fralle altre cose, che debb’esser guasto il passo di Diodoro, ove dà a quel tempio la



larghezza di soli piedi LX e che dee leggersi CLX. Quanto alle rovine di Pesto esse sono state in questi ultimi anni
grande argomento di disputa tra gli Antiquarj. Il celebre P. Paoli, che le ha nuovamente illustrate, le ha credute d’Ordine
Etrusco. Il Winckelmann nella Prefazione alle sue Osservazioni sopra l’Architettura degli Antichi ha sostenuto, ch’esse
sono d’Ordine Dorico, e questa opinione è stata con nuovi argomenti difesa nelle Memorie per le Belle Arti stampate in
Roma nell’Agosto del 1785 e poscia in quelle del Maggio e del Giugno del 1786 all’occasione di dare l’Estratto del
suddetto Tomo III della Storia dell’Arti del Winckelmann, e quindi il Sig. Ab. Fea medesimo editore dell’opera del
Winckelmann, e sostenitore dell’opinione del P. Paoli, ha poscia cambiata opinione, ed ha abbracciata quella del
Winckelmann. Veggasi ancora il Viaggio Pittoresco di Malta, della Sicilia, e di Lipari, in cui tutto ciò, che degli antichi
edificj tuttor rimane in quell’Isole trovasi diligentemente disegnato ed inciso dal Sig. Hoel Pittore del Re di Francia; e il
Viaggio Pittoresco de’ Regni di Napoli e di Sicilia ec. pubblicato in Parigi in tre tomi di magnifica edizione nel 1785.
124 V. Les Ruines de Pæstum.
125 Fra i più grandiosi monumenti del valore degli antichi Siciliani nella Scultura deesi annoverare il gran Sarcofago
Greco-Siculo, che or serve di fonte Battesimale nel Duomo di Girgenti, opera di raro ed ammirabil lavoro, il cui disegno
si può vedere nelle opere di più illustri Scrittori delle Antichità Siciliane, e in quelle singolarmente del P. Pancrazj, e del
Sig. d’Orville. Ma degna è principalmente da leggersi una erudita ed ingegnosa Dissertazione del Sig. Avvocato
Vincenzo Gaglio Girgentino (Opuscoli d’Autor. Sicil. tom. XIV) nella quale oltre il descriverlo minutamente, si fa a
provare, che ivi si rappresenta la Tragedia d’Ippolito. Aggiungansi a ciò tante altre Statue in marmo e in bronzo, che ne’
diversi ricchi Musei della Sicilia tuttor si conservano, e sempre più si conoscerà chiaramente, che quegli Isolani non
furono ad alcun’altra nazione inferiori nel coltivar le Belle Arti.
126 Lib. III cap. XVII.
127 Lib. VI cap. IV.
128 Hist. de l’Art. tom. II p. 193.
129 Lib. VI cap. IV.
130 Lib. XXXIV c. VIII.
131 Part. I cap. VIII.
132 Lib. XXXV c. IX.
133 V. l’Usage des Statues l. I c. VIII.
134 T. VI p. 305 &c.
135 Lib. VII n. 170.
136 Ælian. lib. IV Var. cap. XV.
137 Lib. I cap. II.
138 In Nem. Od. I.
139 Hist. Crit. Phil. t. I p. 649 &c.
140 T. VI p. 80.
141 Lib. XV pag. 461.
142 Liv. Lib. XL C. 24 n. 43.
143 Geogr. p. 253.

altre note[modifica]

1

De Ill. Gramm. c. I. 

2

Quæst. Rom. 59. 

3

Lib. XVII c. XXI. 

4

Ib. c. II. 

5

Hist. Artis. Crit. ap. Romanos § 12. 

6

In Lexic. ad V. “Crates”. 

7

Loc. cit. 

8

Loc. cit. 

9

Vit. Caton. Cens. 

10

V. Histor. Rom. ad hunc an. 

11

Acad. Quæst. l. IV num. 33. 

12

V. Frainshem. Suppl. Liv. l. LII c. XXI. 

13

Exempl. Virt. & Vit. c. LXXIII. 

