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Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/308

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atto terzo.—sc. v. 303

Destan molto di sangue empie memorie;
Ma cancellarle, ah si! da lungo io bramo.
E allor prova ne diei che nuora accolsi
La figlia tua. Non te sì generoso
Desio pungea! Te strascinar del fato
Qui potea solo irresistibil forza!
Appo di te niun merto è che la patria,
Che d’amar pur ti vanti, ami io sì forte,
Che sangue e figlio e tutto a lei posponga.
Leoniero.E alla mia patria non pospongo io un figlio?
Se tal dritto valesse, io rinfacciarti
Accoglimento inospital potria,
A cavalieri ignoto, allor che ad essi,
Non per viltà, ma per virtù e sciagura,
Un nemico ricovra.
Auberto.                                        Inospitale
Accoglimento farti, il ciel n’attesto,
Non intendo, o guerrier; l’odio tuo fero
Gl’intenti miei calunnia. E se amarezza
In me apparia, quindi traea dal tuo
Recente ingiurïarmi.
Leoniero.                                   Io?...
Auberto.                                             Tu. Nè in chiuse
Pareti già. Stamane il nome mio
Al popolo dinanzi hai vilipeso:
Il nome mio che con onor Guidello
A te membrava, e t’offería il mio ospizio.
Leoniero.Le mutue stragi io ricordai; la fama
Di prode tua mai non contesi.
Auberto.                                                  E il puote
Mortale al mondo?
Leoniero.                                   E non sol or, ma il giorno
Che te inseguía sventura, e me felice
Acclamava Dertona, io d’onoranza,
Dertona il sa, scarso non t’era.
Auberto.                                                  E aggiugni
Di beneficii, non ne arrosso; sculti
Nell’anima li porto. Il tuo nemico,