Viaggio di un povero letterato/I

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I - In attesa del treno

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Prefazione II
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Capìtolo Primo.


IN ATTESA DEL TRENO.


— Provi a viaggiare — mi disse il professor A*** direttore del Manicòmio di M***, il quale mi onora della sua benevolenza.

— Ah, sì, signore, il viaggiare sento che mi farà più bene che andare alla seconda cantoniera dello Stèlvio, come mi fu suggerito da altri.



«Pensa — dissi a me stesso — che le strade sono tutte tue. È una grande proprietà! Esse si stèndono bianche, notte e giorno, e fàsciano il mondo: non rimane che andare e camminare. Va, dunque, e cammina.» Ma per me ci vorrebbe un’automòbile. Essa va veloce e spezza il pensiero.

Ma io non ho automòbile. [p. 2 modifica]

Io potrei anche salpare per l’Amèrica, come il mio amico poeta, Gigino. L’esportazione di un poeta italiano in Amèrica, mi è sembrato un gran fatto.

Ma io non mi posso allontanare troppo.

V’è alcuna cosa (che potrebbe èssere una pìccola testa bionda di fantolina) che non me lo permette; e quando mi sono dilungato cento, duecento chilòmetri, ecco, mi pare che io sia attaccato ad un filo di gomma; e torno addietro.

Approfittiamo allora del treno. Questo gran mezzo di locomozione può fornire notèvoli illusioni e benefici.

Sdraiato sopra un comodo cuscino, e lanciato ad ottanta chilometri all’ora, sentirò spezzarmi il pensiero, come in automòbile; e niente mi vieta di crèdere che tutti quegli omarini in posizione di attenti al passàggio del treno sìano i miei servitori; e che quella carrozza imbottita di velluto sia la mia; e che tutti quei lumi nella notte rimàngano accesi per me; e che tutti quei superbi capistazione vèglino per la mia incolumità personale. Nè io avrò bisogno di comandare. Oh, cosa bellìssima! Èssere servito e non dover comandare! Parere proprietàrio e non èssere censito! [p. 3 modifica]

Nulla possedendo, io sono padrone di tutto.

Per tutti i detti motivi, ecco dunque: abbonamento di prima classe, serie IV, durata 15 giorni.

Gran lusso la prima classe, lo so; ma era apposta per facilitare la illusione. In prima classe, poi, si rimane spesso padroni dello scompartimento, e c’è più spàzio fra sedile e sedile. E quando si deve urtare con i nostri stinchi contro gli stinchi del nostro pròssimo, allora soltanto si capisce la complicazione di quella legge evangèlica che pare così sèmplice: Ama il tuo pròssimo come te stesso.



Oltre alla tèssera di prima classe, io ero munito di un cappello quasi pànama; di calze quasi di seta; di scarpe nuove di un giallo abbagliante, che mi fùrono garantite come l’ùltima espressione della moda.

Ho preferito poi l’abbonamento anche per evitare la fatica del decìdere. Per me era del tutto indifferente andare verso oriente o verso occidente, vedere Pisa piuttosto che Venèzia. Qualunque [p. 4 modifica]rotàia, compresa nell’abbonamento, andava bene per me. L’importante per me era di abolire un pochino me stesso. E appena ebbi la tèssera, pensai con riconoscenza a quella persona sconosciuta, ma certamente piena di càlcoli, che aveva combinato gli orari e a cui io mi potevo affidare docilmente, anzi piacevolmente.

L’abbonamento cominciava col giorno 2 lùglio (1913). Era questione di sapere quale fosse il primo treno in partenza dopo la mezzanotte.

L’orario che mi offrì un elegante cameriere di un caffè sotto la Galleria, a Milano, diceva che il primo treno che parte dopo la mezzanotte, è un diretto per Venèzia: ore zero e venti. «Andiamo in tale caso a Venèzia» — dissi a me stesso: — cioè montiamo su quel treno, e poi decideremo. Io potrò, se mi piace, scèndere a mezza via, quando sentirò chiamare una stazione il cui nome mi suoni grazioso.



Erano già le ore dieci e tre quarti e tanto valeva attèndere a quel tavolino di caffè l’ora della partenza. [p. 5 modifica]

— Signor cameriere — mi favorisca una birra e qualche sandwich.

I miei pensieri io non ricordo più quali fòssero in quell’ora in cui alternavo delicati sandwiches a fresca birra: ma certamente èrano come in un’atmosfera in cui è calmato il vento. Ed ecco levarsi il tùrbine del vento, perchè passàvano donne, donne, donne con protervi pennacchi e vestite così impudicamente che io sarei stato in diritto di domandare un risarcimento.

Mi affrettai, per ragioni di prudenza, verso la stazione. Però che disgràzia accòrgersi così tardi che il pudore delle donne è un’invenzione degli uòmini.