Otto mesi nel Gran Ciacco/Parte prima/XII

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XII

UN FORTE DI FRONTIERA - IL SOLDATO ARGENTINO
L'INDIANO E LA NOSTRA SOCIETÀ


CC
he è un Forte? vi verrà voglia di domandarmi, sentendomi arrivato al Forte Gorriti.

Un forte è (parlo di questi del Ciacco) prima di tutto, un picchetto di soldati, poi delle capanne di paglia, dove si ricoverano, sarebbe lusso se fossero di mota; finalmente, ma non sempre, una fossa che cinge tutta o parte l’area rettangolare in cui stanno picchetto e capanne.

Il numero dei soldati componenti il picchetto varia dai 15 a 30: le capanne son distinte: cioè, capanna per l’uffiziale o gli uffiziali, capanna pei soldati, capanna per gli ammalati e capanna per gli arrestati: il materiale di che son fatte non sempre è paglia, ma il più spesso canne messe per ritto, o per traverso; il tetto ne è di mota.

Lascio giudicare a voi se il vento e la pioggia vi si trastullino. Il soldato, se lo vuole tiene presso di sè una compagna. Il letto per gli uffiziali e soldati e mogli, è quasi sempre un canniccio su due capre, o un reticolato di cuoio in un telaio su quattro zampe, con cuoi sopra e coperte: ma il più delle [p. 92 modifica]volte è il terreno, perchè stanno frequentemente in ispedizione, e le spedizioni durano sempre qualche giorno, perchè i Forti sono distanti (dico di quelli nel Ciacco) 50 e 80 chilometri tra loro.

Non mi posso dimenticare d’una volta che andai a un Forte, laggiù, isolato isolato in una punta della linea di frontiera, presso il Teuco. Il picchetto li era di 12 o 14 soldati, ma di questi, sei erano di ronda, due malati, uno fuori in servizio, un paio erano depositi, vecchi della puna, cioè delle montagne di Jujui, sicchè non potevano andare nemmeno a cavallo: restavano il tenente, un par di soldati, io e due uomini miei.

La spedizione, fuori da tre giorni, non giunse la notte aspettata principiammo dunque a entrare in sospetto: la mattina furono mandati due uomini a prender lingua e tornarono senza saperne niente. Più tardi arrivò il cane che l’accompagnava, ma era già sera senza che la pattuglia fosse tornata. Ci s’impensierì davvero, e furono distaccati tre a cercarli: rimanemmo dunque in quattro gatti. Intanto principiava a prepararsi una burrasca numero uno. Il vento principiava a soffiare, le foglie a stormire, la rena a volare, le nubi a ammucchiarsi, l’aria a farsi fredda fredda e il cielo buio buio; e gli uomini non tornavano. I lampi si andavano disegnando nel fondo lontano del cupissimo orizzonte spessi, netti, allucinanti, lunghissimi, serpeggianti, e il tuono faceva udire il suo brontolio indistinto come lontana scarica di artiglieria o rumore sordo di una prossima frana....

Il vento si faceva sempre più forte, principiavano a cadere i goccioloni radi e pesanti, le rame della selva vicina agitate con violenza urtandosi, e rompendosi tra loro le vecchie con le nuove, producevano rumori che parevano umani..... e noi lì senza sapere che n’era dei nostri compagni e se gl’Indiani li avessero presi e preparassero una sorpresa contro noi rimasti, prendendo favore dalla notte perversa....

Finalmente si scatena la burrasca: il sibilo del vento, il chiarore dei lampi, il fracasso dei tuoni, lo scroscio della piog[p. 93 modifica]gia; gli schianti delle rame spezzate o delle piante sbarbate e precipitate sulle compagne; lo scricchiolio delle pareti di canne, gli sbuffi del vento a traverso gli usci senza imposte e fra le fessure delle canne; la solitudine; il pericolo sospettato.... impressionavano proprio l’animo profondamente. In tal angoscia dell’animo la mano inconsapevole posava sul calcio del revolver e l’occhio vigile spiava a ogni bagliore di lampo il terreno.... Ma passò la burrasca, il cielo rasserenato mostrò scintillanti di più vivida luce le stelle, l’aria purificata spirò freschezza e vigore.... e dopo poco giunsero fradici mézzi i morosi compagni....

