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Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/48

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34 LA GERUSALEMME

VIII.


     Ho core anch’io che morte sprezza, e crede
Che ben si cambi con l’onor la vita.
Ben ne festi, diss’ella, eterna fede
60Con quella tua sì generosa uscita.
Pure io femmina sono, e nulla riede
Mia morte in danno alla Città smarrita.
Ma se tu cadi (tolga il Ciel gli augurj)
64Or chi sarà che più difenda i muri?

IX.


     Replicò il Cavaliero: indarno adduci
Al mio fermo voler fallaci scuse.
Seguirò l’orme tue, se mi conduci;
68Ma le precorrerò, se mi ricuse.
Concordi al Re ne vanno, il qual fra i duci
E fra i più saggj suoi gli accolse e chiuse.
E incominciò Clorinda: o Sire, attendi
72A ciò che dir voglianti, e in grado il prendi.

X.


     Argante quì (nè sarà vano il vanto)
Quella machina eccelsa arder promette.
Io sarò seco: ed aspettiam sol tanto
76Che stanchezza maggiore il sonno allette.
Sollevò il Re le palme, e un lieto pianto
Giù per le crespe guancie a lui cadette:
E, lodato sia tu, disse, ch’ai servi
80Tuoi volgi gli occhj, e ’l regno anco mi servi.