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450 | manfredo |
centi pensieri; i tuoi giorni di salute e le tue notti tranquille; le tue pene nobilitate dal pericolo, quantunque innocenti; la speranza d’una lieta vecchiaja o d’un quieto sepolcro con una croce e una ghirlanda sulla sua verde zolla, o l’amore dei figli de’ tuoi figli per epitafio; questo io vedo — e allora guardo qui dentro. — A nulla giova, — l’anima mia ardeva già prima!
Cacciatore. E cangieresti la tua sorte colla mia?
Manfredo. No, amico! Non vorrei nuocerti, nè cambiare la mia sorte con alcun essere vivente: io posso sopportarla; benchè miserabilmente, pur è ancora sopportabile — questa vita che gli altri inorridirebbero di sognare, e morrebbero dormendo.
Cacciatore. E con questi — questi premurosi sentimenti per le pene d’un altro, puoi tu essere nero di delitti? — non dirlo. Può alcuno che abbia pensieri sì gentili aver preso vendetta sopra i suoi nemici?
Manfredo. Ohi no, no, no! I miei torti si rovesciano su coloro che mi amano, su coloro ch’io maggiormente amai; non estinsi mai un nemico, fuorchè in mia giusta difesa — ma i miei amplessi furono fatali.
Cacciatore. Il cielo ti dia riposo! e la penitenza ti renda a te stesso; le mie preghiere saranno per te.
Manfredo. Io non ne ho di bisogno, ma posso tollerare la tua pietà. Or parto — n’è tempo — addio! — Eccoti dell’oro e i miei ringraziamenti.— Non replicare — ti è dovuto.— Non seguirmi. — So la mia strada — il pericolo della montagna è passato: — una volta ancora te l’impongo, non seguirmi! (Manfredo esce.)
SCENA II.
Un’ima valle nelle Alpi. — Una cateratta.
Entra MANFREDO.
Manfredo. Non è mezzodì; — i raggi dell’arco solare1 attraversano ancora il torrente coi varii colori del cielo, e rotolano l’ondeggiante colonna di foglio d’argento giù perpendi-