Viaggio in Dalmazia/Delle Osservazioni fatte nel Contado di Zara/4. Impasti marmorei, che la compongono

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4. Impasti marmorei, che la compongono

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4. Impasti marmorei, che la compongono
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§. 4. Impasti marmorei, che la compongono.

Varie spezie di pietra formano l’ossatura d’Uglian, e degl’Isolotti vicini: ma si possono ridurre a quattro principali. Il più basso strato è marmoreo, con un’infinità di corpi estranei ceratomorfi, cristallizzati in ispato bianco, calcareo. Questi corpi non sono tutti simili di mole, e di configurazione, quantunque siano tutti fistolosi, e recurvi. Alcuni esemplari, ch’io ne conservo, corrispondono alla descrizione dell’Helmintholitus Nautili Orthoceræ del Sig. Linneo1. Il celeberrimo Naturalista crede senza dubbio abitante de’ fondi del Baltico l’originale marino di questa petrificazione, (d’onde non fu però mai tratto vivo, nè in istato testaceo), condotto a ciò dal trovarla frequentissima nel marmo da lui detto Stratario, cioè usato ne’ pavimenti delle strade di molte Provincie a quel mare aggiacenti. Sembra, che il dottissimo Uomo siasi dimenticato questa volta delle tante spezie di piante esotiche, de’ corpi marini stranieri, e delle ossa d’animali terrestri, che si trovano lapidefatte nelle viscere de’ monti d’Europa, nè mai si rinvengono in istato naturale pe’ nostri mari. Io posso impegnarmi, che nell’Adriatico non vivono gli Ortocerati, i quali pur sono petrificati nel marmo dell’Isole, e del Continente di Dalmazia; i pescatori di Coralli ne ànno scopato il fondo quanto basta per farci sapere, che non vi abitano spezie di viventi assai propagate, delle quali ci restino tuttora incogniti gl’individui. Ò [p. 10 modifica]fatto disegnare varj pezzi di questo marmo, ne’ quali veggonsi prominenti gli Ortocerati; e descriverò più minutamente i corpi presivi dentro, quando farò parola dell’Isoletta su di cui ò raccolto i più interessanti. Voi troverete certamente, Eccellentissimo Signore, che fa una strana sensazione al galantuomo quell’asseverante sine dubio, non appoggiato a veruna prova di fatto, e contraddetto poi immediatamente da quel deperditus; e quindi non vorrete condannarmi, se mi sono emancipato fino al dir contro un celeberrimo Uomo, riverito meritamente dalla maggior parte dei coltivatori della Scienza Naturale.

La seconda spezie di marmo d’Uglian, analoga alla pietra ostreifera d’Ulbo, contiene gran quantità d’Ostraciti conservatissime, e riconoscibili, ma non separabili agevolmente dalla troppo resistente pasta lapidosa, in cui stanno prese; si lasciano particolarmente vedere sulla superfizie di que’ pezzi di marmo, che sono stati lungamente esposti all’azione dell’aria, e delle pioggie. Tanto quel primo, ch’è composto d’Ortocerati, quanto questo ostreifero sono di color bianco, ma rigidi, e intrattabili dallo scalpello di chi volesse trarne lavoro men che grossolano. Sarebbe più atto a prender forma sotto l’artefice il terzo, ch’è assai compatto, e ritiene bensì corpi marini, ma così infranti, o così compenetrati dalla sostanza lapidosa, che non si ponno per ignun modo sconnettere. Le sommità de’ colli d’Uglian sono di marmo calcareo, compatto, di parti impalpabili, Istriano, Dalmatino, o Apennino che dir si voglia, da che l’impasto medesimo descritto più addietro come dominante in Ulbo, a vicenda colle breccie domina su le altezze di tutte queste Provincie, e in Italia. Il Donati, descrivendolo meno esattamente che il Linneo, lo chiama Marmo opaco, di grana uniforme, di colore biancastro, ed [p. 11 modifica]à creduto che fosse il Traguriense degli Antichi, non so quanto bene apponendosi2.

