Geografia fisica/Idrografia/7
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vii. — lavoro dei torrenti e dei fiumi.
170. Il primo capitolo di questo libretto vi ha invitato ad osservare un fiume nel momento più fervido del suo lavoro. Imaginiamoci di assistere ancora a quella scena, ma prima che scoppi quell’uragano che lo aveva così fieramente gonfiato. Il fiume è là che scorre placido sul suo letto di ghiaia assai più largo di esso. La corrente, limpida e assottigliata dalla siccità, serpeggia tra banchi di sabbia e pantani. Essa non sembra più buona ad altro, che a condurre lentamente al mare l’acqua che scola avaramente dalle campagne circostanti. Vi recherà sorpresa ch’io osi dirvi che essa ha ben altro lavoro da compire, e che di fatto lo compie.
171. Ma considerate come quell’acqua perviene alla corrente. Abbiamo veduto che, durante la siccità, sono le sorgenti che forniscono ai fiumi la maggior parte dell’acqua che ancora li alimenta, e che le sorgenti contengono una quantità maggiore o minore di sostanze minerali, che vanno al fiume coll’acqua che le tiene disciolte. Così ogni fiume, per quanto limpido appaia, conduce al mare una certa quantità di materie minerali. Si è calcolato, per esempio, che il Reno porta al mare annualmente una tal quantità di sali calcarei, che basterebbe perchè se ne componessero il guscio 332 milioni di ostriche. Quei sali, chimicamente disciolti nell’acqua, non ne scemano punto la trasparenza, e non sono altrimenti visibili; ma ciò non toglie che i fiumi in ogni tempo non versino in mare tale quantità di materie che quasi non vi è cifra per calcolarla.
172. Torniamo ora a vedere quello stesso fiume, quando è più gonfia la piena. L’acqua si è fatta sporca e fangosa. Abbiamo già verificato che ciò dipende dalla quantità grande di fango e di sabbia che tiene in sospensione. Mentre ve ne state, supponiamo, un’ora a guardare il torrente che corre giù vorticoso e muggente; sono centinaia e migliaia di tonnellate di ghiaia, di sabbia, di fango, che passano in giù davanti a noi, scopate dall’onda. Oltre le materie in soluzione adunque, i fiumi traggono al mare una quantità enorme di altre materie visibili e palpabili. Ecco qual’è la principale fatica dei fiumi: trasportare in giù verso il mare tutti i materiali disciolti e tutto il detrito, cioè tutto il prodotto dell’azione erosiva che sotto e sopra la superficie della terra esercitano continuamente le pioggie e le sorgenti.
173. Ma i fiumi prestano opera anch’essi alla immediata demolizione della superficie terrestre. Ve ne capaciterete, ponendo mente alle rive ed al letto di una corrente, quando è in magra. Quando essa scorre sulla nuda roccia, questa vi appare rósa e scavata. Così i ciottoli, che per avventura vi si trovano sparsi, sono smussati e arrotondati. Que’ ciottoli, staccati in origine dalla scogliera per la forza del gelo o per altra qualunque, erano angolosi, a facce piane e terminate da spigoli vivi, come vi si presentano invariabilmente i frantumi rocciosi che giaciono al piede di un precipizio, o di un’erta sassosa. Ma una volta in balìa della corrente cominciano a smussarsi, ad arrotondarsi, e, perduti gli spigoli, finiscono a prendere quella forma elissoidale che è caratteristica dei ciottoli componenti i banchi di ghiaia ordinaria.
174. Mentre così si vanno arrotondando, i ciottoli stessi limano le rocce che fiancheggiano la corrente, o ne costituiscono il fondo. Non è raro di osservare lungo un torrente, ove discenda, sopra un pendìo assai ripido, dei vortici d’acqua, e di vedere come le pietre, aggirate da essi, abbiano formato sul fondo roccioso quelle cavità rotonde, a cui fu dato il nome di marmitte. Quando l’estiva siccità produce la magra, quelle cavità rimangono facilmente all’asciutto, e potete allora osservare che esse sono perfettamente lisciate nell’interno, come vi mostra la figura 10.Fig. 10. — Marmitte scavate da un torrente nel letto roccioso.
175. Questo continuo logorarsi delle rocce in posto e dei ciottoli liberi nel letto dei torrenti, ottiene un doppio risultato. Primieramente abbiamo il prodotto di un’enorme quantità di sabbia e di fango. In secondo luogo il letto del torrente diviene sempre più largo e profondo. La sabbia e il fango così prodotti vengono ad aggiungersi al materiale dello stesso genere che la pioggia conduce ai fiumi, lavando la superficie del paese. L’allargamento e lo sprofondamento delle valli creano quelle gole, quegli abissi, che danno un’impronta così pittoresca al paesaggio alpino.
176. Ormai vi è noto come i torrenti divengano fangosi. Vediamo che avvenga dei fanghi, delle sabbie, delle ghiaje, dei ciottoli, che sono di continuo tratti in giù dalla corrente.
