Vita e morte del Re Riccardo II/Atto quarto

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Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto

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ATTO QUARTO



SCENA I.

Londra. — La sala di Westminster. — Il Clero alla dritta del trono; la Nobiltà alla sinistra; i Comuni al disotto.

Entrano Bolingbroke, Aumerle, Surrey, Northumberland, Percy, Fitzwater, un altro Lord, il Vescovo di Carlisle, l’abate di Westminster, e seguito; uffiziali al di dentro con Bagot.

Boling. Si faccia avanzare Bagot. — Ora parla liberamente e di’ quello che sai intorno alla morte del nobile Glocester. Chi la tramò di intelligenza col re? Qual mano assunse di eseguire quell’ordine sanguinoso, di troncare prima del tempo il filo de’ suoi giorni?

Bag. Fate comparire dinanzi a me lord Aumerle.

Boling. Cugino, avanzatevi e guardate quest’uomo.

Bag. Lord Aumerle, io vi conosco abbastanza ardito per non volere disconfessare quello che la vostra bocca ha una volta dichiarato. Nei tempi iniqui, in cui si statuì la morte di Glocester, io vi udii dire: «il mio braccio è abbastanza lungo per abbattere, dal seno della corte d’Inghilterra, la testa di mio zio a Calais». Fra molti altri propositi che teneste in quei tempi, diceste ancora che avreste rifiutata l’offerta di centomila scudi, piuttosto che acconciarvi col ritorno di Bolingbroke; aggiugnendo che massima ventura di questo regno sarebbe stata la di lui morte.

Aum. Principi e nobili lordi, qual risposta degg’io fare a quest’uomo da nulla? Dovrò io disonorare l’illustre stella della mia nascita, discendendo fino a lui, per punire la sua insolenza? Ciò m’è pur troppo necessario, a meno che non acconsentissi di vedere il mio onore macchiato dall’accusa della sua bocca calunniatrice. Eccoti il pegno. (gli getta il guanto) È per te arra di morte e condanna d’inferno. — Sosterrò a spese del tuo vil sangue, indegno di macchiare lo splendore della mia spada da cavaliere, che quello che hai detto è falso.

Boling. Fermati, Bagot, ti vieto di accettarlo. [p. 120 modifica]

Aum. Eccetto uno, vorrei che il più illustre di quest’assemblea mi avesse fatto tale insulto.

Fitz. Se il tuo valore ha tanto a cuore la eguaglianza, ecco mio guanto, Aumerle, che oppongo al tuo. Per questo puro sole che ci rischiara entrambi, io ti ho inteso dire, e di ciò ti esaltavi, che eri l’autore della morte del nobile Glocester. Se lo nieghi, mentisci vilmente, e con questa spada farò rientrare la tua menzogna nel cuore in cui è stata fabbricata.

Aum. Vile, tu non oseresti vivere fino al dì di tal combattimento.

Fitz. Per la mia anima, vorrei che seguisse in quest’istante.

Aum. Fitzwater, tu consacri così la tua anima all’inferno.

Percy. Menti, Aumerle. Il suo onore è così puro in questa sfida, come vero è che tu manchi alla verità, e getto il mio pegno ai tuoi piedi, parato come sono a provartelo anche coll’ultimo soffio della vita. Rialzalo se l’osi.

Aum. S’io nol rialzo, possa la mia mano infracidarsi e non sollevare mai più un ferro vendicatore sul lucido elmo del mio nemico!

Lord. Spergiuro Aumerle! Io pure sfido il tuo coraggio, e ti do tante mentite, quante accumularne potrei nelle tue perfide orecchie, nel corso di due soli. Il mio onore è compromesso: mettilo alla prova, se ardisci.

Aum. Chi altri di voi vuole assalirmi? Pel Cielo, vi accetterò tutti: non ho che un cuore, ma dotato di bastante ardire per reggere all’urto di venti di voi.

Sur. Milord Fitzwater, io mi rammento del tempo in cui vi intrattenevate con Aumerle.

