I predoni del gran deserto/2. L'oasi

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2. L’oasi

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1. La fuga del pallone 3. I predoni del deserto

L’oasi


Un uomo era improvvisamente comparso fra i cespugli, che crescevano ai piedi delle palme, e si era avvicinato alla navicella aggrappandovisi strettamente, come se avesse paura che il pallone tornasse a fuggire.

Quello sconosciuto non era un abitante del deserto, poiché la sua pelle non era nera come quella dei Tibbù, né bronzina più o meno carica come quella dei Tuareg, ma bensì bianca come quella degli europei. Ma in quale stato si trovava quel disgraziato!... Era coperto di contusioni, senza giacca, senza panciotto, senza camicia e calzari, poiché non indossava che un paio di mutande tutte lacere: quantunque sembrassero lavate di recente.

Era alto, magrissimo, con una barba nera ed arruffata, con due occhi d’un azzurro profondo, una fronte spaziosa, una bocca piccola colle labbra sottili.

Per unica arma non aveva che... un compasso ed un ramo d’albero appuntito.

— Cosa fate voi qui, in mezzo al deserto, in quel costume? — chiese William, stupito, parlando pure in inglese.

— Studio — rispose gravemente quell’uomo.

Dinanzi a quell’uscita, davvero molto strana in quel momento ed in quel luogo, l’americano proruppe in una risata clamorosa, che non parve offendesse, né sorprendesse quello straniero.

— Voi studiate... — esclamò William.

— Sì — rispose pacatamente quell’uomo. — Vi sorprende?...

— Tanto che mi chiedo se sia vero che io ho attraversato il Mediterraneo e l’Algeria e che voi esistiate, o se sia invece un sogno.

— Non sognate, perché io, vi assicuro, sono vivo e sveglio.

— Ma che cosa studiate voi qui?...

— Un’impresa colossale, la più grande opera del nostro secolo. E voi cosa venite a fare qui?

— Io!... Nulla!...

— Credevo che veniste anche voi per lo stesso scopo.

— No, mio caro signor...

— John Weddel di Edimburgo.

— Toh!... Voi siete uno scozzese!... Io sono invece un americano, William Fromster...

— Di New-York — disse lo scozzese, ridendo. — Sono ben felice di fare conoscenza col fortunato possessore degli immensi tesori degli Incas.

— Ma come!... Voi sapete?...

— Io ho letto molti articoli di giornali su di voi, signor Fromster — disse lo scozzese, continuando a ridere. — Tutti i giornali del Regno Unito hanno parlato di voi. Vi assicuro che pochi uomini godono una celebrità pari alla vostra.

— È vero — disse William.

— Volete scendere?...

— Non chiedo di meglio, signor Weddel. Tanto più che ho un appetito da lupo.

— Ohimé!... Mio caro signore, ho ben poca cosa da offrirvi.

— Non avete viveri?...

— Sì, dei datteri.

— Ma siete solo?...

— Affatto solo. Ma scendete: chiacchiereremo poi.

Lo scozzese aveva afferrata una fune che pendeva dalla navicella, e l’aveva legata strettamente attorno il tronco nodoso di una palma dûm. L’americano aprì la porta e balzò sulla sabbia del deserto. Subito il pallone, scaricato di quel peso considerevole si alzò tendendo bruscamente la fune.

Lo scozzese e William si strinsero vigorosamente la mano.

— Venite all’ombra — disse il primo. — Se avete sete, vi condurrò al pozzo.

I due uomini entrarono nell’oasi.

Come si sa, le oasi del Sahara sono specie d’isole verdeggianti, che si sviluppano meravigliosamente fra le sabbie infuocate. Dove vi è un pezzo di terra fertile, le piante spuntano presto, specialmente se quel terreno conserva una certa umidità, cosa non difficile, poiché anche sotto le aride sabbie s’incontrano delle acque ed a poca profondità.

