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Pagina:Sonetti romaneschi V.djvu/350

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340 Sonetti del 1846

LA MORTE CO’ LA CODA.

     Cqua nun ze n’essce:1 o ssémo ggiacubbini,
O ccredémo a la lègge der Ziggnore.
Si2 cce credémo, o mminenti3 o ppaini,4
La morte è un passo cche vve ggela er core.

     Se5 curre a le commedie, a li festini,
Se va ppe’ l’ostarie, se fa l’amore,
Se trafica, s’impózzeno6 quadrini,
Se fa dd’oggn’erba un fasscio.... eppoi se more!

     E ddoppo? doppo vièngheno li guai.
Doppo sc’è ll’antra vita, un antro monno,7
Che ddura sempre e nnun finissce mai!

     È un penziere quer mai, che tte squinterna!8
Eppuro, o bbene o mmale, o a ggalla o a ffonno,
Sta cana9 eternità ddev’èsse eterna!

29 aprile 1846.

  1. Non si può uscire da questa alternativa.
  2. Se.
  3. Minenti, gente del popolo, e in particolar modo de’ rioni di Transtevere, Monti e simili.
  4. [Persone civili, signori. Cfr. la nota 5 del sonetto: La Tirnità ecc., 31 mar 36.]
  5. Si.
  6. [S’impozzano. Da impozzà (impozzare), che, propriamente, vorrebbe dire: “metter nel pozzo.„]
  7. Un altro mondo.
  8. Ti scuote, sgomenta, schianta.
  9. Cagna, nel solo senso però di “crudele, nemica, barbara;„ ed è sempre usata come aggettivo unito ad un nome. Nella assoluta significazione di femina del cane, dicesi costantemente cagna.