Vite dei filosofi/Libro Primo/Vita di Ferecide

Da Wikisource.
Libro Primo - Vita di Ferecide

../Vita di Epimenide ../Annotazioni IncludiIntestazione 7 maggio 2022 75% Da definire

Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Primo - Vita di Ferecide
Libro Primo - Vita di Epimenide Libro Primo - Annotazioni

[p. 66 modifica]

CAPO XI.


Ferecide.


I. Ferecide figlio di Babio, da Siro, come dice Alessandro nelle Successioni, fu uditore di Pittaco.

II. Narra Teopompo ch’egli il primo scrisse pe’ Greci Della Natura, e degli Iddii. Molte cose mirabili si raccontano di lui: che passeggiando lungo il lido samio, e veduta una nave viaggiare con prospero vento, disse che fra non molto sarebbe affondata, e che, lui veggente, affondò — che bevuta dell’acqua tratta da un pozzo, predisse che fra tre giorni sarebbe stato tremuolo, e che fu — che ritornato da Olimpia a Messene, consigliò a Perilao suo ospite di sloggiare colla famiglia, che non se ne persuase, e che Messene fu presa.

III. Scrive Teopompo ne’ Mirabili, che e’ diceva a Lacedemoni di non apprezzare nè l’oro, nè l’argento; che a lui ciò aveva ingiunto Ercole in sogno, il quale la stessa notte aveva comandato anche ai re di credere a Ferecide. Altri queste cose attribuisce a Pitagora.

IV. Narra Ermippo che essendovi guerra tra Magnesii ed Efesii, Ferecide, desiderando vincessero gli Efesii, interrogò uno che passava, donde e’ fosse? e rispondendo che da Efeso, soggiunse: Strascinami dunque per le gambe e ponimi sulle terre de’ Magnesii e [p. 67 modifica]annunzia a’ tuoi cittadini, che dopo che avranno vinto, mi seppelliscano colà. Annunziò costui queste cose che avea ingiunte Ferecide; ed essi il dì seguente, fatta incursione, vincono i Magnesii, e ricercato Ferecide con gran curiosità, lo seppelliscono nel luogo stesso e magnificamente lo onorano.

V. Alcuni affermano però che ito a Delfo, precipitasse sè stesso dal monte Coricio. Aristosseno, nel libro ove tratta di Pitagora e de’ suoi famigliari, dice, che ammalatosi, fu da Pitagora sepolto in Delfo. Altri che finì di vivere consumato da’ pidocchi, e che quando Pitagora gli s’accostò e lo interrogò come stesse, facendo passare il dito dalla porta, rispose: La pelle il manifesta. E d’allora in poi quella frase dai filosofi si ponea significare le cose peggiori: e chi ne usa in meglio s’inganna — Diceva pure che gli Dei chiamano tuoron (θυωρὸν) la mensa.

VI. Androne di Efeso afferma che due furono i Ferecidi da Siro: l’uno astrologo, l’altro teologo, figlio di Babio, cui era dedito Pitagora. Eratostene uno solo, ed un altro ateniese, genealogista — Si serba del Sirio il libretto che e’ compose, il quale principia: Giove certo e Crono e Tellure (Χρόνος) erano sempre; il nome di Terrena poi (Χθονίῃ) venne alla Terra (Γῆ) dopo che Giove le diede premio — e serbasi nell’isola di Siro anche il quadrante.

VII. Duri nel secondo libro Dei Confini narra che fu scritto sul suo sepolcro quest’epigramma:

     Tutta finisce in me la sapienza
     Di’ queste cose, se di più ne vuoi,

[p. 68 modifica]

     A Pitagora mio, che a tutti è primo
     Per l’ellenica terra — Io qui non mento.

E di lui dice Ione da Chio:

     Di virtù al pari e di pudore ornato
     Pur moria ha vita l’anima soave!
     Di Pitagora al pari verace saggio
     Vide e studiò degli uomini i costumi.

E nostro è questo in metro Ferecrazio:

     Dell’illustre Ferecide, cui Siro
     Già partoriva, è detto che, i pidocchi
     Il primiero mutatone sembiante,
     Tosto imponesse sul magnesio suolo
     D’esser deposto, onde l’efesio avesse
     Popolo generoso alfin vittoria
     Imperocchè l’oracolo, ch’ei solo
     Conoscea, queste cose aveva imposto
     E moriva colàGiovevol dunque
     È il verace sapiente e vivo e morto.


VIII. Nacque nella cinquantanovesima olimpiade, e scrisse quest’epistola:

Ferecide a Talete.

„Oh muoia tu bene, quando il destino ti sopravvenga! La malattia mi aveva già sorpreso al ricevere delle tue lettere. Tutto io formicolava di pidocchi, ed aveva la febbre continua. Ingiuusi adunque a’ miei schiavi, sepolto che mi avessero, di recarli le cose ch’io ho scritto. Tu, se cogli altri sapienti [p. 69 modifica]le approverai, le metterai in luce, se non le approverai, non le farai vedere, che a me pure non piacevano. Nessuna certezza v’ha delle cose; nè io prometto o conosco la verità. Chi trasdegliesse le teologiche, è mestieri che congetturi il resto, poichè tutto è oscuramente dettò, lo sono sempre più tormentato dal male, nè ammetto alcun medico, nè gli amici. A quelli che mi assistevano alla porta e m’interrogavano com’io stessi, fatto passare il dito dalla toppa, mostrai come fosse il male feroce, e loro annunziai che alla dimane venissero ai funerali di Ferecide.“

E questi sono coloro che si appellano sapienti, ai quali alcuni ascrivono anche Pisistrato. Ora è mestieri parlare dei filosofi; e prima dobbiamo incominciar dalla filosofia Ionica, della quale fu istitutore Talete, di cui era discepolo Anassimandro.