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24 i cinque canti.


86 Quando dormía la notte più soave,
Gano e i compagni suoi tutti fûr presi,
E serrati in un ceppo duro e grave,
L’un presso all’altro, trenta Maganzesi.
Gloricia in terra disegnò una nave
Capace e grande con tutt’i suo’ arnesi,
E fece li prigion legare in quella,
Sotto la guardia d’una sua donzella.

87 Sparge le chiome, e qua e là si volve
Tre volte e più, fin che mirabilmente
La nave ivi dipinta nella polve
Da terra si levò tutta ugualmente.
La vela al vento la donzella solve,
Per incanto allor nata parimente;
E verso il ciel ne va, come per l’onda
Suol ir nocchier che l’aura abbia seconda.

88 Gano e i compagni, che per l’aria tratti
Da terra si vedean tanto lontani,
Com’assassini stranamente attratti
Nel lungo ceppo per piedi e per mani,
Tremando di paura, e stupefatti
Di maraviglia de’ lor casi strani,
Volavan per Levante in sì gran fretta,
Che non gli avrebbe giunti una saetta.

89 Lasciando Tolomaide e Berenice
E tutt’Africa dietro, e poi l’Egitto,
E la deserta Arabia e la felice,
Sopra il mar Eritreo fecion tragitto.
Tra Persi e Medi, e là dove si dice
Battra, passan, tenendo il corso dritto
Tuttavia fra orïente e tramontana,
E lascian Casia a dietro e Sericana.

90 E siccome veduti eran da molti,
Di sè davano a molti maraviglia:
Facean tener levati al cielo i volti
Con occhi immoti e con arcate ciglia.
Vedendogli passare alcuni stolti
Da terra alti lo spazio di duo miglia,
E non potendo ben scorgere i visi,
Ebbon di lor diversi e strani avvisi.

91 Alcuni immaginâr che di Carone,
Il nocchiero infernal, fusse la barca,