Ah il soldato argentino! Bisogna vederlo alla frontiera per ammirarlo ed amarlo! La sua vita è un atto continuo di abnegazione, dall’ultimo al colonnello comandante.

Slanciato là nel deserto, in mezzo ai pericoli, sempre in operosa e faticosissima vigilanza, esposto a cadere vittima della mano ignobile dei selvaggi, non gli arride nessun conforto della società civile, per difendere la quale è là sullo spaldo romito, dimenticato quasi sempre dai gaudenti nelle case dorate dell’alta burocrazia.

Il suo soldo gli è spesso ritardato di anni, e la risorsa che potrebbe ritrarne, gli è perciò ammezzata dall’usura di chi gli fida una bottiglia d’acquavite per riscaldarsi, o una camicia per coprirsi.

È suo cibo la carne, esclusiva, si può dire: non pane, non vino, non erbaggi,.... non amore gentile o almeno elegante. Sì, è il capro espiatorio della società che difende!

Eppure, voi lo vedete saldo al suo posto; e non una bestemmia esce dal suo petto contro la patria sconoscente. E voi, mentre trovate nel soldato comune una obbedienza che vi sorprende, trovate anche una gentilezza, una generosità, e spesso una istruzione nell’uffiziale, che vi ammira; e così là, dove meno ve lo pensereste, trovate come passare genialmente la vita in mezzo alle attenzioni che ricevete, ai ragionari colti che potete scambiare, ai sentimenti elevati che discoprite. [p. 94 modifica]

E in mezzo a cotesti nobili soldati della Patria, che vivono anni interi tra le più mortificanti privazioni, le fatiche e i pericoli, voi scoprite una forza che avanti non avreste creduta tanta. Voi vedete uomini non curanti delle intemperie le più inclementi, uomini soddisfatti di qualsiasi alimento; soldati capaci di vivere giornate intere a cavallo senza risentirsene, o camminare a piedi quanto gli Indiani. Sofferenti tutto in una scala a cui non si giunge in altre parti, fuorchè forse nella Repubblica Orientale e in una o due Provincie meridionali del Brasile; soldati capaci di passare dal piede di pace a quello di guerra senza accorgersene.

E l’esercito, formato da tali soldati, fatto solido da disciplina di ferro e da tradizioni gloriose e immortali, è capace di fatti strepitosi e grandi. In sessant’anni dacchè esso esiste, rammenta: tra i suoi capi un San Martin, tattico e stratega sommo, il violatore delle Ande; un Belgrano, forte oratore; un Lavalle Cuor di Leone, il Bajardo della Libertà della sua patria; un Lamadrid; un Las Heras e un Paz che Garibaldi dichiarò uno dei primi generali del mondo. E tra i suoi fasti novera le gloriose giornate contro gli Inglesi in Buenos Ayres; il Passaggio delle Ande, le vittorie di Suipacha, di Tucuman e di Salta, quelle di Chacabuco e di Maipù nelle campagne del Perù e del Chili. Ricorda la giornata di Tacuary nel Paraguay, più gloriosa d’una grande vittoria; il trionfo di Ituzaingo contro i battaglioni alemanni al soldo del Brasile, già agguerriti e vittoriosi nelle battaglie contro Napoleone. Poi vanta l’indipendenza della propria Patria frutto delle sole sue armi, quella di tutto il continente sudamericano provocata con ardimento cartaginese, coadiuvata poderosamente e decisivamente con esse.

Taccio degli uomini e delle cose contemporanee, pel noto precetto istorico, e così delle splendide giornate nella guerra ultima del Paraguay e dell’ammirabile movimento delle forze nelle dolorose tenzoni civili: ma io dico che in verità ben pos[p. 95 modifica]sono il popolo e l’esercito della Patria Argentina, fermo il pugno sull’elsa della spada, gridare allo straniero «guai a chi la tocca!»

