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Le pantere di Algeri/Capitolo 7 - Un combattimento omerico

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Capitolo 7 — Un combattimento omerico

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Capitolo 7 — Un combattimento omerico
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7.

UN COMBATTIMENTO OMERICO


Le galere barbaresche, avendo finalmente compreso che la Sirena le avrebbe fra poche ore raggiunte e che sarebbe mancato loro il tempo di riparare sulle coste della Tunisia, approfittando del vento favorevole che soffiava allora da oriente, si preparavano a chiudere il passo ai cavalieri di Malta, onde proteggere la fuga di Zuleik.

Con una rapida abilissima manovra erano tornate subito al vento e tenendosi su una sola linea, correvano addosso alla galera maltese, cercando di prenderla in mezzo per arrembarla con un fulmineo attacco circolare. Se però i barbareschi godevano fama di valenti marinai, i maltesi, specialmente in quell'epoca, non erano certamente inferiori. Accortisi questi delle intenzioni dei loro avversari, anziché continuare la rotta, virarono sollecitamente di bordo per evitare quel pericoloso accerchiamento, in modo da passare fuori dell'arco formato dalle galere.

Con una lunga bordata verso l'est, passarono a cinquecento metri dalla nave che formava la punta estrema, sfuggendo al tiro delle colubrine di babordo, poi ripresero la corsa verso il mezzodì tentando di frapporsi fra le navi di combattimento e quella fuggiasca, la sola che al barone premeva di abbordare, avendo ormai la certezza che su quella si trovassero la sua fidanzata e Zuleik. Disgraziatamente la Sirena nell'eseguire quella manovra, aveva dovuto perdere una parte del vantaggio guadagnato precedentemente e le galere barbaresche ne avevano subito approfittato per cambiare la loro fronte di battaglia. Passare dinanzi a loro senza sfidare i fuochi di bordata era impossibile, tuttavia i maltesi si trovavano ancora in buona posizione, potendo, se non altro, evitare l'accerchiamento e l'arrembaggio.

— Signor Le Tenant — disse il barone, che con un solo colpo d'occhio aveva abbracciata la situazione. — Se le artiglierie dei barbareschi non ci fracassano l'alberatura, noi investiremo la galera di Zuleik prima che le sue compagne giungano. Stiamo per giuocare una partita disperata, ed io non esiterò a tentarlo, qualunque possa esserne l'esito. Se i barbareschi ci immobilizzassero, non ci rimarrà che morire coraggiosamente, colle armi alla mano, dopo d'aver ucciso più nemici che potremo.

Si passò una mano sulla fronte, tergendosi nervosamente alcune stille di sudore.

— Signor Le Tenant, — continuò poi, — se io morissi e voi sopravviveste, giuratemi almeno di continuare l'impresa e di strappare la mia fidanzata dalle mani dei barbareschi. Metto a vostra disposizione tutta la mia fortuna.

— Signor barone, — rispose il maltese, con voce commossa, — giuro sulla Croce che se io dovessi sfuggire alla morte, tutto tenterò per salvare la contessa di Santafiora, dovessi mettere in moto tutti i fregatari e chiedere soccorsi alle repubbliche italiane.

— Grazie Le Tenant. Ora posso affrontare tranquillo la morte — disse il giovane capitano.

Si rizzò sul ponte di comando, sfoderando la spada e gridando:

— Bordate a tribordo!

La galera era giunta all'altezza delle navi barbaresche le quali le correvano addosso, tentando di tagliarle il passo, prima che potesse slanciarsi dietro quella di Zuleik che si trovava già un chilometro più innanzi. Le quattordici colubrine di tribordo avvamparono quasi simultaneamente, con un accordo ammirabile e con un rimbombo assordante prevenendo il fuoco dei barbareschi i quali stavano virando di bordo per presentare i fianchi. L'effetto di quella poderosa bordata, fu disastroso per gli avversari che si trovavano, almeno per quell'istante, nell'impossibilità di rispondere.

