I minatori dell'Alaska/XIX - Il wapiti

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XIX — Il wapiti

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XIX — IL WAPITI


L'indomani Bennie e i suoi compagni, ormai sbarazzatisi dell'ostinato e vendicativo indiano, lasciavano la tribù delle Teste Piatte, impazienti di arrivare alla grande catena delle Montagne Rocciose. Dorso Bruciato, contento di aver guadagnata la superba capigliatura del guerriero di Nube Rossa, e anche per dimostrare la sua ammirazione per la bravura del cow-boy, li aveva forniti di viveri abbondanti, soprattutto di carne secca e di pemmican, e aveva regalato al vincitore il bianco mustano uscito illeso dal combattimento, un magnifico e vigoroso animale che poteva sostituire vantaggiosamente quello rimasto ucciso. Usciti dalla vallata, i quattro cavalieri, sempre seguiti dai due mustani che portavano le provviste e gli attrezzi, piegarono definitivamente verso est, attraversando la grande pianura racchiusa fra il Back e le sorgenti del Peace. La traversata fu compiuta in quattro giorni senza cattivi incontri, e il quinto giunsero ai primi contrafforti delle Montagne Rocciose, le cui alte vette, ancora coperte di neve, si stendevano a perdita d'occhio verso il nord e verso il sud. Quella gigantesca catena, la più imponente dell'America del Nord, si collega con quella delle Cordigliere, e ha inizio nell'Alaska, nella cosiddetta America Russa. Lassù è però piuttosto bassa, e più che una vera catena di montagne, è una serie ininterrotta di colline, tuttavia di passo in passo che scende verso il sud, prende rapidamente proporzioni gigantesche.

I nostri amici, stanchi di quella corsa durata quattro giorni, non volendo stremare i cavalli sui quali contavano per attraversare rapidamente il tragitto, ancora assai considerevole, che li divideva dalla frontiera anglo-americana, decisero di riposarsi qualche giorno, desiderando anche di provvedersi di un po' di carne fresca. Per accamparsi scelsero l'estremità di un bellissimo vallone che s'inoltrava, serpeggiando, fra le alte vette della grande catena, un vallone ricco di acque e di boscaglie, e che prometteva anche, di non essere sprovvisto di selvaggina. Dopo il pasto Bennie e il suo inseparabile amico, il giovane Armando, provvedutisi abbondantemente di munizioni, lasciarono l'accampamento, affidandone la guardia al meccanico e al messicano e s'inoltrarono nel vallone decisi a non tornarsene a mani vuote. Avendo trovato un corso d'acqua, forse un affluente del Back, decisero di risalirne la sponda destra con la speranza di abbattere qualche grosso cigno o qualche aquila dalla testa bianca, in caso non avessero potuto trovare qualche capo di selvaggina da pelo. Le due rive del fiume erano boscose, ma le piante non erano così fitte da rendere malagevole la marcia. I due cacciatori camminavano in silenzio da un'ora, girando con precauzione attorno ai tronchi per non allarmare la selvaggina, quando udirono echeggiare, verso il fondo della valle, dei lunghi ululati.

— I lupi!... — esclamò Armando. — Cattiva selvaggina che non fa per noi, è vero, signor Bennie?..

— No, ma farebbero per noi le costolette della selvaggina che inseguono, — rispose il cow-boy, dopo aver ascoltato per alcuni istanti.

— Credete che caccino qualche animale?...

— Non urlerebbero in questo modo in pieno giorno. Non udite come i loro ululati ora si avvicinano e ora si allontanano?...

— È vero; che inseguano qualche bisonte?...

— Oh!... Qui i bisonti!... Non lasciano le grandi praterie.

— Allora, qualche daino o qualche montone di montagna?...

— Credo si tratti d'altro — disse Bennie che, da qualche istante, osservava attentamente alcuni salici.

— Di qualche animale più grosso?...

— Di un wapiti.

— Che specie di bestia è?...

— Un cervo molto più grande di quelli comuni.

— E da che cosa lo arguite?...

— Da quei rami di salice che hanno perduto le loro gemme e da solo poche ore poiché la linfa cola ancora.

— Si nutrono di quelle gemme?...

— Sì Armando... Ehi!... Gli ululati si approssimano a noi; forse il wapiti si dirige da questa parte per salvarsi a nuoto.

— Sono abili nuotatori?...

— Possono attraversare i più larghi fiumi senza correre il pericolo di annegare.

— E i lupi non lo seguiranno?...

— Uhm!... Ci pensano poco a prendere un bagno. Toh!... Udite come gli ululati s'accostano sempre di più?

— Saranno molti i lupi?...

— Qualche dozzina.

— Allora non sono da temere.

