Relazione sulla Federconsorzi/XII

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I consorzi agrari

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XI XIII


Capitolo Dodicesimo

I consorzi agrari


1. Il mandato del Parlamento. L'impostazione della Commissione

La legge istitutiva ha assegnato a questa Commissione il compito di verificare la situazione economica e finanziaria dei consorzi agrarie e le ragioni, le modalità ed i tempi del ricorso alle procedure di liquidazione o commissariamento dei consorzi agrari in stato di liquidazione coatta amministrativa o di commissariamento.

L'elevato numero dei consorzi, la complessità dei temi d'indagine, la lunghezza del periodo oggetto dell'esame, che va dal 1982 ad oggi, avrebbero richiesto tempi ben più lunghi di quelli concessi dal Parlamento alla Commissione.

Non è stato, quindi, possibile procedere all'audizione di nessuno dei responsabili dei consorzi; si è, tuttavia, provveduto a raccogliere le indicazioni, le valutazioni e le osservazioni dei legali rappresentanti di tutti i consorzi agrari (in bonis, in stato di commissariamento e di liquidazione coatta amministrativa) in forma scritta. A questi ultimi la Commissione ha chiesto informazioni sulle condizioni economico-finanziarie ed operative dei consorzi dal 1982 ad oggi, sull'epoca d’insorgenza e sulle cause della crisi, sulle determinazioni adottate dagli amministratori per fronteggiarla e sulle conseguenze del commissariamento della Federconsorzi sui consorzi agrari.

Pervenute le risposte a tali richieste ed acquisita copiosa documentazione, la Commissione, avvalendosi di adeguate competenze tecniche, ha potuto così procedere a valutare le condizioni economiche e finanziarie di ciascuno dei consorzi, delineandone i profili comuni essenziali, le scelte gestionali più significative assunte dagli amministratori ed infine l'adeguatezza dei controlli esercitati dai Collegi sindacali e dal Ministero dell'agricoltura. Si fa presente che tutti i dati acquisiti sono aggiornati al 31 dicembre 2000 e che non si è potuto tener conto, per motivi di tempo, delle variazioni intervenute dopo tale data.

Per la maggior parte dei consorzi in dissesto è stata redatta una scheda analitica che consente la ricostruzione delle vicende giuridiche, economiche e finanziarie degli stessi.

Al contenuto di ciascuna scheda, riportata nell’allegato n. 6 della presente relazione, la Commissione fa rinvio per la risposta al quesito sulle ragioni, sulle modalità e sui tempi dei provvedimenti amministrativi di commissariamento e di collocazione in liquidazione coatta.

L'esigenza di procedere all'esame con speditezza e da più punti di vista, ha consigliato la suddivisione dei consorzi nei seguenti tre gruppi, composti applicando criteri di rappresentatività di condizione giuridica e di distribuzione sul territorio.


A) Primo gruppo

Alessandria, Aosta, Asti, Bergamo, Bologna, Bolzano, Brescia, Como-Sondrio, Cremona, Cuneo, Ferrara, Forlì-Cesena-Rimini, Friuli, Imperia, Mantova, Modena, Novara, Padova, Parma, Pavia, Piacenza, Ravenna, Reggio-Emilia, Rovigo, Treviso-Belluno.

B) Secondo gruppo

Ancona, Arezzo, Ascoli-Piceno, Firenze, Grosseto, L'Aquila, Latina, Livorno, Lucca-Massa Carrara, Macerata, Milano-Lodi, Perugia, Pesaro-Urbino, Pescara-Chieti, Pisa, Pistoia, Rieti-Terni, Siena, Teramo, Trieste, Varese, Venezia, Vercelli, Verona-Vicenza, Viterbo.

C) Terzo gruppo

Agrigento, Bari-Brindisi, Benevento, Cagliari-Oristano, Caltanissetta, Campobasso-Isernia, Caserta, Catania-Messina, Catanzaro, Cosenza, Enna, Foggia, Lecce, Nuoro, Palermo, Potenza, Ragusa-Siracusa, Reggio Calabria, Roma-Frosinone, Salerno-Napoli-Avellino, Sassari, Taranto, Torino, Trapani.