Ò per la prima volta veduto su di quest’isola una curiosa spezie di Kermes (se pur questo nome può convenirgli, e piuttosto non si dee formarne un nuovo Genere) sul fico, e non risovvenendomi d’aver letto alcuno Autore che l’abbia descritta, nè d’averne veduto la figura ne’ libri classici d’Insettologia, l’ò voluta far disegnare. Questo insetto è differentissimo dal Faux-Puceron del Sig. di Reaumur, che non si è mai lasciato trovare da me su’ fichi della Dalmazia. Osservi l’E. V. il ramoscello di fico, (Tav. I, Fig. A) su di cui stanno attaccate le Galle, se pur con tal nome ponno esser senza improprietà chiamate queste Crisalidi singolarissime. Egli non è de’ più carichi; v’à tale albero, i di cui rami minori tutti ne sono così eccessivamente coperti, che rassomigliano a un vajuoloso pieno di pustole accavallate. La Figura B. mostra la Galla alcun poco ingrandita; ella è per certo uno de’ più eleganti lavori, che l’Insettologia possa offerire a’ curiosi. La sua cupola è striata, ma così minutamente, che non perde punto della levigatezza se sia guardata coll’occhio nudo. La sommità di essa è costantemente adornata da una papilla, che ricorda quelle nelle quali stanno incastrate le spine degli Echini. La parte inferiore intorno alla base è circondata da otto papille quasi del tutto simili alla superiore, che corrispondono ad altrettanti fermagli, co’ quali si è da prima attaccato per disotto l’animaluzzo alla corteccia. La grandezza di queste Galle è inuguale: ve n’ànno di quelle, che restano mes[p. 12 modifica]chine, e malfatte, per essersi fermato l’animaletto, dal quale tranno l’origine, troppo vicino a due o tre altri, che ànno succhiato il latte della corteccia, col mezzo del quale anch’elleno dovean crescere. Non è da mettere in dubbio, che dall’umore lattiginoso del fico, elaborato pe’ vasi del trasformato animaluzzo, non prenda giornaliero accrescimento la Galla; da che se per qualche disavventura esteriore ella venga guasta alcun poco, si riproduce la parte offesa facilmente, come usano di fare i guscj delle Lumache. Questa particolarità sola par che possa bastare a costituirne un nuovo Genere3. La sostanza del di lei guscio è un cerume, o Lacca, molto analoga al latte seccato dell’albero, su di cui nasce, e propagasi. Non si potevano distinguere le parti dell’animale, allora quando io l’osservai pella prima volta sull’Isola d’Uglian, e ne feci raccogliere buona quantità; in tutte le Galle, ch’io volli esaminare allora, trovai una sostanza mocciosa, di colore sanguigno, che tingeva di bellissimo rosso le dita. Ne portai a Zara nel mese di Giugno un gran cartoccio; e da una picciola porzione di esso ritrassi per la via sempli[p. 13 modifica]ce della decozione un cerume di color incarnato; l’acqua, in cui bollirono le Galle, restò tinta di rosso-giallognolo.

Io ne serbava parecchie da me staccate con diligenza, senza ferire l’animale nascostovi, in uno scatolino, cui per varj giorni non badai punto, distratto da altre occupazioni. All’aprirlo trovai con mia sorpresa, che n’erano usciti innumerabili granellini rossi, i quali esaminati sotto’l microscopio mi si fecero conoscere per ova allungate a somiglianza dei boccioli de’ bachi da seta. Niun vestigio di verme; o di mosca rinvenni nella scatola; nè sospetto che potessero esserne usciti mi potè venire, perch’ella chiudevasi esattamente a vite. Riposi, avendola prima diligentemente chiusa, la mia scatoletta; e quattro o sei giorni dopo, riapertala, vidi un innumerabile esercito d’animaluzzi rossi, che da prima mi parvero aver ali bianche, ma che poi esaminati colle lenti mi si fecero conoscere apteri, da sei piedi, e non ancora del tutto liberi dal guscio dell’ovo, cui portavano su la schiena, in guisa d’ale sollevate, ed unite. Io li rinserrai nella loro prigione, dove morirono in pochi giorni di fame. Non si trovavano nelle campagne de’ contorni di Zara fichi popolati da quest’insetti; e quindi rinunziai al desiderio di veder più oltre. Poco tempo dopo ne rinvenni sull’Isola della Brazza, e in molte Galle, o Crisalidi sorpresi un verme, che mi fe girare il cervello: ma dopo d’avervi ben pensato, io pendetti a crederlo un usurpatore, anzi che un abitator naturale della casa. E vie più in questa opinione mi confermai allora quando mi venne fatto di trovare gl’insettini rossi erranti pe’ rami, indi mezzo istupiditi, e strettamente aderenti alla corteccia. Io mi prometto di riosservarli diligentemente, se mi si presenteranno di nuovo in opportuna stagione. E tanto più mi cresce la voglia di farlo, [p. 14 modifica]quanto che quelle ova rosse ànno di molta rassomiglianza colla grana del Kermes tintorio. Io spero, che stiacciandole, e riunendole in massa prima che sbuccino, o dagli animaluzzi uccisi appena sbucciati si avrà una pasta da farne qualche cosa di ragionevole. Il Quinquerano, cent’ottant’anni sono, scrisse della grana del Kermes circostanze, che molto convengono a questa nuova grana del fico. 4

