Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/454

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atto primo.—sc. I. 449

rando le nubi che mi chiudono fuori del cielo, dove tu non sei — ed io non sarò mai.

Cacciatore. Uomo di strane parole, se hai qualche peccato che ti altera la mente o popola al tuo sguardo il vuoto di fantasmi, qualunque sia il tuo terrore e il tuo patimento, v’è conforto ancora — l’ajuto dei santi uomini e la celeste pazienza.

Manfredo. Pazienza, pazienza! lungi da me; — questa parola fu fatta pei bruti da soma, non per gli augelli di rapina; raccomandala ai mortali di una polvere simile alla tua, — io non sono del tuo ordine.

Cacciatore. Grazie al cielo! io non vorrei esser del tuo per la libera fama di Guglielmo Tell; ma qualunque sia il tuo male, convien sopportarlo, e questi selvaggi impeti sono inutili.

Manfredo. Non lo sopporto? — Guardami. — Io vivo.

Cacciatore. Questa è convulsione e non vita in salute.

Manfredo. Ti dico, o uomo, ch’io ho vissuto molti anni, molti lunghi anni, ma essi sono un nulla in paragone di quelli ch’io devo numerare; secoli — secoli — spazio ed eternità — e coscienza di me stesso colla fiera sete della morte — e non disfatto mai!

Cacciatore. Eppure sulla tua fronte il suggello della mezza età è appena impresso, io sono molto più vecchio di te.

Manfredo. Credi tu che l’esistenza dipenda dal tempo? Sia; ma le azioni sono le nostre epoche; le mie hanno fatto i miei giorni e le mie notti di una durata infinita immortale, e sempre simili come la sabbia sul lido, innumerevoli atomi; deserto sterile e freddo su cui le feroci onde si rompono, ma nulla resta fuorchè carcami e naufragi, sassi ed alghe amare.

Cacciatore. Oimè! è fuor di senno — ma pur non devo abbandonarlo.

Manfredo. Così lo fossi! — allora le cose ch’io vedo, non sarebbero che un sogno agitato.

Cacciatore. Che vedi tu, o che pensi tu vedere?

Manfredo. Me stesso e te — contadino delle alpi — le tue umili virtù, l’ospitale tua casa, uno spirito paziente, pio, altero e libero; il rispetto di te medesimo fondato sopra inno-