Vite dei filosofi/Libro Secondo/Vita di Stilpone

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Libro Secondo - Vita di Stilpone

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Secondo - Vita di Stilpone
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CAPO XI.


Stilpone.


I. Stilpone megarese, di Grecia, udì alcuni successori di Euclide. V’ha chi afferma anzi ch’egli avea udito lo stesso Euclide ed anche Trasimaco corinzio, il quale, al dire di Eraclide, era famigliare d’Ictia.

II. Tanto nella facilità del dire e nell’erudizione, andò innanzi costui, che mancò poco non tutta la Grecia, rivolti in esso gli occhi, megarizzasse. Parla di ciò, in questi termini, il megarese Filippo: Tolse a Teofrasto, Metrodoro lo speculativo e Timagora geloo; ad Aristotele da Cirene, Clitarco e Simia, dei dialettici Peonio ad Aristide, e Difilo bosforiano d’Eufanto e Mirmece enetense, venuti per confutarlo, ebbe entrambi a zelatori. Quindi oltre costoro, tirò a sè Frasidemo peripatetico e fisico sperimentato, e il retore Alcimo, il primo di tutti i retori che fossero in Grecia, e Cratete ed altri più uccellò; e poi anco Zenone fenicio si rapì con costoro.

III. Era civilissimo, e avea menato moglie, ma conviveva colla cortigiana Nicarete, come afferma in qualche luogo Onetore. Ebbe anche una figlia scostumata, la quale sposò Simia siracusano, un suo famigliare. Non vivendo come si conveniva, un tale disse a Stilpone che [p. 160 modifica]costei lo disonorava; ed egli, non più, soggiunse, di quello ch’io la onori.

IV. Raccontasi ch’ei fosse accetto a Tolomeo Sotere, il quale, divenuto padrone di Megara, gli diede del danaro e lo pregò di navigar seco in Egitto; ma ch’egli ricevuta qualche piccola porzione di danaro e rifiutando quell’andata, passò in Egina, finchè il re mise alla vela. — Che anche Demetrio il figlio di Antigono, avendo presa Megara, fece guardare la casa di lui, e provvide che gli fosse restituita tutta la roba tolta; e che volendo procurarsi una nota delle cose da esso perdute, ei gli disse: Nulla aver perduto che fosse propriamente suo, poichè nessuno gli aveva portato via la dottrina, e possedere la ragione e la scienza. E disputando con lui intorno al beneficare gli uomini, così lo strinse da’ farsi abbadare.

V. Narrasi aver lui, sul conto della Minerva di Fidia, interrogato un tale con queste parole: Minerva, la figlia di Giove, è ella un Dio? E dettogli, Si; questa però, soggiunse, non è di Giove, ma di Fidia! E consentendo quegli; dunque, rispose, essa non è un Dio. Per la qual cosa citato all’Areopago, non negò, ma ripetè di aver rettamente parlato, poichè essa non era un Dio, ma una Dea, e gli Dei erano maschi. Non pertanto gli Areopagiti comandarono ch’egli uscisse della città. E narrasi che Teodoro soprannomato Dio, disse per motteggiarlo: donde ciò seppe Stilpone? o, rialzatile i panni, n’ha contemplato l’orto! Costui veramente era arditissimo; gentilissimo Stilpone. — Interrogatolo Crale se gli dei aggradivano le [p. 161 modifica]adorazioni e le preghiere, dicono aver risposto: Di queste cose, sciocco, non interrogarmi in istrada, ma da solo. — Ed anche Bione, interrogato dallo stesso se vi erano iddii, aver risposto:

     Allontana da me, vecchio infelice.
     La folla.

VI. Era Stilpone, semplice, non atto ad alcuna simulazione e pari ad uom comune. E però a Crate il cinico, il quale una volta non rispose a chi lo aveva interrogato, ma lasciò correre un vento, sapeva, disse, che piuttosto di ogni cosa avresti parlato, che di quello che fosse conveniente. — Che più; una volta presentandogli esso un fico secco ed un’interrogazione, lo prese e il mangiò. E quello, oh Ercole, sclamando, ho perduto il fico! Non solo, soggiunse, ma anche l’interrogazione, della quale fu arra il fico. — Un’altra volta, vedendo Crate consumarsi nel verno, oh Crate, dissegli, parmi che tu abbia mestieri di mantello nuovo. — Ciò che era mente e mantello (ἱματίου καὶ νοῦ). — A che fattosi rosso prese a parodiarlo così:

     Anco Stilpone da gran mali oppresso
     Vidi io stesso in Megara, ove Tifeo
     È fama aver suoi letti. Ivi di molti
     Amici in mezzo disputava, usando
     I suoi seguaci una virtù di nome.

È fama che in Atene si attirava gli sguardi degli uomini per sì fatta maniera che dalle botteghe accorrevano insieme per vederlo; e che uno avendogli detto, [p. 162 modifica]Stilpone, ti ammirano come una fiera! Non già, riprese, ma come un verace uomo.

VII. Essendo nelle deputazioni assai formidabile, togliea di mezzo anche la specie e affermava, che, chi dice l’uomo è, dice nessuno; perchè non dice nè questo, nè quello. E perchè piuttosto questo che quello? Dunque neppur questo. — E nuovamente: Il camangiare non è quello che si vede; perchè certamente il camangiare era già mill’anni; dunque non è questo camangiare. — Narrano che conversando con Crate si affrettò nello stesso tempo di comperare un pesce; che quegli rattenendolo e dicendogli: abbandoni il ragionamento? Non io, soggiunse, il ragionamento io lo posseggo, ma lascio te; che senza dubbio il ragionamento aspetta, e il buon pesce si vende.

VIII. Vanno attorno nove suoi dialoghi senza calore. — MoscoAristippo ovvero CalliaTolomeoCherecrateMetrocleAnassimeneEpigeneA suo figlioAristotele.

IX. Dice Eraclide che Zenone, il fondatore del Portico, fu suo discepolo.

X. E si racconta da Ermippo ch’e’ finì vecchio, avendo preso del vino per morire più presto. — E v’ha di nostro su lui:

     Stilpone megarese (tu il conosci
         Forse) dall’importabil giogo oppresso
         E dal mal di vecchiezza, alla sdruscita
         Sua biga ritrovò miglior cocchiere
         Nel vin; poichè bevendo si partia.

Fu posto in ridicolo dal comico Sofilo nel dramma Le nozze:

     Di Carino il saver Sitilpone insacca.