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Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/358

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346 CAPITOLO DECIMOTERZO

Fu pure mandato un biglietto all’arciprete di Arsiero colla preghiera di volersi trovare alle quattro nella chiesetta del Camposanto. La chiesetta è poco fuori della via che dal villino conduce alla Montanina. Realmente nella notte donna Fedele aveva creduto di morire e ora voleva confessarsi. Salire la scalinata della chiesa di Arsiero le sarebbe stato impossibile.

Di solito la carrozzella che veniva a prenderla si fermava sulla strada pubblica ed ella faceva a piedi il viale dal villino al cancello. Oggi ordinò che la carrozzella venisse fino al villino. Non pioveva più, era uscito il sole. La cugina Eufemia, vedendola pallidissima, la supplicò ancora di restare a casa. Non n’ebbe in risposta che un sorriso e l’ordine di salire in carrozza. In fatto quel gran pallore era una nota di sofferenza morale non meno che di sofferenza fisica. Ell’aveva pure nel sangue, come Lelia, i fermenti dell’orgoglio. Il piegare l’orgoglio proprio davanti a quello di Lelia le costava un penoso sforzo.

Dalla chiesetta del cimitero uscì trasformata. Disse alla cugina che la carrozza e l’aria le avevano fatto tanto bene; che, quasi quasi, si sarebbe sentita in grado di dare la scalata a una di quelle «montagnasse» come le chiamava con orrore la vecchia damigella. La carrozzella si fermò al castagno candelabro. La Magis salì a piedi alla Montanina per dire a Lelia che scendesse.

Donna Fedele attese in carrozza. Di solito faceva conversazione col vetturino, si divertiva a domandargli di cose e di persone diverse per udirlo rispondere col suo linguaggio colorito. Spesso il vetturino aveva alzato il gomito e allora un po’ gli faceva delle rimostranze, un po’ lo stuzzicava per amore della sua eloquenza. Il vetturino pure si divertiva a chiacchierare colla «contessa delle Rose» che aveva, secondo lui, un «descorso» come nessun altro al mondo. Anche adesso, appena la