— Lo spero. Imboschiamoci in mezzo a questi nocciuoli selvatici e vediamo se si tratta veramente di un wapiti o di un daino mangiatore di legno.

— Un altro animale che non conosco.

— Ne troveremo dei branchi più a settentrione. Ascoltate?... I lupi urlano più forte che mai e ciò significa che la preda sta per essere raggiunta.

Si cacciarono sollecitamente in mezzo alla macchia di nocciuoli che s'alzava intorno a un gigantesco olmo e attesero la comparsa dell'animale cacciato dai feroci carnivori, tenendo il dito sul grilletto dei fucili.

Gli ululati dei lupi s'avvicinavano sempre. Certamente il povero cervo, o daino che fosse, invece di mantenere una direzione costante, rompeva di frequente per guadagnare qualche passo sui suoi inseguitori o cercava una traccia a lui nota che lo guidasse al fiume, il solo asilo per sfuggire ai denti dei suoi ostinati cacciatori. Non erano trascorsi quindici minuti, quando Bennie udì in mezzo alla foresta un galoppo furioso, accompagnato da un fruscio di foglie.

— Eccolo!... — esclamò, alzandosi rapidamente.

Un bellissimo animale, dalle forme eleganti e slanciate, molto alto, dal pelame bruno rossiccio e fitto e il capo adorno di corna ramose, di una tinta grigiastra che aveva i riflessi del velluto e che parevano composte di una materia membranosa piuttosto che di osso, si era slanciato, con una agilità e una grazia straordinarie, fuori da un folto cespuglio, balzando in mezzo a una piccola radura erbosa. Il disgraziato animale pareva però che, in quell'ultimo salto, avesse esaurito tutta la sua forza, essendosi subito fermato con la testa bassa e le corna tese. Era grondante di sudore e coperto di bava sanguigna; aveva gli occhi dilatati per lo spavento e ansimava fortemente, mentre le sue gambe tremavano, come se stessero per piegarsi da un momento all'altro.

Era appena apparso, quando si vide sbucare un grosso lupo grigio dal pelo irto e le fauci aperte che mostravano i lunghi e acuti denti. Senza spaventarsi per l'attitudine minacciosa del povero cervo, gli si scagliò contro con un grande balzo, mandando un ululato di trionfo e lo azzannò ferocemente alla gola.

— Ah!... Carogna!... — urlò Bennie, levandosi furioso.

Un colpo di fucile echeggiò in mezzo ai cespugli e il lupo colpito nel cranio dalla palla dell'abile cacciatore, ruzzolò a terra fulminato. Disgraziatamente per il wapiti, quell'aiuto era stato troppo tardivo. Assalito in quel modo, era caduto al suolo mandando bramiti lamentosi, mentre dalla gola aperta dai formidabili denti, il sangue colava a fiotti. D'altronde gli altri lupi erano vicini. Senza preoccuparsi della morte del loro compagno e senza spaventarsi per quella detonazione, si scagliarono rabbiosamente sul cervo, azzannandolo da tutte le parti e coprendolo con la massa dei loro corpi.

Armando e Bennie erano balzati fuori dai cespugli. Con due spari abbatterono altri due predoni, poi piombarono audacemente sull'orda affamata, picchiando a destra e a manca coi calci dei fucili. I lupi, accortisi finalmente della presenza dei due cacciatori, i quali battevano con un vigore tale da fracassare teste e costole, presero frettolosamente il largo, ringhiando e mostrando i denti. Uno di loro, il più grosso, non volle andarsene senza protestare e si voltò contro il cow-boy tentando di balzargli alla gola, ma ebbe una tale mazzata da cadere dieci passi lontano, con la groppa sfracellata.

— Ah!... Luridi ghiottoni!... — urlò Bennie. — Osate mostrare i denti a me?... A voi prendete!...

Cinque colpi di rivoltella sparati l'uno dietro l'altro e che fecero cadere altri due animali, decisero gli altri a prendere il largo con la coda fra le gambe e al più presto.

— Povero animale! — disse Armando, che si era curvato sul cervo. — È stato scannato di colpo. Hanno denti di acciaio quei ghiottoni. Perché questo wapiti non si è difeso a colpi di corna?

— Perché correva più pericolo di farsi male, che di ferire i lupi.

— In realtà si direbbero di velluto grigio attraversato da vene rossicce.

— Sono corna membranose, attraverso le quali scorrono dei vasi sanguigni e che spesso costituiscono, anziché una buona difesa, un vero pericolo per il povero cervo. Percuotendolo con un grosso bastone, si possono causargli tali ferite da ucciderlo.

— Sono dunque di puro ornamento?