Fitz. Milord, è vero: voi eravate presente allora; e potete attestare che dico la verità.

Sur. Quello che dite, lo giuro al Cielo, è così falso come il Cielo è vero.

Fitz. Surrey, tu menti.

Sur. Garzone senza onore. Questa mentita sarà confidata alla mia spada, e tu sentirai il suo ferro vendicatore, fino che ti lasci così immobile sotto terra, come lo è il cranio di tuo padre. Accetta la sfida, se hai cuore.

Fitz. Stolto, quale imprudenza è la tua di irritare un lione già furioso? Come è vero ch’io mangio, bevo e respiro, ardirei affrontare Surrey in un deserto, e rigettargli in volto la sua indegna menzogna; con ciò la mia parola s’impegna a punirti come lo meriti. Ma possa io prosperare in questo mondo ancora nuovo [p. 121 modifica]per me, come è vero che Aumerle è colpevole di quello ch’io gli rimprovero: inoltre udii dire a Norfolk bandito, che fosti tu, Aumerle, che mandasti due dei tuoi sgherri per assassinare il nobile duca a Calais.

Aum. Qualche anima onesta mi presti un altro guanto da gettare, onde provare che mente anche Norfolk. Se Norfolk dovesse ritornare, egli sia tenuto a difendere il suo onore.

Boling. Tutte queste sfide resteranno sospese, fino alla venuta di quel duca: ei sarà richiamato, e sebbene mi sia nemico, verrà rimesso nei suoi domimi, e giustificherà il suo onore contro di Aumerle.

Ves. Non mai si vedrà quel giorno glorioso. — Il bandito Norfolk ha combattuto cento volte pel Redentore: lungo tempo ha portato nei campi dei cristiani lo stendardo della croce, contro i Mori, i Turchi e i Saraceni; finchè, stanco delle sue opere guerriere, si è ritirato in Italia, e là nella bella Venezia ha reso il suo capo alla terra, la pura sua anima a Gesù Cristo suo Signore, sotto i cui vessilli aveva per tanto tempo militato.

Boling. Che! Vescovo, è morto Norfolk?

Ves. Sì, come è vero ch’io vivo, signore.

Boling. Una pace lieta guidi la sua anima nel seno del buon vecchio Abramo! — Signori, le vostre sfide resteranno sospese fino a che vi assegniamo il giorno di compierle.

(entra York con seguito)

York. Gran duca di Lancastro, vengo a te per parte dello sfortunato Riccardo, che, caduto in tanta costernazione, ti nomina suo erede di buon animo, e cede suo illustre scettro alle tue mani regie. Ascendi al suo trono da cui egli è ora disceso, e una lunga vita arrida ad Enrico quarto.

Boling. In nome di Dio io occuperò il seggio regale.

Ves. Iddio nol voglia! — Quello che oserò dire alla vostra augusta presenza, potrà increscervi: ma la parte che meglio mi si addice è quella della verità. Se Dio volesse che vi fosse in questa illustre assemblea un uomo abbastanza grande, per divenir giudice legittimo del nobile Riccardo, la sua elevazione stessa, e una vera nobiltà gli insegnerebbero ad astenersi da una ingiustizia sì rea. Qual suddito può pronunziare la condanna del proprio re? E chi fra di quelli che siedono qui non è soggetto di Riccardo? I ladri non sono mai condannati, senza essere intesi, per quanto evidente sia l’apparenza del loro delitto; e l’imagine della Maestà di Dio, il suo rappresentante sopra la terra, il suo augusto luogotenente, eletto coronato, consacrato e possessore [p. 122 modifica]del trono da tanti anni, sarà giudicato da un suo soggetto, da un suo subalterno, senza neppur essere presente? Oh Dio! non permettere che in paese cristiano, uomini civili diano al mondo l’esempio di attentato sì odioso e reo! Io parlo a sudditi, ed è un suddito che, animato dall’ispirazione del Cielo, alza la voce per prendere arditamente la difesa del suo re. Milord di Hereford che è qui presente, e che voi chiamate re, è un traditore al legittimo sovrano del superbo Hereford; se lo incoronate, io vi predico che il sangue inglese feconderà queste glebe, e che le generazioni future saranno punite per tanto delitto. La pace andrà a stabilire il suo dolce imperio presso gl’infedeli; e in quest’isola, suo soggiorno naturale, la guerra armerà le famiglie contro le famiglie, i parenti contro i parenti; il tumulto, i disordini, gli orrori e la rivolta abiteranno in questo regno; e questa terra, fatta bianca dalle ossa dei suoi abitatori, verrà chiamata il campo del Golgota. Oh! se voi innalzate una casa regia contro altra casa regia, date luogo alla più fatale rottura che mai funestasse questa contrada. Prevenite tale sventura: opponetevi a tanta ingiustizia: non mai si compia, se non volete che i figli dei vostri figli gridino abbominio contro i loro padri!