14

Tusc. Quæst. l. II n. 26. 

15

De Orat. l. II n. 37. 

16

Or. pro Archia n. 7. 

17

Lib. I Histor. c. XIII. 

18

Cic. de Fin. l. II n. 8. 

19

Lo studio della lingua Greca cominciò fin da questi tempi in Roma a rivolgersi in abuso. Narra Suida, e assai prima di 

lui avea narrato Polibio (Excerpta ex Legat. apud Vales. p. 189, 190), che Aulo Postumio uomo di nobilissima nascita, ma leggero e loquace oltre modo, fin da fanciullo diedesi allo studio della Lingua Greca, ma in sì affrettata maniera, che la Greca Letteratura divenne odiosa a’ più saggi, che erano in Roma. Volle poscia scrivere un Poema e una Storia delle cose della Grecia, e lusingossi di ottener lode presso i dotti dicendo nell’esordio, che era degno di compatimento, se essendo Romano avea scritto in Greco; ridicola scusa, dice Polibio, e somigliante a quella di chi essendosi spontaneamente offerto alla lotta, se ne scusasse poscia, perché non ha forze ad essa bastevoli. 20

De Cl. Rhetor. c. I. 

21

L. XV c. XI. 

22

Gell. lib. VII c. XIV; Plutarch. in Caton. Cens. ec. 

23

Hist. Crit. Philos. t. II p. 8. 

24

Acad. Quæst. l. IV n. 45. 

25

Tusc. Quæst. l. IV n. 3. 

26

In Caton. Cens. 

27

De Senect. n. 5. 

28

L. VII c. XIV. 

29

De Orat. lib. II n. 38. 

30

Quintil. l. XII c. I. 

31

In Caton. Cens. 

32

Suppl. ad Liv. L. XLVII

Deposito note[modifica]

Note

1 T. IV p. 37 ec.
2 De Cl. Orat. n. 18.
3 Tusc. Quæst. l. I in Exord.
4 Noct. Att. l. XVII cap. XXI.
5 Dec. I L. VII.
6 Mem. de L’Acad. des Inscr. t. XXI p. 191.
7 De Illustr. Grammat. c. I.
8 De Metris.
9 Per mostrare, che Livio Andronico non era veramente Greco di nascita, ma Italiano nato nella Magna Grecia, ho
affermato, che, se Livio era veramente Greco, non si potrà facilmente spiegare, come divenisse egli schiavo de’
Romani, che non aveano allor co’ Greci né guerra, né commercio alcuno. Vi è stato chi mi ha opposto, che essendo
allora universale il traffico degli schiavi, poteva Livio ancorché Greco passar nelle mani de’ Romani, comunque essi
non avessero comunicazione co’ Greci. Che ciò potesse accadere, io non ardirò di negarlo. Ma non so, se si possa
additare alcun Greco schiavo in Roma prima di questi tempi. Io ho usato di qualche diligenza per trovar menzione di