2. I risultati dell'analisi condotta sul primo gruppo di consorzi


2.1 I consorzi commissariati ed in liquidazione coatta amministrativa

Alla data del 31 dicembre 1991, dei consorzi appartenenti al primo gruppo risultavano in liquidazione coatta amministrativa con esercizio provvisorio quelli di Asti, Alessandria, Como-Sondrio, Bergamo, Modena, Ferrara, Imperia-Genova-Savona-La Spezia, Novara, Pavia, Reggio Emilia, Rovigo-Belluno.

Il consorzio di Cuneo era commissariato.

Tutti i consorzi, sopra elencati, erano in condizione di manifesta crisi già prima dell'anno 1982, perché la gestione aziendale non si svolgeva più in condizioni di economicità. Lo squilibrio economico e finanziario aumentò sempre di più perché non fu posto in essere alcun intervento correttivo.

Le cause dei dissesti furono plurime.

In primo luogo la stessa struttura organizzativa ed economico-finanziaria federconsortile, atteso che l'assoggettamento commerciale alla Fedit ed alle società satelliti non consentiva margini adeguati di utili. L'accesso a forniture alternative rimase sempre modesto.

Concorsero lo squilibrio finanziario tra capitale proprio investito e capitale mutuato da terzi; l’inadeguatezza degli organismi dirigenti; l’eccessivo onere degli apparati amministrativi e delle strutture.

La gestione fu caratterizzata dall’alto costo degli oneri finanziari; dalla negatività degli indici di liquidità corrente, dall'onerosità dei debiti e, infine, dal sempre più basso rapporto tra numero dei dipendenti e ricavi.

I consorzi in esame divennero una sorta di filiali della Federconsorzi perdendo la loro autonomia ed il loro ruolo propulsivo dello sviluppo agricolo.

Di conseguenza il commissariamento ed il successivo concordato preventivo della Federconsorzi furono devastanti per la gestione commerciale e finanziaria dei consorzi considerati.



2.2 I consorzi in bonis

Alla data del 31 dicembre 1991, dei consorzi del primo gruppo risultavano in bonis quelli di Rimini, Friuli-Venezia Giulia, Parma, Piacenza, Ravenna, Treviso-Belluno, Bologna, Bolzano, Brescia, Cremona, Forlì-Cesena.

La permanenza in bonis di tali consorzi fu dovuta alla loro capacità imprenditoriale.

I Consigli di amministrazione e le Direzioni si ispirarono a criteri manageriali nell’attività commerciale e negli investimenti. Essi non si avvalsero delle sole forniture di Federconsorzi, ma praticarono una politica di rapporti diretti con altri fornitori; inoltre, fornendo servizi e merci a costi concorrenziali, riuscirono non solo a mantenere ma anche ad aumentare le proprie quote di mercato.

Gli Organi statutari furono attenti nell’ottimizzare l’organizzazione centrale e periferica, controllando costantemente i costi di struttura e di distribuzione ed eseguendo opportuni investimenti nell’automazione e nell’informatizzazione: ciò consentì di conseguire una redditività tale da mantenere l'equilibrio economico.

Dai bilanci d'esercizio degli anni 1982-1991 emerge che essi erano patrimonialmente solidi. Dopo il commissariamento della Federconsorzi fu così possibile, per tali consorzi, mantenere un rapporto fiduciario non solo con i principali fornitori, ma, anche, con la maggior parte degli istituti di credito con i quali operavano e di conservare gli affidamenti.


3. I risultati dell'analisi condotta sul secondo gruppo di consorzi

3.1 I consorzi commissariati e in liquidazione coatta amministrativa

Al momento dell'analisi da parte della Commissione, dei consorzi agrari appartenenti al secondo gruppo risultano in liquidazione coatta amministrativa quelli di Arezzo, Chieti-Pescara, Firenze, Grosseto, L’Aquila, Livorno, Lucca-Massa Carrara, Macerata, Perugia, Pisa, Pistoia, Rieti-Terni, Teramo, Trieste, Varese, Vercelli, Viterbo.

I consorzi di Chieti-Pescara, Grosseto, Livorno, Pisa e Varese alla data del 17 maggio 1991 erano già in liquidazione coatta amministrativa, mentre il consorzio di Perugia è stato posto in liquidazione coatta amministrativa in data successiva al 17 maggio 1991 ma prima del 4 luglio 1991.