Già molti sono stati i pozzi artesiani scavati sui margini del deserto dai francesi dell’Algeria, e continuano a dare tutt’ora grande copia di acqua limpida e buonissima.

I più credono che il Sahara non sia altro che un mare sconfinato di sabbia e assolutamente inabitabile; che sia una immensa pianura bruciata dal sole ed incoltivabile. Invece il Sahara, pur essendo sabbioso nella maggior parte, è ricco d’acqua nel sottosuolo, ha numerosi posti dove crescono ubertosi pascoli e dove allevansi milioni di pecore e di capre; ha montagne, ha vallate, ha burroni ed anche numerosi fiumi, molto spesso aridi, è vero, ma taluni che scorrono impetuosi durante la stagione delle piogge.

Si è creduto che nel Sahara non piova mai, mentre non è vero. In alcune regioni l’acqua non cade per due o tre anni di seguito e qualche volta anche per vent’anni consecutivi, ma in altre piove, specialmente quelle settentrionali.

Che più?... In quel deserto, caldissimo è vero, ma non tutto infuocato, si trova perfino della neve!... I Tuareg hanno assicurato al signor Duvegrir, che sulle cime dell’Haggar la neve si conserva per alcuni mesi dell’anno, e che in alcune oasi degli altipiani, durante la stagione invernale, si forma qualche volta perfino il ghiaccio!...

Con ciò non vogliamo dire però, che il Sahara non sia caldissimo, poiché in certi luoghi il termometro segna per molti mesi perfino 50°.

L’oasi abitata dal signor Weddel, sorgeva su d’un piccolo altipiano ed aveva una estensione limitata, poiché la sua lunghezza non superava le due miglia e la sua larghezza i sette od ottocento metri. Era però una delle più verdeggianti, essendo la flora africana molto svariata. Si scorgevano numerose piante di aloè somiglianti a lance gigantesche emergenti da un fascio di foglie larghe, acute e rigide; gruppi di fichi d’India, chiamati dagli indigeni kermus del Inde, con grandi foglie irte di leggerissimi pungiglioni di es-segiar, arbusti spinosi che producono delle bacche chiamate nàbak e mangiabili, quantunque siano assai insipide; macchioni di segùl e di alfeh, graminacee lunghe, dure, amare che perfino i cammelli disdegnano, e di minose e di euforbie.

Di alberi non ve n’erano che di due specie, ma entrambe preziose. Vi erano delle superbe camerope a ventaglio (camerope humilis) col fusto cilindrico, del diametro di quindici o venti centimetri, nudo verso la base, ma più sopra coperto di squame regolari e coronato alla sommità d’un magnifico ciuffo di trenta a quaranta foglie piumate.

Questi alberi erano carichi di frutta un po’ più grosse dei datteri, ripiene d’una polpa zuccherina, assai piacevoli e mangiate avidamente dagli abitanti del deserto, i quali si cibano pure dei giovani germogli delle camerope ed anche della sostanza farinosa rinchiusa nel tronco.

Le altre erano datteri, piante pure bellissime, già cariche di frutta squisite, carnose, lucenti, di color rosso giallastro o giallo bruno.

In quel piccolo paradiso terrestre, perduto fra la sconfinata distesa di sabbia, mancavano gli animali, però fra i cespugli o sulle grandi foglie piumate delle palme si vedevano alcuni sberegrig (merops), uccelli grossi come una gazza col dorso e le ali d’un azzurro carico ed il ventre e la coda d’un azzurro più pallido, e qualche coppia di falchi giuocolieri (neophoron pilcabus).

Il signor Weddel si sedette all’ombra d’una palma, invitando l’americano ad imitarlo. Così si guardarono l’un l’altro per parecchi istanti, in silenzio, come se fossero ancora non certi di trovarsi insieme in mezzo al deserto, poi il primo disse:

— Sopra il vostro capo abbiamo dei datteri per sfamarvi; laggiù, dietro a quei cespugli, vi è un pozzo per dissetarvi. Questo è tutto quello che posso offrirvi, signor Fromster.