qualcheduno di essi; ma inutilmente. Chi ha più agio di me, potrà esaminar questo punto più maturamente. E qualunque
sia l’esito di tai ricerche, si proverà al più, che Livio poteva essere Greco, ma non si proverà, che il fosse certamente; e
il vedere, che gli altri Poeti suoi contemporanei erano comunemente o della Magna Grecia o de’ vicini paesi, sarà
sempre una non leggera congettura a pensare, che di quelle provincie medesime fosse natio ancor Livio.
10 Mem. de l’Acad. des Inscr. t. II p. 187.
11 T.IV p.41.
12 Il Ch. P. Eustachio d’Afflitto Domenicano, che una nuova Biblioteca degli Scrittori Napoletani scritta con erudizione
e con esattezza non ordinaria ha cominciato a pubblicare, conferma, e svolge più ampiamente la mia opinione, che
Andronico fosse natio della Magna Grecia, e innoltre a maggior gloria di quelle Provincie osserva, che esse entrano
ancora a parte delle glorie degli Etruschi, perciocché una parte almeno di esse era anticamente nell’Etruria compresa
(Mem. degli Scritt. Napol. T. I p. 342). Una nuova spiegazione ha egli data del passo di Svetonio intorno alle Scuole
tenute da Andronico e da Ennio, e vuole col Casaubono, che non Græce, ma Græca interpretabantur, si debba ivi
leggere. Veggasi l’opera stessa, poiché troppo a lungo mi condurrebbe l’entrare in sì minute ricerche.
13 Bibl. Lat. T. II l. IV c. I.
14 Vol. IV ejus Oper.
15 L. XXVII c. XXXVII.
16 L. VII c. VII &c.
17 De Cl. orat. n. 18.
18 L. II Ep. I.
19 De Ill. Gramm. c. I.
20 Lib. III.
21 De histor. Latin. l. I c. II.
22 L. XVII c. ult.
23 De Cl. Orat. n. 15.
24 Bibl. Lat. l. IV cap. I.
25 De Histor. lat. l. I c. II.
26 L. III cap. III.
27 T.IV p.43.
28 T. VI p. 472.
29 Ho attribuita la prigionia di Nevio allo sdegno di Metello da lui provocato, e ho aggiunto, ch’io non sapeva, ove
avesse trovato il Quadrio, che Scipione singolarmente fosse da lui oltraggiato, e che questi perciò fosse il principale
autore della disgrazia di questo Poeta. Io ho poi trovato il fondamento dell’opinione del Quadrio, che è seguita ancora
da altri. Gellio riferisce tre versi di Nevio (Lib. VI c. VIII), de’ quali egli dice, che fu quasi evidente, ch’essi ferivano
Scipion l’Africano il maggiore: propemodum constitisse hosce versus a Cn. Nævio Poeta in eum scriptos esse. Ecco gli
accennati versi: Etiam qui res magnas manu sæpe gessit gloriose,