I consorzi di Arezzo, L’Aquila, Lucca-Massa Carrara, Pistoia, Rieti-Terni, sono stati posti in liquidazione coatta amministrativa dopo il 4 luglio 1991 e prima del 5 ottobre 1992.

I consorzi di Firenze, Macerata, Teramo, Vercelli, Trieste e Viterbo (questi ultimi due alla data di omologazione del concordato preventivo Fedit erano già in gestione commissariale) sono stati posti in liquidazione coatta amministrativa dopo il 5 ottobre 1992.

L'unico consorzio in gestione commissariale, era quello di Venezia, in bonis fino al 21 giugno 1991. Il consorzio permane tuttora in gestione commissariale. Dal bilancio 1998 emerge un utile netto di esercizio (Lit.32.820.392) dopo due esercizi (1996 e 1997) in pareggio ed i precedenti (dal 1991 al 1995) in perdita. Il commissario governativo confida che "(…) la Gestione Commissariale potrà (…) contribuire (…) ad una definitiva sistemazione dell’impresa (…)".

Anche per tali consorzi, come per quelli del primo gruppo, le ragioni del dissesto maturarono in anni precedenti a 1982.

La capillare presenza sul territorio costituì, infatti, un punto di forza della organizzazione dei consorzi agrari, sino a quando la concentrazione del mercato non la rese un onere insostenibile.

La solidità patrimoniale consentì ad imprese sottocapitalizzate, come i consorzi, di reperire le necessarie risorse finanziarie per far fronte alle necessità della gestione corrente, ma non fu sufficiente a sostenere l'impegno necessario all’ammodernamento delle strutture industriali e commerciali e all’avvio di una razionalizzazione della rete distributiva.

Negli anni ’60 e ’70, grazie soprattutto all’attività di ammasso volontario delle produzioni cerealicole per conto dello Stato, i consorzi prosperarono e si svilupparono, espandendosi nelle attività commerciali di distribuzione di mezzi tecnici ed effettuando forti investimenti nella struttura operativa. A tale slancio espansionistico, peraltro, non corrispose un immediato adeguamento alla crisi che caratterizzò, dalla fine degli anni ‘70, il comparto agricolo.

La cessazione degli ammassi obbligatori, la sempre maggiore concorrenza che caratterizzò l’attività commerciale, l’incapacità di far fronte ai mutamenti del sistema economico, nonché strutture organizzative inadeguate, avviarono il sistema consortile verso una grave crisi.

Essa era già, da tempo, conclamata e non poté che aggravarsi con il commissariamento della Federconsorzi.

Quest’ultima scontava e copriva, abitualmente, presso il sistema bancario, gli effetti cambiari commerciali e finanziari rilasciati dai consorzi agrari: il protesto degli effetti emessi dai consorzi a favore della Federconsorzi; l’impossibilità di far fronte alle scadenze e l’incalzare delle azioni legali promosse dagli istituti di credito, concorsero a determinare l'epilogo.

La crisi non giunse imprevedibilmente. I bilanci dei consorzi risalenti denunciavano, almeno fin dall’esercizio 1982, gestioni anomale e risultati negativi od insufficienti. L'indebitamento complessivo era troppo elevato rispetto ai ricavi.

Nel 1982, risultavano infatti, in "perdita" cinque consorzi; dodici consorzi risultavano in pareggio ma, di questi, quattro lo erano solo per effetto di consistenti rivalutazioni economiche su cespiti immobiliari.

Nel 1991 risultavano in "perdita" quattordici consorzi e solo tre ancora in "pareggio".

Due fattori determinarono l’indebitamento aziendale. In primo luogo, la necessità di finanziare le perdite di competenza, comprese le rivalutazioni economiche effettuate. Di poi, la ricerca d’ulteriori fonti di finanziamento, anche per far fronte alle maggiori necessità di capitali d’impiego derivanti dall’incremento dei fatturati.

I mezzi dei terzi costituivano l’unica fonte di finanziamento con conseguenti oneri finanziari insostenibili in rapporto alla redditività.