177. Torniamo un’altra volta ad osservare il letto di un fiume nella magra che ha luogo nella stagione estiva. Voi lo vedete qui coperto di montoni di ghiaja, là di banchi di sabbia, e di mezzo a quei meteriali più fini, spuntano a volte a volte ciottoli e massi di dura roccia. Prendete di mira una porzione qualunque di quel mobile detrito, e non tarderete ad accorgervi che esso è continuamente portato in giù. Un banco di ghiaja o di sabbia si mostrerà anche lungo tempo allo stesso posto, ma, per effetto dell’acqua che li ricopre e li spinge, i sassolini e i grani di cui è composto si danno continuamente la muta, venendo continuamente d’in su nuovi sassolini e nuovi grani a prendere il posto di quelli che vengono trasportati in giù. Il mobile detrito si comporta ad un dispresso come la corrente. Ritornate ad osservare quei banchi dopo alcuni anni. La corrente è là che scorre tranquilla; sono ancora gli stessi ondeggiamenti, gli stessi gorghi, lo stesso lene mormorìo. La corrente non ha mai cessato di scorrere, ma l’acqua si cambiò sempre di minuto in minuto, come la vedete voi stessi sotto i vostri occhi senza posa mutarsi. Così, il suo letto fu sempre coperto di sabbia e di ghiaja; ma quel mobile detrito si rimutò pure incessantemente, spinto sempre all’ingiù, mentre dalle regioni superiori venne sempre nuovo materiale a prendere il posto di quello che veniva mano mano scopato via dalla corrente.
178. Non è nel letto del fiume che i materiali, tolti alla superficie del paese, sono destinati a restare durevolmente. Il fiume tende continuamente, scorrendo, a liberarsene. Voi avrete forse osservato che i fiumi sono sovente fiancheggiati da tratti di terreno piano, la cui superficie non sovrasta che di qualche metro al pelo dell’acqua. Tale accidente è comune pei nostri fiumi, i quali serpeggiano talora lungamente nel loro letto scavato in seno ad un altipiano uguale ed erboso. Quell’altipiano è formato di fine detrito di rocce decomposte, che fu precedentemente fluitato dalla corrente. Durante la piena, il fiume gonfio e fangoso, sorpassa l’altipiano, traboccando, e lo innonda a destra e a sinistra. Quando questo avviene, la corrente scorre assai più lentamente sul piano innondato, e così rallentata, non può tenere in sospensione tutta la sabbia e il fango di cui era caricata, ed è quindi costretta a deporre una certa porzione sul fondo. Così sulle parti innondate dell’altipiano si depone uno strato di terra abbandonato dalla corrente, che ne rialza un pochino il livello. Ripetendosi d’anno in anno il fenomeno, l’altipiano si eleva talmente che il fiume, il quale intanto ha continuato ad approfondire il suo letto, non può più oltre traboccare anche nelle maggiori piene. Coll’andar del tempo la corrente, continuamente spinta da destra a sinistra e da sinistra a destra, porta via delle porzioni dell’antipiano primitivo, formandone un secondo ad un livello più basso. Così una serie di terrazzi si forma gradatamente, sicchè le due sponde del fiume prendono l’aspetto di due gradinate, come mostra la figura 11.1 Fig. 11. — Sezione dei terrazzi (1, 2, 3) di sabbia, di fango o di ghiaja formati successivamente in un fiume lungo la valle (S, S).
179. I depositi alluvionali, di cui sono formati i terrazzi, sono al postutto temporanei, servendo anch’essi ad alimentare i banchi che ricoprono il fondo del torrente, e ad essere così a poco a poco, coll’andar dei secoli, portati in giù.
180. Quando un fiume mette la sua foce in mare o in un lago, la corrente che trasportava le sabbie e il fango si indebolisce e muore, sicchè tutto il materiale trasportato non tarda a cadere sul fondo. Questo si alza fino a tanto che attinge la superficie della corrente, la cui foce appare su ambo i lati fiancheggiata da spazî paludosi. Durante la piena quei piani semiasciutti sono di nuovo innondati e quindi coperti di uno strato fangoso o sabbioso, sicchè alla fine si convertono in piani asciutti, che non possono più nemmeno essere soverchiati dalle piene. In seno a quei piani ancor mobili e facilmente erodibili, la foce del fiume facilmente si divide in più rami, formando una specie di zampa, le cui dita, trattandosi di grandi fiumi, possono essere numerosissimi. Non tarda la vegetazione a ricoprire di un verde tappeto quelle basseFig. 12. — Delta del Mississipì. terre novellamente create, e gli animali, a prenderne possesso. La creazione di nuove terre è l’esito finale dell’incessante, multiforme, lavoro dei fiumi.
181. Quelle pianure, così create colla conquista di un’area posseduta dal mare o dai laghi, si chiamano delta, perchè una di queste formazioni, ben note agli antichi, è quella fabbricata dal Nilo, che presenta appunto la forma della lettera Δ dell’alfabeto greco, che appunto chiamasi delta. Le pianure create dai fiumi alla rispettiva foce, si accostano più o meno alla figura della lettera suddetta, avendo una base assai larga verso terra, mentre si restringono e si avanzano in punta verso mare. La figura 12 vi presenta l’enorme delta del Mississipì.
182. I delta sono dunque formati col materiale rapito alle terre e portato dai fiumi in seno ai laghi ed al mare. Eppure, per quanto vasti e poderosi essi siano, sono ben lungi dal rappresentare tutta la massa del materiale fluitato dalla corrente. Una porzione forse maggiore è deposta sul fondo del mare fino a grandi distanze dalle foci dei fiumi. Il mare è il grande ricettacolo, dove si adunano incessantemente le spoglie dei continenti.
Note
- ↑ Il terrazzamento dei piani alluvionali è fenomeno mondiale che trova propriamente la sua ragione, non nella geografia fisica, ma nella geologia. Sono dolente di non poter ammettere in nessun modo la spiegazione dell’autore (§§ 178 e 179) che, oltre all’essere imperfettissima e mancante di evidenza, è per molta parte erronea ed in contraddizione coll’idraulica fluviale. Mi permetto perciò di avertire il lettore che la teorica del terrazzamento è ampiamente svolta nel mio Corso di Geologia, Volume II, cap. XXX.(Nota del Traduttore.)