Cujus facta viva nunc vigent, qui apud gentes solus

Præstat, eum suus pater cum pallio uno ab amica abduxit.
Quindi può essere veramente, che Scipione da Nevio offeso con questi versi ne punisse l’ardire col farlo chiudere in
prigione. Ma come Gellio dice solo, che fu quasi certo, che il Poeta volesse punger con questi Scipione, e dall’altra
abbiamo i versi, in cui lo stesso Nevio morde nominatamente Metello, non parmi che l’opinione del Quadrio sia ancora
abbastanza provata. Qui pure doveansi accennare i versi pieni, come dice Gellio (Lib. I cap. XXIV), di Campana
arroganza, che Nevio avea composti, perché fossero incisi sul suo sepolcro, il qual Autore ancor riferisce que’, che da
Plauto e da Pacuvio erano stati composti al fine medesimo, dal primo con non minore alterigia, dal secondo più
modestamente assai.
30 Act. II sc. II.


31 In Notis ad Plaut. ad usum Delph.
32 Loc. cit.
33 V. Festum in “Saturnus”.
34 De Cl. orat. n. 19.
35 Pag. 118 & 881.
36 T. VI p. 472.
37 Ib. p. 623.
38 De Senect. n. 5.
39 V. Calogerà Raccolta d’Opusc. Tom. IV, V. XI.
40 Punicor. l. XII v. 393 ec.
41 Ad lib. VII Æneid. v. 691.
42 V. Dan. Heinsium in notis ad hunc loc.
43 De Viris Illustr. c. XLVII.
44 Liv. l. XXXII c. XXVII.
45 Cic. de Senect. n. 5 & 8; Quintil. l. XII c. XI; Plutarch. in Vit. Caton.
46 Livius l. XXXII cap. XXVII.
47 num. 4.
48 In vit. Caton.
49 Liv. l. XXIX c. XXV.
50 Or. pro Archia n. 11.
51 Tusc. Quæst. l. I n. 2.
52 De laud. Stilic.
53 De Orat. lib. II n. 68.
54 De Cl. Orat. n. 20.
55 Lib. XII cap. IV.
56 Lib. I Epist. XIX.
57 Serenus Sammon. de Medicina cap. XXXVII.
58 De Senect. n. 5.
59 Pro Archia n. 9.
60 Lib. XXXVIII c. LVI.
61 Il sepolcro degli Scipioni qui accennato fu poscia felicemente scoperto l’anno 1780, e se ne può vedere la descrizione
allor data nell’Antologia Romana (An. 1780 num. XLIX p. 385; an. 1781 num. XLVIII p. 377), e se ne è aggiunto
ancora un estratto alla ristampa fatta in Roma di questo primo Tomo; il quale qui da noi si ommette come cosa con
questa Storia non abbastanza connessa.
62 Lib. VIII cap. XIV n. I.
63 L. VII c. XXX.
64 Lib. I v. 117 ec.
65 Saturn. l. VI c. I, II & III.
66 L. II Trist. El. I.
67 L. X c. I.
68 Lib. IX c. III.
69 De Ill. Gramm. c. II.
70 Lib. XVIII cap. V.
71 Bibl. Lat. l. IV c. I.
72 T.IV p.49.
73 De Poet. Lat. lib. I.
74 T.V p.47.
75 De Cl. orat. n. 15.
76 L. III c. III.
77 Ibid.
78 Bibl. lat. l. I c. I.
79 Censura celebriorum Auctorum.
80 Jugement des Sçavans ec.
81 Quintil. lib. X c. I.
82 De Offic. lib. I n. 29.
83 De Art. Poet.
84 De Stud. Mediol. cap. V.
85 Biblioth. Scrip. Mediol.
86 T.IV p.47.
87 L. IV c. XX.
88 L. XXXV c. IV.



89 De Cl. Orat. n. 74.
90 Tusc. Quæst. l. II n. 21; de Divin. l. I n. 57.
91 L. X c. I.
92 De Amic. n. 7.
93 Tom. VI p. 78.
Il Ch. Sig. Canonico Annibale di Leo mi ha poi gentilmente trasmessa copia delle sue Memorie di M. Pacuvio qui da
me accennate, e che sono scritte con molta erudizione e con uguale esattezza. Egli prova assai bene, che la nascita di
questo Poeta dee fissarsi circa l’anno di Roma 534; osserva, che Cicerone, benché riprendesse talvolta lo stil di Pacuvio,
parlò nondimeno più volte con molta lode delle Tragedie da lui composte; nomina gl’illustri amici, ch’egli ebbe in
Roma, e riferisce l’elegante ma semplice iscrizione sepolcrale, ch’ei medesimo si compose, e che ci è stata conservata
da Gellio; mostra, che non ha alcun fondamento ciò, che narrano alcuni, cioè ch’egli avesse tre mogli, e che tutte e tre si
appiccassero a una medesima pianta; ci dà un esatto catalogo di tutte le opere di Pacuvio, altre fino a noi pervenute,
altre perite; e reca finalmente ed esamina il giudizio, che delle Poesie di Pacuvio han dato gli antichi Scrittori.
94 De Cl. orat.
95 Pro Arch. n. 11.
96 Scritt. Ital. T. I Art. “Accio”.
97 De Cl. Orat. n. 45.
98 L. X c. I.
99 V. Pitisci Comment. in Svet. T. II p. 1100.
100 Adelph. Prolog.
101 Reflex. sur la Poetique n. 26.
102 Biblioth. Franc. T. III p. 112.
103 Ib. T. IV p. 330 & 393.
104 Lib. II c. XXIII.
105 Quæst. Tuscul. l. I n. 2.
106 T. IV p. 407 &c.



