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Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/429

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NOTTE E FIAMME 417

in meno di un’ora. Richiestane, promise di trovare un ragazzotto che accompagnasse la signorina a passeggio, e facesse da guida.

«A che ora?» diss’ella.

«Alle sette.»

Sfinita dal lungo digiuno e dalla lunga veglia, Lelia fece colazione avidamente. S’informò delle luci notturne, apprese che una torpediniera della R. Guardia di finanza, munita di un riflettore elettrico, faceva servizio la notte e che le fiamme sulla montagna erano lampade elettriche della Funicolare di Santa Margherita e dell’albergo Belvedere. Partì alle sette colla guida, meravigliando di sentirsi tranquilla e intrepida.

La guida era un ragazzo sui dodici anni, dagli occhi vivaci e dalle labbra ostinatamente mute. Più che monosillabi Lelia non arrivò a cavargli. Per verità le bastò sapere che conosceva la strada di Puria e quella di Dasio. Ella non guardava, salendo verso Loggio, nè a destra nè a sinistra. Più saliva più le batteva il cuore, parte per la fatica, parte perchè la intrepidezza le veniva meno. Alla prima svolta della gradinata che gira sopra l’oratorio di S. Carlo, dovette far sosta. Non c’era sole ma l’aria era afosa. Un drappello di giovani e di signorine sopraggiunse facendo il chiasso, la oltrepassò senza badare a lei. Le signorine si burlavano dei giovani che non ardivano andar a coglier certi ciclamini pendenti sull’abisso dove romba il torrente, e coloro protestavano di non volersi rompere il collo per esse. La piccola guida saltò come uno scoiattolo fuori di strada, ritornò coi ciclamini, li offerse in silenzio a Lelia. Ella se li pose in seno, pensando che la sorte glieli offriva per lui e che non avrebbe osato coglier fiori a quel fine colle proprie mani. Toccato il sommo della salita, dove il sentiero piega a sinistra per scendere nella conca del Campò, ristette ancora. Di là si scopre al

FOGAZZARO. Leila. 27