La dipendenza finanziaria ebbe un "effetto leva" sull’incremento degli oneri finanziari anche a causa delle modalità di pagamento delle merci che erano acquistate prevalentemente presso la Fedit. Queste venivano infatti pagate mediante rilascio di cambiali agrarie a sei mesi a tassi di top-rate bancario. Poiché allo scadere delle cambiali i consorzi non erano in grado di procedere integralmente al pagamento, le stesse erano rinnovate mediante il rilascio di effetti ordinari, con conseguenze deleterie dovute alla capitalizzazione degli interessi, per far fronte ai quali, si ricorreva, parimenti, all’emissione di ulteriori cambiali.

I consorzi ricorrevano alla Federconsorzi sia per gli approvvigionamenti della maggior parte delle merci, con inevitabili conseguenze sul "costo del venduto" sia per ottenere finanziamenti sotto forma di sconto di effetti.

A ciò va aggiunto che le dilazioni con le quali i clienti dei consorzi pagavano le forniture erano, in media, più lunghe di quelle concesse dalla Federconsorzi.

Il perverso meccanismo si protrasse per anni senza che ci si preoccupasse, ad ogni livello, di adottare provvedimenti idonei a fronteggiare e, possibilmente ad invertire, la costante ed ingravescente negatività dei risultati economici (indebitamento complessivo, rapporto oneri-proventi finanziari, antieconomicità del "costo del venduto", rimanenze di magazzino eccedenti, ecc.), che furono sistematicamente occultati.

Le perdite reali degli esercizi vennero, infatti, compensate od attenuate mediante continue ed artificiose rivalutazioni economiche dei cespiti immobiliari, avvalendosi, con quanto meno dubbia legittimità, della possibilità di derogare ai criteri di valutazione stabiliti dall’articolo 2425 del codice civile.

La negatività dei risultati di esercizio non ne venne, tuttavia, scalfita, né risultò meno tecnicamente percepibile.

Inoltre, sopravvenienze attive particolarmente consistenti negli anni 1989 e 1990, furono dovute alla "remissione parziale di debiti verso Federconsorzi", vale a dire alla rinuncia - per altro illegittima - della Federconsorzi ad una parte dei suoi crediti.

Il dissesto fu dovuto, altresì, al mancato contenimento dei costi del personale: il rapporto percentuale tra il valore dei "costi del personale" ed il "fatturato" è del 7,6 per cento per i consorzi in liquidazione coatta amministrativa e del 6,9 per cento per quelli in bonis.

Pressoché nulla fu tentato per ristrutturare le reti distributive e per adeguare opportunamente i sistemi informatici aziendali, in funzione della evoluzione del mercato.

I Consigli di amministrazione non assolsero i loro compiti con la diligenza pretesa dalla legge ed i Collegi sindacali vennero gravemente meno ai loro doveri di vigilanza.

In proposito è esemplare quanto ritenne di scrivere nella relazione a corredo del bilancio 1986, il Consiglio di amministrazione del consorzio di Chieti-Pescara: "(…) la perdita di Lit. 9.028.664.226 va accantonata nel conto "Perdite da ammortizzare" e verrà coperta con i proventi degli esercizi futuri unitamente all’importo di Lit. 19.787.919.796 già esistente".

L'enormità dell'affermazione, passata al positivo vaglio del Collegio sindacale, dell’Assemblea dei soci e del Ministero dell'agricoltura, esime da commenti e fornisce, secondo la Commissione, l'esatta misura della qualità dei controlli interni ed esterni.


3.2 I consorzi in bonis

Al momento dell'analisi da parte della Commissione, i consorzi agrari del secondo gruppo in bonis risultano essere quelli di Ancona, Ascoli-Piceno, Latina, Milano-Lodi, Pesaro-Urbino, Siena e Verona-Vicenza.

I consorzi di Latina e Pesaro-Urbino furono sottoposti ad amministrazione controllata rispettivamente dal 20 luglio 1991 al 20 luglio 1993 e dal 19 giugno 1991 al 8 giugno 1993.

Gli amministratori privilegiarono l'autonomia gestionale e praticarono il controllo dei costi; essi si orientarono sia a costituire solidità patrimoniale mediante incrementi delle immobilizzazioni sia a sostenere consistenti investimenti di adeguamento, ampliamento e ristrutturazione finalizzati a mantenere efficienti le strutture di servizio.