Nuova[modifica]

Note
                                                          
1 Il valoroso Sig. Ab. Denina amichevolmente si duole (Vicende della Letter. Berlino 1785 T. I), ch’io nulla abbia detto
intorno all’origine della Lingua Latina, dalla qual quistione pareva che dovesse aver cominciamento la Storia della
Romana Letteratura. E io volentieri sarei entrato a parlarne, se avessi sperato di poter dire cose, che a me insieme e agli
altri soddisfacessero. Ma come poteva io lusingarmene? Converrebbe stabilire innanzi ad ogni altra cosa, qual fosse il
primo popolo abitatore delle contrade, che preser poi il nome di Lazio. Se i Trojani vi vennero (il qual fatto sembra ad
alcuni più appoggiato alle finzioni poetiche che agli autentici documenti) essi certo vi trovarono altri abitatori. Ma chi
erano essi? Rutuli, Osci, Aborigeni, e mille altri popoli di mille diversi nomi troviam nominati qual da uno, qual da altro
scrittore, e ognun di essi ha in suo favore l’autorità di qualche altro, che prima di lui l’ha affermato. E ancorché giungasi
a stabilire, che i Rutuli, a cagion d’esempio, furono i primi a popolar que’ paesi, chi ci sa dir con certezza, da qual paese
essi movessero, o qual fosse la lor propria lingua? Se poi parliamo degli Etimologisti, noi troviamo tra essi tanta varietà
di opinioni, che appena sembra credibile, ch’essa possa conciliarsi con quella evidenza, che ad ognun sembra di avere in
favor della sua. Lasciamo stare l’antica e più comune opinione, benché ora combattuta da molti, che la lingua Latina
traesse la sua origine dalla Greca. Avvi chi le dà per madre la lingua Fenicia, e questa opinione al Can Mazzocchi
sembra indubitabile. Il P. Bardetti, seguendo, e illustrando sempre più il parere di altri Scrittori, vuole che la lingua
Celtica, ossia l’antica Germanica, abbia generato la Latina, e ne trova chiarissima la derivazione in molte parole. Chi
crederebbe, che anche la lingua Schiavona dovesse dirsi madre della Latina? E tal è nondimeno la sentenza di M.
l’Evéque nella sua Storia della Russia, il qual si lusinga di averla colle sue osservazioni Etimologiche invincibilmente
dimostrata. In somma io annovero questa tra le quistioni, che non si decideranno giammai, e sulla quale perciò mi è
sembrato, e mi sembra inutile il disputare. Nondimeno io penso (ma senza impegnarmi a difendere il mio pensiero con
una lunga Dissertazione), che fra tutte le opinioni sia la più verisimile quella, che è seguita dal Ch. Sig. Avvocato
Giuseppe Antonio Aldini nella sua bella Dissertazione de Varia Latinæ Linguæ fortuna stampata in Cesena nel 1775,
cioè che la lingua Latina avesse una origine somigliante a quella di Roma; e che come questa formossi da diversi
piccioli popoli, che in que’ contorni abitavano, così dalle diverse lor lingue, o, a dir meglio, da’ diversi lor dialetti si
formasse una nuova lingua, la qual da quel popolo prendesse il nome, che nella fondazion di Roma ebbe la principal
parte, cioè da’ Latini. Ma quali fossero le lingue di que’ tanti piccioli popoli, e qual origine avessero, chi può
indicarcelo?
2 Considérations sur l’Origine & progrès des belles lettres chez les Romains &c. pag. 1 &c.
3 Anno 1750 p. 616.
4 Anno 1750 Fevr. Art. XXIV.
5 T. IV p. 253.
6 In Romulo.
7 Hist. Critic. Philosoph. tom. I p. 347 ec.
8 Hist. de l’Astronm. Ancienne p. 194 & 435 &c.
9 L. IV Quæst. Tusc. in Exord.
10 De Cl. Orat. n. 14.
11 V. sup. P. II c. II.
12 L. II cap. XXVIII.
13 V. sup. p. 13.
14 Pag. 10.
15 An. 1751 Janv. pag. 252, Fevr. p. 466.
16 Tom. II p. 6.
17 Pag. 8 ec.
18 p. 709.
19 L. III c. XLIV.
20 Part. I § V, VI ec.
21 Part. II § I.
22 Principj di una scienza nuova intorno alla natura delle Nazioni
23 Memoir. de l’Acad. des Inscript. t. XII p. 27.
24 Lib. XXXIV c. V.
25 Brut. n. 14, Or. pro Domo n. 54.