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«AVEU» 345


Rise, perchè il titolo le pareva un sarcasmo alla sua povertà, ma poi si mise a dimostrare che per verità vi aveva diritto e che il vecchio sacrestano del duomo di Santhià, buon conoscitore delle famiglie antiche del paese, la chiamava sempre donna Eufemia. Allora donna Fedele pretese che nei tempi antediluviani ell’avesse avuto, per quel sagrestano, del tenero, ciò che fece spiritare la poveretta. Poi le domandò se fosse mai stata romantica. Romantica? «O mi o mi!» Cosa diavolo tirava in campo, adesso, «sta sì» questa donna qui? La vecchietta rise di cuore, anche perchè le pareva che donna Fedele dovesse sentirsi meglio, se scherzava così. «Romantica? Cossa ca l’è poeui, romantica?» Donna Fedele fece le alte meraviglie di tanta ignoranza e le annunciò una lezione pratica di romanticismo. Le fece prendere un piattino d’argento, abbruciarvi su il biglietto di Lelia, porne la cenere in una busta, chiudere la busta.

«Dopo colazione» diss’ella «andremo a portare questa busta alla Montanina e così diventeremo due romantiche.»

Andare alla Montanina? In quello stato? Dopo quella notte? Pioveva, anche. La cugina Eufemia credette che scherzasse. Quando n’ebbe l’ordine preciso di mandare ad Arsiero per far venire una vettura nel pomeriggio, alle quattro, protestò ch’era una imprudenza, una follia. Il medico di Arsiero, venuto la sera precedente, aveva ordinato, dopo un esame finalmente concesso, il riposo più assoluto, necessario perchè l’ammalata potesse intraprendere il viaggio di Torino. Egli consigliava Padova invece di Torino, per la vicinanza; ma donna Fedele non voleva udir parlare che di Torino e del Mauriziano. Ora l’operazione si poteva forse protrarre di pochi giorni ancora ma non oltre. La cugina ebbe un bel protestare. L’ordine per la carrozza fu mandato.