Così operarono in particolare i consorzi di Ancona, Ascoli-Piceno, Siena, e Milano-Lodi.

Importante fu l’impegno ad ampliare i propri impianti migliorando in tal modo anche la fidelizzazione degli agricoltori tramite il conferimento dei prodotti (consorzi di Siena, Ancona e Ascoli-Piceno).

Analoga importanza rivestì la politica di dismissione di agenzie e di immobili non più interessanti per il prosieguo delle attività aziendali, in particolare quando alle dismissioni fecero seguito altrettanti investimenti (consorzi di Siena, Ancona e Ascoli-Piceno).

Opportune scelte di fondo compiute dagli amministratori consentirono ai consorzi sopra elencati di far fronte alla crisi della Federconsorzi.

Fu, infatti, praticata maggiore attenzione alla erogazione e gestione del credito ai produttori agricoli; furono utilizzati proficuamente i finanziamenti ottenuti dal sistema bancario; furono attuate la dismissione di partecipazioni in società ritenute non più necessarie, la razionalizzazione e la riduzione del personale e la riorganizzazione aziendale.

La riduzione di liquidità fu ben affrontata anche da quei consorzi che erano creditori di Federconsorzi (Ascoli-Piceno e Milano-Lodi).

Va evidenziato che i consorzi agrari di Latina e Pesaro-Urbino, ottennero nel giugno-luglio del 1991, e cioè dopo il commissariamento della Federconsorzi, l'ammissione per due anni ai benefici della procedura di amministrazione controllata, alla scadenza dei quali ritornarono in bonis.

Ciò fu possibile grazie ad un progetto concreto e risoluto di risanamento economico-finanziario che consentì di procedere a soddisfare tutti i debiti scaduti e di continuare l’esercizio della gestione societaria in piena autonomia finanziaria ed economicità di gestione, interrompendo il ciclo perverso oneri finanziari-perdite d’esercizio.


4. I risultati dell'analisi condotta sul terzo gruppo di consorzi

Alla data del 17 maggio 1991 la condizione giuridica dei consorzi rientranti in tale gruppo era la seguente:

In bonis: Caserta, Cagliari-Oristano, Campobasso-Isernia, Ragusa-Siracusa, Potenza-Matera, Enna, Benevento, Lecce, Nuoro, Trapani, Foggia, Taranto, Salerno-Napoli-Avellino, Roma-Frosinone, Bari-Brindisi


commissariati:

Cosenza

14.2.91

Catanzaro

14.2.91

Agrigento

1.4.91

Caltanissetta

19.6.61

Reggio Calabria

14.2.91

Palermo

1950

Torino

11.12.90


in liquidazione coatta amministrativa:

Catania-Messina

27.2.87

Sassari

7.8.86


Al momento dell'analisi da parte della Commissione la condizione è, invece, la seguente:


in bonis: Sassari, Cagliari-Oristano, Potenza-Matera


commissariati: Agrigento



in liquidazione coatta amministrativa:

Bari-Brindisi

12.9.91

Benevento

17.9.96

Caltanissetta

5.2.92

Campobasso-Isernia

12.11.96

Caserta

23.6.93

Catania-Messina

27.2.87

Catanzaro

8.8.91

Cosenza

19.9.91

Enna

5.9.91

Foggia

20.8.94

Lecce

23.12.91

Nuoro

8.2.94

Palermo

7.8.91

Ragusa-Siracusa

7.8.91

Reggio Calabria

9.8.91

Roma-Frosinone

24.1.92

Salerno-Napoli-Avellino

8.7.94

Taranto

16.1.92

Torino

5.7.91

Trapani

7.8.91


Solo tre consorzi sono in bonis e tra questi, quello di Cagliari, già in liquidazione coatta amministrativa è riuscito a tornare in bonis il 5 ottobre 1999.

Tutti i consorzi in bonis e commissariati al 17 maggio 1991, tranne quello di Agrigento, sono stati poi posti in liquidazione coatta amministrativa.

I tempi dei provvedimenti di commissariamento e di liquidazione evidenziano la stretta correlazione con la crisi della Federconsorzi.