— Ma siete proprio solo qui? — chiese l’americano.

— Solo, come vedete.

— Ma non avevate un servo, una carovana, dei compagni?

— Sì, avevo con me alcuni marocchini, ma sono fuggiti e credo che non ritorneranno più mai.

— Vi hanno spogliato forse?

— Loro no, ma ieri sera una banda di Tuareg è piombata su quest’oasi e mi ha portato via tutto, perfino le vesti che avevo indosso.

— Chi sono questi signori Tuareg?...

— I predoni più formidabili che esistano al mondo.

— Ma cosa siete venuto a fare qui?

— A studiare l’effettuazione d’un progetto grandioso destinato ad immortalare la fine di questo secolo.

— E quale?...

— La trasformazione di questo grande deserto in un immenso lago.

William lo guardò con stupore.

— Vi sorprende? — chiese lo scozzese. — Se gli uomini sono riusciti a congiungere il Mar Rosso col Mediterraneo, e se ora lavorano per congiungere l’Oceano Atlantico col Pacifico mediante il canale di Panama, non vi sarebbe da stupirsi se tentassero l’effettuazione di questa grande impresa. Tutto è possibile in questa fine di secolo, ed anche questa grande impresa potrebbe tentarsi. Già Roudaire e Lesseps hanno fatto degli studi, ed hanno dimostrato che con duecento milioni ed in dieci anni si potrebbe realizzare la cosa. I francesi non hanno accettato l’idea: ebbene la facciamo nostra e spetterà all’Inghilterra l’onore di aver vinto la natura in quest’ultima e grandiosa battaglia.

— Ed è per studiare l’effettuazione della colossale impresa, che voi siete venuto qui?

— Sì, signor Fromster.

— Da quanto tempo vi trovate nel deserto?

— Da due mesi. Ma voi perché siete venuto in quest’oasi? Quando udii il vostro nome credevo che foste venuto per mettere a disposizione dell’impresa qualche centinaio dei vostri milioni.

— Niente affatto, signor Weddel. Sono caduto qui contro la mia volontà.

— E come?...

— Spintovi da un formidabile uragano. Stavo aspettando la mia fidanzata per impalmarla, quando si ruppe la gomena che tratteneva a terra il mio pallone ed il vento mi portò via.

— Il caso è strano — disse Weddel, ridendo.

— Non dico di no, ma forse è meglio così... Sposandomi poteva riprendermi lo spleen.

— Ah! Voi soffrite lo spleen?

— Molto, signor Weddel.

— Forse in questo deserto guarirete. Credo che non vi rimanga tempo per annoiarvi, poiché sarete obbligato a lottare per l’esistenza.

— Ma credete voi che saremo costretti a rimanere molto qui?...

— Lo temo, signor Fromster. Siamo lontani duecento miglia dalle frontiere del Marocco, e senza un cammello e due recipienti per l’acqua, non potremo mai tentare un simile viaggio.

— Aho!... E cosa faremo qui?...

— Non vi è il pallone?...

— Non basterà più a risollevarmi. Ha perduto tutto il gas del primo involucro. Ma potrà esserci utile per dare nostre notizie in Europa od in Algeria o nel Marocco. Appena il vento soffierà dal sud lo innalzeremo, dopo d’averlo sbarazzato della seta del primo involucro per renderlo più leggero, e nella navicella metteremo delle lettere. Voi siete conosciuto dovunque e coloro che troveranno l’aerostato informeranno le autorità ad i vostri amici e si organizzeranno delle carovane di soccorso.

— Allora cercheremo un modo per andarcene di qui, se lo potremo; signor William Fromster, lasciamo per ora questi discorsi e pensiamo a fare raccolta di datteri. La dispensa è magra, ma bisogna accontentarsi.