Nort. Parlaste assai bene, signore; e in mercede della vostra eloquenza vi sospendiamo qui come colpevole di alto tradimento. — Signore di Westminster, sappiate vegliare su di lui fino al giorno del suo processo. — Volete, o lordi, concedere ai Comuni la loro inchiesta?

Boling. Si introduca Riccardo, onde abdichi pubblicamente: allora avremo proceduto colle debite forme e saremo tutelati da ogni rimprovero.     (esce)

York. Io lo condurrò.

Boling. Voi, lordi, che siete qui arrestati per nostra autorità, date le vostre cauzioni per assicurarci che verrete il giorno in cui dovete risponderci. — Noi dobbiamo assai poco alla vostra affezione (al vescovo) e poco contavamo sul vostro appoggio.

(rientra York col re Riccardo, ed ufficiali portanti una corona)

Ricc. Oimè, perchè debbo io comparire dinanzi ad un re prima di aver perduto ogni regio sentimento e l’amore di un trono, su di cui tanto tempo mi assisi? In così breve tempo non ho potuto apprendere a piaggiare, a supplicare, a genuflettere. Date al mio dolore il tempo di avvezzarsi a questo abbassamento. E nondimeno (guardando intorno) io ben ricordo ancora i volti di queste persone..... Non furono esse mie suddite? Non mi dissero più [p. 123 modifica]volte: omaggio e rispetto al re? È così che Giuda salutava Gesù; ma egli fra dodici discepoli non ne trovò che uno malvagio; io in dodici mila uno non ne trovo che mi gridi letizia! Alcuno che dica: così sia! A me dunque conviene essere il sacerdote e il chierico che canta e risponde? — Sia: e dame medesimo venga l’Amen. Dio conservi il re! Quantunque io non sia più re, dicasi: così sia; e questo sancisca il Cielo, se il Cielo vede in me ancora un sovrano. — Per quale oggetto venni io qui condotto?

York. Per compiere la vostra libera volontà; per esprimere l’offerta che Vostra Maestà, stanca del trono, ha fatta ella stessa; la cessione della vostra, grandezza e della vostra corona a Enrico Bolingbroke.

Ricc. Datemi la corona. — Prendete, cugino, prendetela. La mia mano la tiene da questa parte; la vostra la tenga dall’altra. Ora questa corona d’oro somiglia a un profondo pozzo, al disopra del quale stanno sospesi due secchi che si riempiono l’uno col moto dell’altro. Il secchio vuoto scorre per l’aere; l’altro sta in fondo invisibile e pieno di acqua. Quest’ultimo riboccante di lagrime sono io, che sommerso stommi ne’ miei dolori, intantochè voi vi alzate verso la cima.

Boling. Avevo creduto che abdicaste di buon grado.

Ricc. La mia corona, sì; ma i miei dolori mi rimangono sempre; voi potete togliermi gli onori e le grandezze, ma non i dolori: di questi rimango sempre re.

Boling. Una parte me ne trasmettete, cedendomi la corona.