Per il gruppo di consorzi in esame si è proceduto ad un esame della evoluzione delle loro condizioni economiche nel periodo 1982-1991, delineando, mediante specifiche tabelle i profili comuni dell’insorgenza della crisi.


4.1 I rapporti dei consorzi con la federconsorzi risultanti dalle informative acquisite

Le informative trasmesse alla Commissione hanno efficacemente posto in luce una forte dipendenza dei consorzi agrari dalla Federconsorzi e le ragioni della stessa.

Le merci che la Fedit forniva ai consorzi erano nella misura di circa il 90 per cento costituite da prodotti delle imprese controllate e partecipate: concimi, sementi, fitofarmaci.

La quota residua era costituita da merci delle grandi case produttrici, quali la Fiat e l'Enichem che la Fedit acquistava e rivendeva in proprio.

Ha scritto in proposito il commissario liquidatore del consorzio agrario di Nuoro in tema di disponibilità di mezzi finanziari e delle connesse conseguenze: "La scarsa consistenza patrimoniale di molti consorzi e la conseguente impossibilità del reperimento di mezzi finanziari, li hanno costretti ad utilizzare quasi esclusivamente i canali di approvvigionamento della Federconsorzi.

Sul piano finanziario era prassi che le forniture venissero dilazionate e cambializzate a favore della Federconsorzi e che queste cambiali alla scadenza venissero ripetutamente rinnovate con aggravio di interessi e dilatando a dismisura l’ indebitamento".

Le modalità ed il prezzo delle forniture di merci sono state poste al centro della riflessione del commissario liquidatore del consorzio di Lecce: "Le merci - ha scritto - venivano fornite sulla base di programmi prestabiliti ed in conto acquisto; pertanto alla valuta concordata si doveva procedere al pagamento indipendentemente dall’avvenuta vendita della merce.

Negli ultimi tempi, da parte della Federconsorzi veniva applicato un saggio di interesse superiore di 3/4 punti al "prime rate", mediante rilascio di cambiali all’ordine.

I prezzi di acquisto consentivano un esiguo margine di utile rispetto al prezzo di vendita che comunque doveva essere conforme al mercato, mentre, per i fertilizzanti, il cui prezzo di vendita era amministrato (cioè stabilito dal CIP) il margine di utile si riduceva a tal punto da divenire irrisorio.

Solo il massiccio aumento dei volumi di vendita avrebbe potuto in qualche modo riequilibrare il bilancio attesi i rilevanti costi fissi di struttura".

Il commissario liquidatore di Trapani ha evidenziato sul piano generale che: "(…) Non possono essere trascurati i condizionamenti che derivano dalla gestione della politica di vendita attuata dalla Federazione che in buona sostanza, quale fornitore prioritario determinava ad un tempo i costi di acquisto delle materie prime ed indirettamente i margini operativi, atteso che i prezzi di vendita erano quelli di mercato per quanto riguarda i prodotti dell’agricoltura e quelli di listino per quanto riguarda le macchine e le attrezzature. La notevole dipendenza del consorzio da Federconsorzi, ha comportato l’ ingente indebitamento che, alla data della messa in liquidazione, era quasi esclusivamente verso Federconsorzi medesima. L’indebitamento scaturiva dai corrispettivi per le forniture.Queste venivano in parte pagate in contanti o con rimessa di cambiali dalla clientela, per le quali il consorzio era fideiussore, e in parte con finanziamenti agrari diretti dalla stessa Federconsorzi, dietro rilascio di cambiali. Queste ultime, alla scadenza, in mancanza di provviste sufficienti, venivano parzialmente rinnovate. Il cumulo delle somme non pagate e riportate, ha prodotto, negli anni, l’indebitamento finale, tenuto anche conto che sono state così finanziate le perdite di gestione".

Il commissario liquidatore del consorzio di Caltanissetta ha posto in luce come "(…) l’indebitamento nei confronti della Federconsorzi sia stato probabilmente causato negli ultimi anni 50 da una politica commerciale errata, soprattutto nel settore macchine e che tale iniziale indebitamento nei confronti della Federconsorzi sia stato progressivamente ingigantito dai meccanismi di addebito degli interessi extralegali con capitalizzazione semestrale".