La feluca, che si trovava all'avanguardia fu d'un colpo solo rasata come un pontone, perdendo ad un tempo alberi e vele, mentre le altre ricevevano nella carena tale numero di proiettili, da farle piegare sui fianchi feriti e da arrestarle in piena corsa.

Un immenso urlo di gioia si era alzato sul ponte della Sirena il cui equipaggio vedeva, in quella straordinaria bordata, un buon augurio di vittoria, urlo però che si tramutò ben presto in grida orribili, giacché le navi barbaresche, ripresa la posizione, avevano risposto a loro volta tempestando con colubrine e bombarde la coperta della galera che fu coperta di morti e di moribondi. Se la bordata della Sirena era stata meravigliosa, anche quelle degli algerini non lo erano state meno ed avevano inflitto ai maltesi, raggruppati sul castello di prora, sul cassero e sulla tolda, perdite crudeli, decimandoli se non di più. Lo scopo però prefissosi dell'audace barone, non ostante quelle perdite gravissime, era stato ottenuto, giacché la Sirena era ormai sfuggita all'accerchiamento e si era frapposta fra la galera fuggiasca e le altre tre, senza aver subito danni considerevoli all'alberatura che potesse ritardare la sua corsa.

— Se il diavolo non ci mette la coda, — disse il signor Le Tenant, — abborderemo la galera di Zuleik, prima che le altre ci raggiungano. Signor barone, comincio a sperare che Dio sia con noi e che ci guardi.

— Se ne avremo il tempo — rispose il giovane capitano. — Fate radunare sul castello il maggior numero possibile d'uomini d'arme, giacché abborderemo colla prora e fateli coricare sul tavolato. Ecco le galere in caccia a loro volta: tuttavia spero di giungere addosso a quella di Zuleik col vantaggio d'una mezz'ora. Se la possiamo espugnare di colpo, le galere non ci prenderanno più. Signor Le Tenant, ordinate di non far fuoco che sul ponte. Fremo all'idea che una palla di cannone possa colpire colei che noi cerchiamo di salvare.

— Ho già prevenuta la vostra intenzione — rispose il maltese.

— Grazie, cavaliere. Contrabbracciate a babordo! All'orza il timone! Pronti ai grappini d'arrembaggio!

La Sirena correva sopra alla galera di Zuleik, la quale assai meno veloce, perdeva via a vista d'occhio.

Le altre si erano messe vigorosamente in caccia e la perseguitavano sparando le bombarde della coperta e con un incessante scrosciare d'archibugiate, con pochissimo frutto però, perché la distanza aumentava sempre. Sulla galera del moro si facevano frettolosamente i preparativi di battaglia. Uomini d'arme e marinai si affollavano sul cassero, pronti a respingere l'arrembaggio ed opporre una lunga resistenza fino all'arrivo delle altre e sulla tolda si rizzavano barricate dinanzi all'albero maestro ed al trinchetto. A quattrocento metri le due bombarde di poppa fecero una prima scarica addosso alla Sirena, un po' sopra il ponte, per tentare di disalberarla, ma i grossi proiettili passarono oltre dopo d'aver forate le vele di trinchetto e d'artimone.

— A posto gli archibugieri! — gridò il comandante. — Fuoco a volontà.

Cinquanta uomini, armati di grossi archibugi, si slanciarono sul castello aprendo un fuoco vivissimo sulla galera avversaria che invano tentava di sottrarsi all'abbordaggio, cambiando rotta ogni cinque minuti per guadagnare tempo. Gli uomini di Zuleik, scelti certamente fra i migliori non avevano tardato a rispondere a quelle scariche nutrite che spazzavano il cassero e l'alta prora. Coricati dietro alle murate, colle scimitarre fra i denti per essere più pronti a servirsene, miravano sul castello di prora della Sirena, mentre le loro due bombarde rombavano ad intervalli d'un minuto, mandando contro le velature i loro enormi proiettili di pietra.