Non è antica, nè costante questa malattia de’ fichi pell’Isole, e lidi della Dalmazia. Se ’l Verno freddo più dell’usato si faccia sentire in qualche Distretto, il paese resta per quell’anno quasi totalmente libero dagl’incomodi insetti, che fanno un vero danno alla provincia, dove i fichi formano un importante capo di commercio. L’albero, di cui questa genìa s’è impossessata, porta insipidi, e schifosi frutti, perchè ricoperti anch’essi, come le foglie, e i rami, della nuova generazione resavisi di già immobile, e sepolta sotto la sua spoglia di Lacca.

Quando però gli alberi abbiano sofferto per due, o tre anni di seguito questa peste, la corteccia annerita, e tutta cariosa si distacca dai rami, che infracidiscono; l’aspetto loro è squallido anche nel fine di Primavera, e [p. 15 modifica]finalmente il fracidume dall’estremità propagandosi sino alle principali diramazioni, il tronco medesimo ne resta offeso, e perisce. 5

  1. Linn. Syft. Nat. T. III. p. 162. ed. 1768. Habitat sine dubio in abysso maris Balthici, Deperditus; petrificatus nobis frequentissimus in marmore stratario & c.
  2. Donati Saggio d’Istoria Naturale dell’Adriatico, p. VIII.
  3. Parecchi Scrittori non ignobili, fra’ quali Garzia dall’Orto, Bonzio, Montano, Amato Lusitano e Tavernier ànno asserito, che la Lacca della China, del Giappone, e del Pegu sia tratta dall’albero dettovi Fanoski, o Namra da una spezie di formiche alate. Potrebb'esser vero in parte, se non del tutto; da che un insetto più minuto, e debole può estrarre un cerume dal fico. Il Cleyero fin dal 1685, stando a Nagasaki scrisse al Mentzelio che questa era una favola, e che la Lacca traeasi unicamente per incisione: ma fors'egli non avea potuto prender tutti i lumi necessarj. V. Garziae ab Horto Hist. Arom. l. 1. c. 8. Jacobi Bontii Medic. Ind. Arnoldi Montani Hist. Legat. Batav. Soc. Ind. Orient. ad Imp. Japon. Amati Lusitani in Dioscorid. l. 1. Tavernier P. 2. l. 2.
  4. Has autem baccas quando vident in vermiculos abire velle illos aceto, vel aqua frigidissima ex puteo adspergunt, & in loco tepido supra fornacem, seu in sole lente exsiccant, donec moriantur. Aliquando animalcula ista a vesiculis relictis segregant, & extremitatibus digitorum leniter comprehendendo in pilam, seu massam rotundam efformant, quae multo pretiosior est granis, & ideo majori pretio a mercatoribus emitur. Quinqueran. ap. Cestonium, in Ep. mss. ad Vallisnerium Seniorem. Dove si dee notare, che le voci vermis, e vermiculus usavansi frequentemente in quel tempo per indicare un insetto qualunque.
  5. Nel mese di settembre 1773, vale a dire un anno dopo, ch’io avea scritto queste osservazioni, ritornato a Zara non trovai su’ fichi de’ contorni vestigio alcuno dell’insetto. Così io cercai indarno sull’Isole di Cherso, d’Ossero, di Veglia, d’Arbe, e di Pago. Communicai quel poco, ch’io ne ò osservato, al celeberrimo Naturalista sig. Carlo Bonnet, e questo illustre amico mi anima a proseguirne l’esame, come di cosa interessantissima pell’Insettologia non meno che per le Arti.