Ricc. Le cure che vi assumete non mi tolgono le mie. La cagione de’ miei sospiri è la perdita delle cure alle quali l’abitudine mi aveva avvezzo; e la cagione dei vostri sono le cure nuove che si aggravano su di voi. Le inquietudini che cedo mi restano anche dopo averle cedute; e sebben seguano la corona, non però mi abbandonano.

Boling. Non è di buona voglia che rinunciate alla corona?

Ricc. Sì, e no. Sì, perchè vi sono astretto. No, perchè è a te che la cedo. — Ora ascoltatemi, che vuo’ porre a nudo me stesso. Io libero il mio capo di questo grave diadema, e il mio braccio dal fardello di questo scettro: strappo dal mio cuore l’orgoglio dei re e le care gioie del comando; cancello, colle mie lagrime, il sacro carattere che mi impresse l’unzione santa; rigetto la mia corona dalla mia mano; abiuro colla mia bocca la mia grandezza; sciolgo tutti i miei sudditi dai loro giuramenti; rinunzio alla pompa e alla maestà regale; anniento tutti i miei atti di sovranità, tutti i miei decreti e tutte le mie leggi. Iddio perdoni i voti [p. 124 modifica]che mi furono fatti, e che sono stati violati! Iddio conservi inviolabili tutti i giuramenti che a te (a Boling.) fatti vengono! Ei tolga ogni dolore a me, che non posseggo più nulla: e te in tutto appaghi, te, che di tutto sei possessore. Possa tu vivere lungo tempo assiso sul trono di Riccardo; possa Riccardo discendere in breve nell’abisso del sepolcro! Dio conservi il re Enrico! È il voto dell’ex monarca. Che rimane di più?

Nort. Nulla più rimane, fuori che di leggere da voi stesso coteste accuse (presentandogli un foglio); questi delitti odiosi, commessi da voi e dai vostri ministri contro le leggi e gli interessi di questo regno, onde, dopo la vostra confessione, il popolo sia convinto che venite giustamente deposto.

Ricc. Son io ridotto a tanta umiliazione? Debbo rivelar qui tutte le mie follie? Gentile Northumberland! se le tue colpe fossero registrate in un libro, non arrossiresti di farne lettura dinanzi a questa assemblea? E se la facessi, qual nero delitto non vi troveresti? — La deposizione di un re e la rottura violenta dei sacri vincoli di un giuramento, ti condannerebbero senza speranza a un eterno castigo. — E voi tutti che mi attorniate e i di cui sguardi, rivolti in me, godono dello spettacolo della mia estrema miseria (sebbene alcuni di voi, come Pilato, se ne lavino le mani, e affettino di mostrare una pietà esteriore), voi siete giudici iniqui che mi avete schiacciato sotto la mia dolorosa croce: siete macchiati di colpe, di cui nessun’acqua potrà mai detergervi.

Nort. Milord, affrettatevi; leggete queste accuse.

Ricc. I miei occhi sono pieni di lagrime; non ponno vedere: e nondimeno il pianto non mi accieca così da non discernere la frotta di traditori che mi circonda. Ma se rivolgo gli sguardi in me stesso, anche in me veggo un traditore; perocchè io diedi il consentimento della mia volontà per ispogliare la mia persona della regal pompa, cangiare la grandezza in viltà, il sovrano in ischiavo, la maestà in servitù, un monarca in un plebeo oscuro.

Nort. Mio signore.....

Ricc. Nol sono più, uomo altero, nè il sono d’alcun altro; io non ho più nome, nè titolo, non quello pure che mi fu dato sui fonti battesimali... tutto venne usurpato. — Oh sciagurato giorno, in cui non pure un nome mi resta! Così foss’io un re di neve esposto al sole di Bolingbroke, per fondermi goccia a goccia! — Buon re..... gran re..... (e nondimeno non grandemente buono) se la mia parola serba ancora qualche valore in Inghilterra, fa che mi si rechi uno specchio, ond’io vegga qual è il mio volto, dopo che ha perduto la maestà sovrana. [p. 125 modifica]

Boling. Vada qualcuno di voi a prenderlo.

