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Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/109

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104 ester d'engaddi.

Onde abbracciarvi. A’ miei dover di stato,
Sacordotal congresso indi m’appella.
Ester.Si breve già....
Azaria.                              Nel tabernacol (dove
Religïosa pompa inni al Signore
Della vittoria appresta) io rivedrotti:
Là d’Ester mia sulla davidic’arpa
Udrò beato i dolci canti. O gioja!
Al sen vi stringo! Amato figlio, oh quanto
In picciol tempo tua beltà s’accrebbe!
Come alla madre t’assomigli, e caro
Vieppiù sempre mi sei! Vel giuro; in mischia
Mi ride il cor: degl’idolatri il brando
Misurar godo col mio brando; e pace
È per me tempo di languor che abborro:
Eppur — il credereste? — anco ove ardente
Più fervea la battaglia, a me compiuta
Gioja non dava de’ nimici il sangue,
E per vedervi io desïava pace.
Ester.E lunga sia! Benchè, se all’ozio astretto,
Talvolta il mio signor fremere io vegga
Sospirando le pugne, ai suoi contrari
D’Ester i voti son. Non sa Azaria
Ch’ogni ora di sua assenza ora è d’affanno
A chi sol vita ha nell’amarlo?
Azaria.                                                            Oh sposa!
No, quando rugga nembo altro di guerra,
Ester qui non starà: presso al mio campo
Vo’ che attendata col figliuol m’aspetti
Reduce dalla zuffa, e con sua dolce
Pietà lo stanco vincitor rallegri,
E ferito il conforti. Ivi cresciuto
Delle lance al fragor, più gagliarda alma
Avrà il prode futuro, e giovinetto
Del non canuto genitor compagno,
Lo vedranno i Romani e fuggiranno.
Ester.Valoroso! non anco hai terso il volto
Dalla polve campale, e già di nuove