Nulla però valeva ad arrestare la galera maltese. Con una fulminea bordata, favorita dalla brezza che era diventata freschissima, la Sirena cacciò il suo bompresso fra le sartie di mezzana della barbaresca, sfondando la vela latina che cadde sul ponte.

Il barone ed il signor Le Tenant, si erano slanciati giù dal cassero colle spade in pugno, gridando:

— All'arrembaggio, maltesi!

I grappini erano stati subito slanciati, mentre i gabbieri contrabbracciavano le vele. Avvenne un urto violentissimo che fece rimbombare le due galere fino alla cala e che fece stramazzare sul ponte la maggior parte dei combattenti, poi urla furiose s'alzarono.

— Su maltesi!

— In acqua i cristiani maledetti!

— Morte agli infedeli!

Un torrente d'uomini si precipita sul castello di prora della Sirena e si scaglia sul cassero della galera barbaresca, fra il tuonare delle artiglierie ed il crepitìo della moschetteria.

Alla testa vi sono il giovane barone che una collera terribile rende formidabile ed il signor Le Tenant.

I barbareschi, numerosi quanto i maltesi, se non di più, si scagliano come pantere assetate di sangue contro gli uomini d'arme che calano da tutte le parti sulla loro galera, incoraggiandosi con urla terribili e menando colpi disperati sugli elmetti, sui morioni e sulle corazze che mandano scintille. Lo slancio dei maltesi, eccitati dal rhum fatto dispensare poco prima dal barone è tale, che i barbareschi vengono travolti giù dal cassero e precipitati sulla tolda.

— Avanti! — urla il barone, che vede le tre galere accostarsi per correre in aiuto di quella di Zuleik. — Avanti, prima che giungano gli altri!

Balza sulla coperta e si caccia fra le file nemiche, tempestando i più vicini con gran colpi di spada. Nulla lo arresta. Il furore centuplica le forze di quel valoroso, il quale s'avanza verso la prima barricata eretta dinanzi all'albero maestro, aprendo un solco fra i barbareschi che rimangono sorpresi da tanta audacia. Gli uomini d'arme ed i marinai lo seguono, urtando impetuosamente gli avversari che si addossano tumultuosamente alle murate. La lotta diventa terribile. I barbareschi non cedono facilmente il campo e oppongono una resistenza disperata.

Le spade, gli spadoni a due mani, le mazze ferrate, le asce di guerra e le scimitarre percuotono, con un fragore assordante, le corazze che si schiodano sotto quei colpi tremendi e gli uomini cadono cogli elmetti fracassati che gettano sangue da tutti i fori o colle spade confitte nella gola o nel basso ventre che le corazze non proteggono.

Lo sforzo dei maltesi però s'arresta dinanzi alla barricata che i barbareschi difendono con accanimento senza pari, tempestando gli assalitori a colpi d'alabarda.

Il barone, che ode già i primi colpi di cannone delle galere, raduna attorno a sé una ventina d'uomini d'armi e si scaglia a testa bassa contro quell'ostacolo, gridando con voce tuonante:

— Uno sforzo ancora e la galera è nostra!

Balza sulla barricata e con due colpi di spada, avventati a destra ed a sinistra, si fa largo, ma ad un tratto un uomo coperto interamente di ferro, sorge di fronte a lui, attaccandolo col furore d'una tigre.

— Zuleik! — ruggì il barone. — Ah! Cane, finalmente ti tengo! Rendimi la mia fidanzata!

— Vieni a prendertela — rispose il moro. — Bisognerà però prima che tu mi uccida.

Un'onda di combattenti si gettò in quel momento fra di loro, travolgendoli e separandoli. I barbareschi che difendevano ancora il cassero, sgominati dai marinai maltesi che erano accorsi in aiuto degli uomini d'arme, si erano rovesciati all'impazzata sulla barricata, per mettersi in salvo dietro di essa. Pareva ormai che la vittoria fosse assicurata e che la conquista della galera non fosse che questione di minuti, quando una scarica tremenda spazzò la coperta, infilandola da prora a poppa.