(esce uno del seguito)

Nort. Intanto leggete questo scritto.

Ricc. Demonio, tu mi cruci anzichè io venga all’inferno.

Boling. Non lo eccitate di più, signore di Northumberland.

Nort. Senza tal formola i Comuni non saranno paghi.

Ricc. Lo saranno. Leggerò abbastanza allorchè vedrò il libro vivo, in cui stanno scritti tutti i miei peccati. Tal libro sono io stesso: (rientra l’uomo del seguito collo specchio) datemi quel cristallo, in cui scernerò bene. — (si guarda) Oh! queste rughe non si sono di più profondate? Il dolore che ha confitti tanti colpi su questo volto, non vi ha lasciate orme più più visibili? Oh specchio, tu mi aduli, come mi adulavano i miei cortigiani nei giorni della mia prosperità; tu mi inganni! — È questa quella fronte la di cui maestà teneva ogni giorno, sotto i dorati tetti dei suoi palagi, più di diecimila soggetti, attenti a’ suoi ordini; e che, come sole, feriva del suo splendore la vista di coloro che la contemplavano? È questo il volto che si è prestato a tante follie e che è stato alfine ecclissato dalla stella di Bolingbroke? Quanto fragile è la gloria che ride su questo volto; (getta in terra lo specchio) e fragile come la sua gloria è il volto stesso che andò in mille brani. Nota, re, che ti stai silenzioso, la moralità di questo atto. — Con qual rapidità il mio dolore ha distrutto il mio volto!

Boling. L’ombra del vostro dolore ha distrutta l’ombra del vostro volto.

Ricc. Ditelo di nuovo. L’ombra del mio dolore? Vediamo. — Sì, è vero, il mio dolore è anche intero al di dentro di me; e queste esterne mostre non sono che imagini di mali invisibili che cruciano in silenzio la mia anima. In essa siede veracemente il dolore, e della tua somma bontà, o re, ti ringrazio, perocchè non solo mi dai motivo di gemere, ma mi insegni anche il modo con cui debbo rammaricarmi. Io non vi chiederò più che una grazia, e poscia me ne andrò. L’otterrò io?

Boling. Chiedetela, gentil cugino.

Ricc. Gentil cugino? Ah, ora son maggiore dei re: perocchè quand’ero re i miei adulatori non erano che sudditi; ora che son suddito ho per adulatore un sovrano. Essendo quindi sì grande, non ho bisogno di chiedere.

Boling. Nondimeno chiedete.

Ricc. Ed otterrò?

Boling. Otterrete.

Ricc. Allora datemi la licenza di andarmene. [p. 126 modifica]

Boling. Dove?

Ricc. Dovunque vorrete, purchè sia lungi dalla vostra presenza.

Boling. Ite; qualcuno di voi lo conduca alla Torre.

Ricc. Bene sta! Lo conduca! — Siete tutti giullari voi che vi inalzate sì alacri alla caduta di un legittimo re.

(esce con alcuni lordi e le guardie)

Boling. Al prossimo mercoledì fermiamo il solenne nostro incoronamento. A ciò, o lordi, apparecchiatevi. (escono tutti, tranne l’Abate, il vescovo di Carlisle e Aumerle)

Ab. Noi assistemmo a una scena di sventura.

Vesc. Le sventure accadranno dopo. I fanciulli, che non i ancor nati, espieranno questo dì con crudeli dolori.

Aum. Ministri dei sacri altari, non v’ha egli mezzo per salvare il regno da tanta ignominia?

Ab. Prima ch’io favelli, esigo da voi il giuramento di seppellire in fondo al vostro cuore i miei disegni, e di compiere tutte ciò che potessi divisare. — Veggo che i vostri visi sono pieni di cruccio, i vostri cuori di dolore, e i vostri occhi di lagrime. Venite da me stasera a dividere il mio desco, e vi porrò a parte di un’opera che ci empirà tutti di gioia.     (escono)