La leggenda di Tristano/LI

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LI. — Ora dice lo conto che se T. avesse saputo che la damigella l’avesse abandonato in tale maniera, egli avrebe compiuto sua battaglia. Ma appresso a queste parole e T. si tornava a Tintoil. E quando lo re vide T., fecegli grande allegrezza ed egli e li suoi cavalieri. Ma lo re Marco in suo cuore avea grande paura di T., e dicea in fra se medesimo che «se dimora T. in Cornovaglia, a sicuro posso essere di perdere la vita, dappoi ch’egli è cosí franco cavaliere ad arme». Ma appresso di queste parole lo re Marco uscio nela sala delo palagio ali suoi cavalieri e chiamoe T. a sé e si gli disse: «Dolze mio nepote, io voglio che tu debie dire a me ed a questi cavalieri tutte le cavallerie che tu hai fatte, dappoi ch’io ti feci cavaliere». E T. disse: «Re Marco, questo non sarebe cortesia né per voi né per me, di ricontare queste cose». E lo re disse: «Io ti comando per lo saramento che tu mi se’ [p. 62 modifica] tenuto, che tu mi dichi tutte le cavallerie che tu hai fatte, dappoi ch’io ti feci cavaliere». E allora T. con grande dolore incomincioe a ricontare tutte le cavallerie le quali egli avea fatte. E dappoi che l’ebe tutte racontate disse: «Re Marco, ora m’avete voi fatto uno grande disinore, quando voi m’avete fatto dire quelle cose, le quali i’ ho fatte. Ma ora sapete tutte le cavallerie ch’io abo fatte». Allora lo re si dubitoe piú di T., dappoi ch’egli ebe intese tutte le sue prodezze. E appresso di queste parole e lo re sí si n’andoe nela camera e incominciò a pensare in che modo egli potesse dislungare T. da sé e mandarlo in tale parte che no tornasse giamai in Cornovaglia. E pensando sopra ciò non trovava via per la quale egli potesse mandare T. E allora si chiamoe due de’ baroni suoi, ne’ quali e’ si confidava molto, e disse loro tutto suo intendimento. E li baroni, dappoi che l’ebero inteso, dissero allo re tutto lo modo per lo quale T. dovesse essere distrutto. E lo re mandoe per T. e dissegli: «Dolce mio nievo, tu m’hai molto lodata una dama. S’a te piace ch’io abia dama, io l’avrò e se tu non vorrai io no l’avrò, e segnore se’ o vuogli del sí o vuogli del no». E allora rispuose T. e disse: «Dolce mio segnore, qualunqua donna voi vorrete, io ne farò tutto mio podere a fare sí che voi l’abiate». Allora disse lo re: «E promettilomi tu sí come cavaliere?». Ed egli disse che sie. Ed allora disse lo re: «Ed io voglio la figliuola delo re Languis d’Irlanda, [cioè Isotta la bionda] e accompagnati in qualunque guisa a te piace». Allora disse infra suo cuore T.: «Io veggio bene che lo re non mi vi manda se non perch’io vi muoia». E allora disse T.: «Io farò mio podere di quello ch’io v’abo promesso». Allora prese T. cavalieri di Cornovaglia XL, li migliori che vi fossero, e quand’eglino fuoro chiamati per andare lae, ciascuno di loro e le loro famiglie fecero sí grande pianto, sí come s’eglino s’andassero a guastare. Or s’aparechiano di tutto ciò ch’a loro fae bisogno e montano in una nave ed ebero buono tempo III giorni. E poscia diede loro adosso un tempo molto rio e fortunale e bastò loro V giorni, e fue molto fiero tempo, sí che tutti piangiano [p. 63 modifica] e’ marenai priegano tutti i santi che siano loro in aiuto. E poi arrivarono ad uno porto nel reame di Longres. E T. domanda li mastri marenai «lá ove siamo noi», ed eglino dissero: «Noi siamo nel reame di Longres». Assai ne fue allegro T. Ed allora si fece prendere V padiglioni e sí gli fece tendere in terra ala marina e fecero iscendere in terra loro gente per prendere riposo; e T. fece mettere le targie di fuori dali padiglioni appicate. Allora disse uno cavaliere, ch’iera giá usato nelo reame di Longres: «T., fae mettere le targie di fuori da’ padiglioni, imperciò che se passasero cavalieri erranti si vorrebero combattere, e noi non vorremo combattere, noi». E allora disse T.: «Ed io cosí voglio». Ed allora ebero grande paura li cavalieri di Cornovaglia, che li cavalieri non passasero quindi.