Le tre galere avevano fatto fuoco, senza preoccuparsi di uccidere ad un tempo nemici ed amici e stavano per arrembare la Sirena.

Il barone aveva mandato un grido di disperazione, mentre i maltesi, scossi da quell'improvvisa scarica che aveva coperto la tolda di morti e di feriti, si ripiegavano disordinatamente per riguadagnare la loro nave. Il signor Le Tenant, scoraggiato, aveva dato lui stesso il comando, onde non far prendere i suoi uomini fra due fuochi.

— In ritirata! — aveva gridato.

Poi si era slanciato verso il barone che si sforzava ancora di espugnare la barricata e di raggiungere Zuleik, che combatteva contro i marinai della Sirena che non avevano ancora ceduto il campo.

— Venite — gli disse, afferrandolo per un braccio. — Ormai tutto è perduto, signor barone.

— No, lasciatemi — rispose il giovane capitano con accento disperato. — Lasciate che mi uccidano!

— Ma venite, dunque! Morto voi, tutto sarebbe finito anche per lei.

Gli uomini d'arme ed i marinai travolsero il barone ed il luogotenente, spingendoli verso il cassero. Tutti fuggivano alla rinfusa, perseguitati dai mori di Zuleik che tornavano alla riscossa. In un momento sgombrarono la galera nemica.

— Tagliate i grappini! — gridò il signor Le Tenant, cercando di dominare il tumulto.

Il barone, a cui la disperazione ed il dolore per un momento avevano fatto perdere la testa, appena tornato sulla sua galera aveva ripreso il suo sangue freddo. Non si trattava più ormai di strappare la contessa dalle mani di Zuleik, bensì di salvare la propria nave e l'equipaggio il quale stava per venire oppresso dall'enorme superiorità numerica dei barbareschi.

Con pochi comandi rapidi e precisi, ordinò di contrabbracciare le vele per riprendere il largo e sbarazzarsi delle quattro galere che gli stavano intorno e che si preparavano, a loro volta, ad arrembarlo, poi concentrò sul castello di prora tutti gli archibugieri disponibili per trattenere gli uomini di Zuleik che correvano all'attacco con urla selvagge.

Con due scariche arresta il loro slancio, impedendo d'invadere il castello e di rovesciarsi sulla tolda, poi approfittando di quel momento di tregua fa tagliare i grappini e sbarazzare il bompresso ancora imbrogliato fra il sartiame della galera. Un colpo di vento, molto opportuno, separa le due navi.

— Bordate! Bordate! — grida il giovane capitano, bilanciandosi sul ponte di comando, seguito dal cavaliere di Malta.

Mentre i gabbieri mollano le scotte delle vele latine per riprendere vento e gli archibugieri fanno fuoco sulla coperta delle quattro navi, le colubrine tempestano le carene con un rimbombo assordante.

Nondimeno la posizione della Sirena è quasi disperata, giacché le galere algerine non vogliono lasciare la preda, certe di opprimerla facilmente. I loro pezzi, tre volte più numerosi di quelli dei maltesi, rispondono con bordate tremende. Le palle fendono i fianchi della Sirena, spaccano madieri e corbetti ed entrano nelle batterie facendo strage degli artiglieri e degli uomini incaricati di tappare i buchi aperti dai proiettili.

Una galera, che ha il vento più in favore, tenta di venire all'arrembaggio, investendo la Sirena a prora, ma questa con un'abile manovra si sottrae al contatto e sfugge per miracolo all'accerchiamento delle altre, urtandole poderosamente.

Se riesce a rompere quella stretta, non può però mettersi al riparo dalle artiglierie dei barbareschi i quali la fulminano da tre parti, con spaventevoli bordate.

Lo spettacolo è orribile. Le palle di pietra delle bombarde cadono con immenso fragore sulla coperta, sul cassero e sul castello di prora, sfondando col loro peso i tavolati, mentre le palle delle colubrine tempestano i fianchi crivellandoli dalla linea d'acqua alle murate.

