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388 | D e l B e l l o c o n s i d e r a t o |
re di quella fiera v’ha un non so che d’ideale, per cui ben diverse sono dai leoni viventi.
§. 13. Nell’effigiare i cavalli non sono stati certamente gli antichi superati da’ moderni, chechè pretenda Du Bos1, fondandosi sull’essere i cavalli inglesi più belli dei greci e degl’italiani. Egli è certo che in Inghilterra, come nel regno di Napoli, accoppiandosi le cavalle nazionali cogli stalloni spagnuoli, se ne ottengono ottimi pulledri, e si migliorano così le razze. Ciò stendesi pur ad altri paesi, ma in altri avviene il contrario, e le razze vi si alterano. A’ tempi di Cesare cattivi erano i cavalli tedeschi, che or sono assai buoni; e per l’opposto molto pregiavansi quelli delle Gallie, che or vengono riputati li peggiori d’Europa. E’ vero che gli antichi non conosceano i bei cavalli danesi, né gl’inglesi, ma avean essi le migliori razze de’ cavalli cappadoci, epiroti, persiani, achei, tessali, siciliani, tirreni, celti, e ispani; onde con ragione dice Ippia pressob Platone: noi possediamo la più bella specie di cavalli2. Così s’inganna il summentovato scrittore, quando sostener vuole la sua opinione con notare alcuni difetti del cavallo di M. Aurelio, e di quei di Monte Cavallo: riguardo a questi, ciò che v’ha d’antico, non è punto difettoso; e i difetti del primo non all’artista attribuir si denno, ma all’essere stata quella statua equestre lungo tempo rovesciata e sepolta.
§. 14. Quando anche fra i monumenti dell’arte non si fossero serbati altri cavalli, fuorché i summentovati; ciò non ostante, siccome gli antichi hanno fatto un numero molto maggiore, che non i moderni, di statue equestri, o poste a canto ai cavalli, dobbiamo credere che le proprietà d’un bel destriere note fossero a que’ maestri, come lo erano agli scrit-
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