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canto primo. | 23 |
Nè potea al mondo aver maggior diletto,
Che onorar questo e quel nel suo bel tetto.
81 Sempre ella tenea gente alla veletta,
A’ porti ed all’uscita delle strade,
Che con inviti i pellegrini alletta
Venir a lei da tutte le contrade.
Con gran splendore il suo palazzo accetta
Poveri e ricchi e d’ogni qualitade;
E il cor de’ vïandanti con tai modi
Nel suo amor lega d’insolubil nodi.
82 E come avea di accarezzare usanza
E di dare a ciascun debito onore,
Fece accoglienza al conte di Maganza
Gloricia, quanto far potea maggiore;
E tanto più, che ben sapea ad istanza
D’Alcina esser qui giunto il traditore:
Ben sapeva ella, ch’avea Alcina ordito
Che capitasse Gano a questo lito.
83 Ell’era stata in India al gran consiglio,
Dove l’alto esterminio fu concluso
D’ogni guerriero ubbidïente al figlio
Del re Pipino; e nessuno era escluso,
Eccetto il Maganzese, il cui consiglio,
Il cui favor stimâr atto a quell’uso:
Dunque, a lui le accoglienze e i modi grati
Che quivi gli altri avean, fûr raddoppiati.
84 Gloricia Gano, com’era commesso
Da chi fatto l’avea cacciar dai venti,
Acciò quindi ad Alcina sia rimesso
Tra’ Sciti e gl’Indi ai suoi regni opulenti,
Fa la notte pigliar nel sonno oppresso,
E li compagni insieme e li sergenti.
Così far quivi agli altri non si suole,
Ma dar questo vantaggio a Gano vuole.
85 E benchè, più che onor, biasmo si tegna
Pigliare in casa sua chi in lei si fida,
Ed a Gloricia tanto men convegna,
Che fa del suo splendor sparger le grida;
Pur non le par che questo il suo onor spegna:
Chè tôrre al ladro, uccider l’omicida,
Tradire il traditor, ha degni esempi,
Ch’anco si pôn lodar, secondo i tempi.