Il rimbombo di tutti quei pezzi è tale, che non si possono più udire i comandi del barone e del cavaliere di Malta, i quali si sforzano a far ricondurre la loro nave al largo. I clamori selvaggi e terribili degli algerini aumentano il fracasso. Resi furiosi da quella ostinata resistenza e dal mancato arrembaggio, tempestano la povera galera cogli archibugi e colle loro lunghe pistole e lanciano a tutta forza vasi ripieni di materie infiammabili, urlando a squarciagola:

— Sterminate! Uccidete! Il Profeta lo vuole!

I maltesi, con un coraggio disperato, cercano di rispondere da tutte le parti, ma la lotta è troppo impari. I ponti, le barricate, il castello, il cassero, si coprono di morti e di mutilati che nuotano nel sangue colle corazze squarciate dai frammenti di pietra delle bombarde e dalle palle delle colubrine le quali spazzano senza interruzione la coperta.

Anche nelle batterie la strage è spaventevole. Gli artiglieri, fulminati quasi a bruciapelo, cadono a dozzine accanto ai loro pezzi, che a poco a poco rimangono muti per mancanza d'uomini.

La galera non è più che un rottame che si mantiene ancora a galla per un vero miracolo. È tutta strappi, tutta buchi, senza più murate, senza l'artimone che è caduto sul cassero, spaccato in due da una palla di bombarda, coi ponti e le barricate sfondate.

— Arrendetevi! — urlano da tutte le parti i barbareschi, che tentano ancora di arrembarla.

Il barone risponde con voce tuonante:

— I cavalieri di Malta muoiono, ma non si arrendono!

In quell'istante un urlo di gioia si sprigiona dai petti dei superstiti:

— Delle vele! Delle vele! Vengono in nostro soccorso!

Da settentrione, ossia dalla parte della Sardegna, si vedono dei punti bianchi solcare l'orizzonte. Navi nemiche non possono essere di certo, perché non vengono dai porti del sud. A quella vista i prodi difensori della galera, che stanno ormai per dichiararsi vinti, riprendono animo e rispondono con maggior lena alle scariche dei barbareschi, il cui fuoco invece si rallenta.

Anche essi hanno veduto quei punti bianchi che annunciano l'avvicinarsi di altri velieri, forse delle galere mandate dal viceré di Sardegna in aiuto dei cavalieri di Malta. Una viva inquietudine invade gli equipaggi, i quali temono, a loro volta, di venir presi fra due fuochi.

La distanza è ancora troppo grande per poter sapere a quali specie di navi appartengono quelle vele, tuttavia i comandanti barbareschi pensano, e con ragione, che non saranno certamente corsare tunisine o algerine. Anche la resistenza che oppongono i maltesi, comincia a scoraggiarli. Il barone ed il signor Le Tenant, che s'accorgono dell'inquietudine che invade gli avversari, ne approfittano per raddoppiare il coraggio dei loro uomini.

— Bordate! Bordate! — urlano. — Ecco le galere sarde! Avanti, maltesi!... Nelle batterie chi sa sparare le colubrine!

Marinai e uomini d'arme si precipitano nei frapponti, dove solo pochi artiglieri continuano a maneggiare alcuni pezzi. Il fuoco che si rallentava di momento in momento, si ravviva con un crescendo spaventevole, scaricando bordate su bordate contro le navi barbaresche.

Quel cannoneggiamento infernale, finisce per decidere gli assalitori a lasciare la preda, che sentono che sta per isfuggire.

Quantunque anche le loro galere siano state assai maltrattate da quella lunga lotta, orientano precipitosamente le vele e dopo un'ultima bordata che rovina completamente il cassero della Sirena, prendono il largo fuggendo verso l'ovest, in direzione di Algeri.

La galera dei maltesi rimane sola, avvolta nel fumo delle ultime scariche, abbandonata alle onde, mentre un grido di disperazione lacerava il petto del giovane capitano che si trovava impotente ad inseguire i fuggiaschi, che ormai più nessuno poteva arrestare.