— No, Armando. In autunno queste membrane cadono e l'interno acquista allora una tale durezza da sfidare l'osso, ma nel gennaio e febbraio si staccano e il wapiti rimane allora inerme, in balìa dei lupi e delle altre fiere. In autunno, però, fa uso delle sue armi e si difende con molto vigore, anzi in quell'epoca i maschi impegnano fra loro dei mortali combattimenti.

— È buona la loro carne?

— Uhm!... È un po' coriacea, però molto nutriente. Noi, che non abbiamo proprio bisogno di viveri ci accontenteremo della lingua, che costituisce la parte migliore; il resto lasciamolo pure ai lupi.

— Attendono il cadavere, signor Bennie. Non vedete che ci spiano?...

— Ah sì!... Ebbene noi gliela faremo guadagnare questa carne.

— In che modo?...

— Vedrete — rispose il cow-boy, ridendo.

Impugnò il bowie-knife e con un colpo maestro scucì il ventre del povero cervo, facendogli un'apertura così ampia da fare uscire gli intestini.

— Andate a lavarli in quella pozza d'acqua — disse ad Armando.

— Volete mangiarli?...

— Non ne abbiamo bisogno, — rispose il cacciatore. — Serviranno a spaventare i lupi.

— Volete scherzare, Bennie?...

— Obbedite e poi vedrete.

Il giovane prese quell'ammasso di budella e le trascinò fino ad un piccolo stagno, facendo entrare acqua in abbondanza attraverso l'orifizio. Intanto il cacciatore si era accostato ad una pianta e aveva reciso un ramo. Con la bacchetta del fucile forzò la midolla ad uscire, operazione che riuscì facile, essendo tale sostanza quasi spugnosa, e ottenuta una piccola canna, chiamò Armando il quale aveva già terminata la pulizia degli intestini.

— Chiudete uno degli orifizi con qualche pezzo di corda — gli disse Bennie.

— È fatto — rispose Armando.

— Benissimo: preparatevi a turare anche l'altro quando vi farò un segno.

Ciò detto, introdusse il bocchino nell'orifizio rimasto aperto e si mise a soffiarvi dentro con tutta la forza dei suoi polmoni. Le budella si gonfiarono rapidamente contorcendosi, ma Bennie continuò fino a quando le vide così piene d'aria da correre il pericolo di scoppiare. A un suo cenno Armando strinse anche il secondo orifizio, legandolo per bene.

— Ecco un bellissimo spauracchio per i lupi — disse il cacciatore, ridendo.

Prese gli intestini e andò ad appenderli a un ramo basso, che si stendeva sopra il cadavere del cervo. Al soffio di una leggera brezza, le budella si misero a dondolare, brillando sotto i raggi del sole. I lupi, che si trovavano sempre a breve distanza, aspettando che gli uomini si fossero allontanati, per gettarsi ingordamente sulla grossa preda, si misero a ringhiare e a urlare ferocemente.

— Hanno paura, — disse Bennie.

— Di quel budello? — chiese Armando, con stupore.

— Ve lo assicuro, e non oseranno accostarsi al cervo per molto tempo. Quando noi cacciatori vogliamo salvare la nostra selvaggina dai denti di quei bricconi, facciamo così e siamo sempre certi di ritrovarla intatta anche dopo molte ore. E ora mio caro Armando, torniamo all'accampamento a far colazione.

Con pochi colpi di coltello spaccò la gola del cervo, s'impadronì della lingua, l'appese alla canna del fucile e diede il segnale della partenza. Desiderando esplorare i dintorni, invece di seguire la stessa via, i due cacciatori si misero a rimontare un altro vallone, il quale doveva, secondo i loro calcoli, condurli all'accampamento. Quella seconda vallata, che si addentrava serpeggiando fra le Montagne Rocciose, era più selvaggia dell'altra e anche più impervia. In fondo, crescevano giganteschi abeti e pini, lanciando le loro cime a cinquanta metri di altezza Le loro basi, però, non erano visibili, essendovi intorno degli ammassi di cespugli assai fitti, ottimi rifugi per la selvaggina. Bennie, temendo che vi si trovasse qualche animale pericoloso, qualche orso grigio, ad esempio, aveva staccata la lingua appendendosela alla cintura, per avere il fucile a portata di mano.

— Non si sa mai chi si può incontrare — disse ad Armando. — Le Montagne Rocciose sono preferite dagli orsi grigi.

— Non si spingono fin qui i cacciatori di prateria? — chiese il giovanotto.

— Uhm!... Le pelli dei grizzly valgono molto meno di quelle dei bufali e perciò non si arrischiano a venire qui; e poi non calcolate i pericoli? I bisonti si lasciano uccidere con la miglior buona grazia, senza protestare, mentre gli orsi grigi si difendono e in che modo!... Lo so io, che per poco un giorno non lasciai la pelle fra le zampe di uno di quei pericolosi animali.