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Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/52

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44 l’ospitalità.


— Io un poco so scrivere — disse tutto contento il soldato.

— Benissimo; mi fa piacere; c’intenderemo più facilmente. Anzi... vedete che smemorato! Io mi dimenticava di domandarvi il nome. — E trasse di tasca un portafoglio.

— Lo scrivo io! Lo scrivo io! — proruppe il soldato, lieto e orgoglioso di far vedere che sapeva scrivere. Posò il fucile in un canto, si frugò in tasca, ne trasse un piccolo portafoglio unto e sdrucito, e un pezzettino di lapis che appena si potea tenere fra le dita, appoggiò i gomiti sull’angolo d’un tavolino e si mise a scrivere in grossi caratteri il suo nome. Finito, staccò il foglio, e datogli un ultimo sguardo allungando il braccio, lo porse al padrone.

— Benissimo, grazie, — questi rispose, e scrisse il nome suo e lo diede al soldato. Egli si ripose il biglietto in tasca coll’atto e il volto d’un divoto a cui si porga una reliquia di santo. E poi balbettò:

— Adesso...

Aveva qualcosa da dire; ma non se ne sentiva il coraggio.

— Dite, dite; dite pure liberamente.

— Io — sentano — loro che son tanto buoni mi scuseranno... capisco anch’io che sono uno sfacciato a domandare... dopo tutto quello che m’han fatto... ma... mi par quasi d’averne bisogno, che so io?... perchè... — E sorrideva e abbassava la testa e si stropicciava le dita e apriva la bocca per parlare e tosto la richiudeva, non soddisfatto della espressione che ne sarebbe uscita, e ne cercava un’altra, e non la trovava...

— Non vi pigliate suggezione di noi, caro amico; non v’ho detto che ci dovete riguardare come vostra famiglia?