Vai al contenuto

Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu/116

Da Wikisource.
Versione del 13 giu 2021 alle 06:33 di Belpasse (discussione | contributi) (Riletta: Corrispondenza al testo originale verificata, SAL100%)
(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)
104 notturno


Lungo i muri del cimitero cessammo di ridere e di motteggiare.

S’udiva il tonfo misurato dei remi.

E sotto i muri funebri la fosforescenza creava anella e ghirlande di luce.

Una melodia luminosa cingeva l’isola dei morti.

Egli la udiva, la vedeva. Egli aveva là il suo luogo profondo.


Una tregua. Egli è del camposanto ma non è ancóra della terra. La sua fossa è scavata ma non sarà riempita se non dopo il giorno santo.

La pena s’è ottusa. Ora sono in una specie di torpore cupo, stanchissimo.

Renata è in silenzio, chiusa nel suo segreto, con sotto le ciglia folte quei suoi occhi fissi intagliati come gli occhi invitti delle Aquile romane.

La casa è in una quiete sepolcrale, è cinta d’acque morte come l’isola dove ho lasciato il mio compagno.