Il commissario liquidatore del consorzio di Enna ha fatto notare che: "(…) il Cap ricorreva alla Fedit anche se i tassi di interesse dalla stessa praticati erano di 3-4 punti percentuali superiori a quelli delle banche locali".


5. Le problematiche generali dei consorzi. Osservazioni conclusive

Nel corso del decennio 1980-1990, la condizione economica e finanziaria dei consorzi andò, in generale, progressivamente peggiorando.

Va considerato che l’entità dei debiti accumulati complessivamente dai consorzi agrari era, nel 1980, pari a 1.538 miliardi ed aumentò progressivamente raggiungendo già nel 1982 lire 2.086 miliardi.

Nel 1987 il debito complessivo stimato era pari ad oltre 4.000 miliardi.

Alla fine dell’anno 1990, dei 74 consorzi, solo 30 avevano un patrimonio positivo.

Le cause dell’indebitamento e della crisi generalizzata dei consorzi agrari (e dell'intero sistema federconsortile) sono state individuate dalla Commissione, sulla base degli elementi raccolti, in problematiche strutturali e gestionali.

E' risultata in larga parte confermata la lucida, inascoltata diagnosi, risalente agli anni Settanta, che l'allora presidente della Federconsorzi, dottor Nino Costa, affidò ad una memoria scritta inviata alla Commissione parlamentare di indagine sui limiti alla concorrenza.

Il dottor Costa individuò la causa principale del progressivo dissesto dei consorzi agrari nell'onerosa e parassitaria intermediazione economica svolta dalla Federconsorzi nei rapporti con i fornitori, con i quali stipulava contratti d’esclusiva, ottenendo vantaggi che tratteneva per sé e non riversava sui consorzi.

Questi ultimi, al contrario, erano costretti ad acquistare a prezzi che non assicuravano, all'atto della rivendita, margini adeguati di remuneratività.

I contenuti dei rapporti economici tra la Federconsorzi ed i consorzi agrari non mutarono negli anni successivi.

Le sfavorevoli condizioni imposte dal fornitore Federconsorzi ridussero fortemente i margini di ricavo e di redditività.

I maggiori oneri non erano trasferibili, se non in parte, sui clienti finali, sia trattandosi sovente di prodotti a prezzi amministrati sia per ragioni di concorrenza.

In ogni caso il maggior prezzo incideva negativamente sugli agricoltori e sulle aziende che il complesso sistema federconsortile avrebbe dovuto invece, istituzionalmente, avvantaggiare.

I consorzi che seppero emanciparsi dalla sudditanza delle forniture, rivendicando la loro autonomia ma, nello stesso tempo, ponendosi a latere del sistema, attingendo anche a forniture esterne, riuscirono a conservare il loro equilibrio economico e finanziario.

A ciò va aggiunto che il capitale sociale dei consorzi era del tutto inadeguato in rapporto alle attività: ciò costrinse i consorzi al ricorso sistematico al credito sia nei confronti della Federconsorzi sia nei confronti delle banche.

Va considerato che il costo del danaro era particolarmente elevato: infatti il tasso ufficiale di sconto più alto, nel periodo dal 1936 al 1992, si registrò negli anni 1981 (19 per cento) e 1982 (18 per cento).

Negli stessi anni, l’indebitamento dei consorzi produsse interessi passivi al tasso medio del 27 per cento.

Altre cause del diffuso dissesto furono le seguenti: la capillare presenza sul territorio divenne negli anni Ottanta un onere insostenibile; le giacenze di merci erano abnormi, con bassissima rotazione, spesso incontrollabili, in assenza di adeguati strumenti informatici; il rapporto con gli agenti "in conto deposito", comportava oneri passivi sproporzionati; infine l'entità numerica del personale era pari mediamente al doppio di quello che le esigenze reali avrebbero consigliato. Inoltre venivano utilizzate strutture eccessive per dimensioni e costi, rispetto alle attività e venivano eseguite nuove immobilizzazioni senza adeguate valutazioni economiche sulla redditività delle stesse e sulla incidenza degli oneri finanziari.