E per me saranno indimenticabili i generosi uffici usatimi da prodi e cavallereschi ufficiali da Córdoba a Oran, e i lieti istanti passati sempre grati in mezzo alla compagnia dei leali soldati di questa Patria: e mi sembra compiere un dovere del cuore e sociale con dare alle lor belle qualità questo tributo modesto, ma che pur passerà anche il mare.

Presso il Forte Gorriti vi è una numerosa indiada Mattacca, divisa in tre tolderie. Cotesti Indiani son mansi e i cacicchi ricevono razione dal Governo; gli altri poi si procacciano la vita al solito. Son cotesti Indiani, che durante la raccolta e la elaborazione della canna da zucchero vanno salariati agli Establecimientos o haciendas di zucchero nel dipartimento d’Oran e nella Valle del S. Francizco, fornendo una vantaggiosa mano d’opera. Il giorno in cui gli sfoghi di cotesto e di altri prodotti sieno facili ed economici, la industria agraria, potrà approfittare della mano d’opera di migliaia di Mattacchi e di Ciriguani e trovare in ciò una delle condizioni prime per uno splendido sviluppo.

A questi stabilimenti vanno in molti gl’Indiani. Un maggiordomo cristiano va alle tolderie, distanti 80 e 100 leghe, tratta con i cacicchi il salario, che suol essere di 6 boliviani, cioè 24 franchi al mese, e il vitto, che suol essere una miseria. Il salario vien lor dato in roba e in commestibili a prezzi quasi sempre esageratissimi. Gli Indiani se ne tornano scontenti e col proposito di non ritornarci, ma l’anno dopo tutto è dimenticato o il bisogno li stringe, e rinnocano.

Questi Indiani della frontiera, come pure quelli più dentro nel territorio cristiano al soldo di qualche estancia, conservano interamente il loro spirito di autonomia nazionale, i loro costumi e la loro religione, e restano indipendenti, senza perciò nessun dovere verso le leggi del paese, fuorchè quello di non [p. 96 modifica]fare del male ai Cristiani, che anche senza le leggi sanno restituire pan per focaccia, e molte volte esercitare anche arbitrii. Tra loro, poi, padronissimi di farsene di tutte, che nessuno se n’occupa.

L’Indiano nomade non si sente attratto alla nostra società. E come potrebbe esserlo? se il cambio non sarebbe che a tutto suo scapito?

Indipendente, se soffre qualche strettezza in alcune stagioni, ha però di che rifarsi in altre, ed ha la libertà: è cittadino sovrano nella sua tribù ed eguale a chiunque altro, anche nei mezzi: non tollera soprusi ed ha libera la vendetta: se è tra Cristiani, è rispettato finchè indipendente.

Ma che ne sarebbe di lui se divenisse cittadino? Sarebbe un paria della società adottata; schiavo di fatto se non di diritto del padrone, che con farlo indebitare diventa signore della sua libertà e per fino del suo guadagno, perchè il peone (giornaliere) debitore non può uscire da un servizio se non ha scontato personalmente il suo debito, e non può pretendere aumento di salario finchè non è libero di sè. Uscito dalle granfie del padrone, casca sotto facilmente, o per qualche mancanza, o per bisogno, o per riflessione, o per disposizione pubblica, nelle file dell’esercito o della guardia nazionale, sotto una disciplina di ferro, senza paga per anni, sottoposto alla degradazione del flagello, incerto omai di quando potrà più uscirne. Cittadino, sarebbe oggetto dello sprezzo della stirpe bianca, che non lo considererebbe che come un istrumento elettorale nei dì della prova, e poi come un essere inferiore per natura. No, no! l’Indiano fa bene a vivere nomade, selvaggio, fuori del grembo della nostra santa religione, ma indipendente, o morire. Guai a lui se cambia di vita!