Non va dimenticato che i direttori di tutti i consorzi provenivano dalla Federconsorzi che ne teneva l' "albo" e ne poteva, quindi, indirettamente guidare le scelte e che la Federconsorzi condizionava la politica commerciale dei consorzi scegliendo i prodotti da fornire, le attrezzature e le marche da commercializzare, e, infine, stabilendo unilateralmente le modalità di finanziamento degli acquisti, le condizioni e i costi.

La Federconsorzi, inoltre, garantiva i consorzi presso le banche.

In sintesi, a ragioni strutturali di crisi, si aggiunsero, nella maggior parte dei casi, gestioni inadeguate che subirono la dipendenza dalla Federconsorzi e, nello stesso tempo, se ne alimentarono, ottenendo e facendo uso d’ingenti risorse finanziarie a fini di mera sopravvivenza.

La Commissione, non ha potuto ulteriormente approfondire il tema delle ragioni di tali scelte, alle quali non sembrano, tuttavia, estranee le esigenze di conservazione del controllo del sistema da parte delle due associazioni di categoria.

Le reali condizioni nelle quali si trovavano i consorzi erano note ai soci, agli amministratori ed ai sindaci.

Questi ultimi, in particolare, posti dalla legge speciale a presidio della veridicità dei bilanci, vennero costantemente meno ai loro doveri di vigilanza, nulla osservando non solo su macroscopiche anomalie ma, anche, sistematicaticamente, sull'uso improprio di artifici tecnici che mascheravano la reale entità delle perdite, come quello della diffusa rivalutazione del patrimonio immobiliare.

Ciononostante, la reale condizione dei consorzi era percepibile dalla Federconsorzi, che ne era ben consapevole, dagli istituti di credito che li finanziavano e dall' allora Ministero dell'agricoltura.

Appare, quindi, evidente, come i provvedimenti di commissariamento e di liquidazione coatta furono nella maggior parte dei casi tardivi.

Risulta, inoltre, chiaro che la politica creditizia delle banche, che beneficiavano degli elevati volumi di lavoro che i rapporti con i consorzi comportavano, confidava nella garanzia esplicita od implicita della Fedit e, quindi, sul tema non può che rinviarsi alle osservazioni già rassegnate.

I bilanci dei consorzi non ne rappresentavano, con chiarezza ed attendibilità, le condizioni economiche e finanziarie ed i risultati degli esercizi, sia a causa del già evidenziato ricorso, di dubbia ortodossia, alla rivalutazione degli immobili sia per l’omessa deliberazione ed appostazione di riserve adeguate alla rilevante entità dei rischi d’insolvenza dei crediti concessi, di ammontare miliardario.

Nella maggior parte di casi mancava anche un adeguato progetto economico e finanziario. Le spese di gestione erano solitamente esorbitanti ed insostenibili.

I controlli interni dei Collegi sindacali erano, in generale, nulli. Parimenti quelli esterni: non risulta che furono eseguite ispezioni ministeriali fino al commissariamento della Federconsorzi; le prime ispezioni sembrano risalire al 1993.

Tutti gli elementi raccolti sulle connotazioni economiche, finanziarie e gestionali e sullo status giuridico delle imprese consorzi agrari inducono la Commissione ad un’ulteriore riflessione.

Le ragioni più profonde della crisi del sistema dei consorzi erano connesse alla stessa architettura del sistema federconsortile, valido ed utile solo nel contesto di una politica economica agricola dirigistica ed assistita ed invece in forte difficoltà di fronte alle esigenze di una economia di libero mercato.

Le difficoltà furono acuite in maniera decisiva sia dai privilegi, nella realizzazione di profitti, accordati negli anni Cinquanta e Sessanta alla Federconsorzi nell’ambito delle funzioni pubblicistiche di ammasso alimentate con i fondi dello Stato, sia dalla politica commerciale della Federconsorzi.

Questa perse gradualmente la caratteristica di struttura al servizio delle unità produttive diffuse sul territorio, costituite da quelli che ne erano suoi soci esclusivi, i consorzi agrari.

La Federconsorzi divenne una grande impresa sul piano economico e finanziario mentre i consorzi non si sviluppavano ed evolvevano ma, al contrario, si affidavano sempre di più al sostegno assistenziale della Fedit, finendo per travolgerla.